Milvano gridava ai compagni di trincea…”Una truffa! Come potete credere, poveri stupidi, che i padroni daranno la terra a voi?” Ma loro preferivano crederci, perchè con quella speranza nella testa riuscivano a sopportare meglio la neve e il gelo…
Ci sono sentimenti profondi che attraversano il romanzo di Dario Franceschini che sarà presentato sabato 8 febbraio alle 10 alla libreria Coop in Piazza Ferretto a Mestre. Profondi e chiari. E si dipanano in tutta la storia che si muove nei primi anni del Novecento nelle terre e nelle acque paludose vicine a Ferrara, terra dell’autore.
Sono quelle sensazioni che nella lettura ti fanno fremere, ti permettono di capire, ti consentono di scegliere.
Franceschini lavora a un affresco, composto di tanti volti, di immagini, di situazioni che parlano da soli. Raccontano del dramma della fame degli scariolanti e dei braccianti e della fatica immane di chi è costretto a vivere la trasformazione delle paludi in terre coltivabili. A prezzo della propria vita, in condizioni di sfruttamento indescrivibile. Ma con una dignità immensa. Nella vita di ogni giorno, perfino nella fame e nelle relazioni umane.
C’è dentro le parole che scorrono la rabbia che si esprime a volte scoppiando incontrollata ma ancor più spesso che diviene motrice di scelte e di pensieri tutt’altro che facili e scontati.
Capisci leggendo come la politica allora fosse per pochi una scelta libera di pensiero e di volontà intellettuale e per i più invece una drammatica necessità figlia dell’unica possibilità di vivere senza sentirsi morire “dentro”. E avverti pagina dopo pagina come non vi sia alcuna opportunità di non capire quale sia la “parte giusta”.
Franceschini sembra rispondere a polemiche fatte che spesso però trovano un incauto respiro nei media.
Il fascismo non è diventato “brutto” con le leggi razziali e non si è rovinato per l’entrata in guerra. Il fascismo è stato fin dall’inizio violenza e sopraffazione. Morte e tragedia per la società. E ciò non è per nulla in contraddizione con le adunate oceaniche nelle piazze. Casomai fa riflettere e pensare, lascia storditi e delusi.
C’è un sentimento corale che ti avvolge in questa memoria collettiva che ti racconta e ti emoziona.
Il romanzo si snoda tra la pellagra, la malaria e la denutrizione che mietono vittime e la forza dei protagonisti – dai caratteristici nomi emiliani – che riescono a resistere, a guardare la realtà, a riflettere e ad agire con i grandi scioperi di massa. E leggendo percepisci l’ingiustizia sociale, avverti come sia un’epoca di speranze e di orrori, come nasca e si coltivi un clima di odio e di violenza.
Ti sono chiare con forza le straordinarie ragioni degli sconfitti, che diventano i tuoi “eroi” in una “epica” raccontata attraverso personaggi veri e non inventati, narrando di fatti accaduti e non frutto di fantasia. È questa per Franceschini la “necessità della memoria”. Perchè ciò che è accaduto si sappia e non si ripeta. E dentro il dramma della società l’autore ha disegnato uno spazio angusto, faticoso, quasi impensabile con le tragedie che gli corrono accanto. È quello dell’amore tra due ragazze, Tina e Lucia. Un amore bello e pieno, dolce e risoluto.
Alla domanda che spesso Franceschini si è sentito porre sul perché di questa vicenda d’amore omosessuale ha dato una risposta semplice ma vera: che quell’amore gli era sembrato vero, normale ed era sceso dall’inchiostro della penna sulla carta senza fatica. D’altronde le donne hanno “una marcia in più con la loro forza morale e la capacità di affrontare impegni straordinari”.
E in questa storia d’amore c’è l’unica vicinanza tra il padre di Lucia socialista dirigente di lega e quello di Tina agrario fascista. Agiscono allo stesso modo e non è difficile immaginare come, rispetto al sentimento delle due ragazze.
È straordinaria la materialità che attraversa tutto il romanzo. Fatta della verità del racconto e dei personaggi, certo. Ma anche della vita che si conduce, del come ci si relaziona, degli stessi modi di essere dei protagonisti. Una materialità tutt’altro che banale, lontana mille miglia dai nostri desideri moderni di “consumo”. Ci appare vera, esplicita e dura. E permette di dare un senso altrettanto vero e forte al sogno, al desiderio, alla volontà di emancipazione e di futuro.
Feanceschini in qualche intervista appare preoccupato perché dice che non vuole assolutamente che il lettore abbia gli occhiali della politica quando legge il suo romanzo. Perchè così, togliendoli, avrà una reazione sincera, vivrà con i personaggi, guarderà un mondo, comprenderà ciò che fu il fascismo e come si vivesse e lottasse allora.
Ha ragione certo. Ma penso non debba preoccuparsi. Il libro va per la sua strada e non fa certo fatica per conquistarla.
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