![Il mito del rugby e il mondo degli highlander](https://ytali.com/wp-content/uploads/2025/02/WhatsApp-Image-2025-02-08-at-11.05.55-1-1024x678.jpeg)
Tempo di Sei Nazioni, tempo di ricordi. Era, infatti, il 5 febbraio del 2000, stadio Flaminio di Roma, quando la Nazionale italiana di rugby faceva il suo esordio in una competizione che da allora l’ha sempre vista protagonista, anche se spesso con risultati tutt’altro che positivi. Troppe sconfitte, troppi cucchiai di legno, ossia neanche una vittoria nel torneo, troppe mete subite e un divario tecnico eccessivo rispetto alla Francia e alle quattro compagini del Regno Unito, da sempre egemoni in questo sport, al pari di alcuni paesi del Commonwealth e di alcune ex colonie britanniche. Non a caso, oltre ai bianchi d’Inghilterra, a far furore con la palla ovale sono le antilopi sudafricane e i poderosi neozelandesi, la cui iconica danza all’inizio delle partite incute terrore agli avversari.
Tempo di Sei Nazioni, dicevamo, e proprio dalla Scozia siamo ripartiti, la scorsa settimana, subendo in quel di Murrayfield una sconfitta neanche troppo umiliante (31 a 19) ma che di fatto ci avvia verso il rischio dell’ennesimo cucchiaio di legno. Con Francia e Inghilterra, difatti, abbiamo poche speranze, anche l’Irlanda non scherza e forse solo il Galles potrebbe essere alla nostra portata, a patto che gli azzurri sfoderino la stessa grinta che mostrarono un quarto di secolo fa, in quel 34 a 20 che fece scoprire a molti, me compreso, uno sport meraviglioso per correttezza, rapidità e messaggi positivi. Non a caso, si è spesso invocato lo spirito del rugby, soprattutto quando il movimento è cresciuto e ci si è resi conto che nemmeno il trasferimento all’Olimpico, di fronte a oltre settantamila persone, ha guastato l’armonia di un gioco in cui esistono contrasti duri e pure durissimi ma dentro e fuori dal campo ci si rispetta e le tifoserie vanno a braccetto. A proposito degli scozzesi, da allora è divertente, quando si gioca nella Capitale, incontrarli per le vie del centro mentre osservano le vetrine o si gustano una birra al pub, con i loro kilt e il loro atteggiamento eternamente scanzonato. Il rugby è questo e il calcio avrebbe tanto da imparare, moralismi a parte, perché davvero non se ne può più del clima sovraeccitato che ne accompagna le gare, con episodi che, oltre a farci vergognare, ci inducono a riflettere sulla miseria morale nella quale siamo sprofondati.
Non sappiamo chi vincerà quest’edizione del torneo: la Francia ci sembra favorita, ma è ancora presto per stabilire delle gerarchie, anche se la sfida odierna con l’Inghilterra potrebbe risultare decisiva. Ciò che ci conforta è che l’aumento di notorietà e di introiti, come ddtto, non lo ha snaturato: mai una vetrina infranta, almeno a nostra memoria, mai un tafferuglio, mai un episodio discutibile, nulla di nulla, come se l’umanità si modificasse radicalmente a seconda della forma della palla con cui si gioca. E sì, lasciatecelo dire: è davvero un’altra umanità quella che gremisce gli spalti del Sei Nazioni, spettacolo unico nel suo genere e per noi appassionati irrinunciabile. È ormai il nostro appuntamento fisso dell’inverno, il racconto coinvolgente che ci accompagna verso la primavera, attraversando febbraio e marzo fino al traguardo ideale della Milano – Sanremo, grande classica del ciclismo nonché simbolo di un ideale passaggio di testimone fra le discipline.
Mancano ancora quattro giornate tutte da vivere, pertanto gustiamocele, con lo stesso entusiasmo bambino con cui venticinque anni fa scoprimmo che non esistesse solo il calcio e ci parve bellissimo poter cantare l’inno al cospetto di un’altra Nazionale.
Immagine di copertina: saluti e congratulazioni a fine partita tre le due squadre avversarie dopo la partita tra Rugby casale e Rugby Conegliano.
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