![Una storia bolognese in ricordo di Aldo Tortorella](https://ytali.com/wp-content/uploads/2024/10/separatore-linea.webp)
Uno degli ultimi testi di Aldo Tortorella è la prefazione a Segretario per caso di Ugo Mazza (ed. Pendagron), “l’autobiografia di uno degli ultimi segretari della fortissima federazione comunista bolognese, una organizzazione che fu parte essenziale delle vicende della propria città e del proprio partito”, come leggerete nel testo che segue e che pubblichiamo per gentile concessione dell’editore e del’autore.
Aldo Tortorella, il partigiano Alessio, è morto il 5 febbraio scorso a Roma. Aveva 98 anni. Era nato a Napoli nel luglio del 1926.
Partecipò giovanissimo alla Resistenza, i fascisti lo catturarono ma lui riuscì a fuggire. Giornalista, ha cominciato nelle pagine di Genova dell’Unità ed è stato negli anni Settanta direttore dell’edizione nazionale.
Parlamentare per molti anni, responsabile nazionale della cultura per il Pci, figura di spicco e di grande influenza nella segreteria di Berlinguer e poi in quella di Alessandro Natta, fu contrario alla svolta di Occhetto. Ma è rimasto nel Pds e poi nei Ds che ha lasciato nel 1998 al tempo del governo D’Alema e della guerra del Kosovo. Ha fondato e diretto negli ultimi 25 anni l’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra e, fino all’ultimo, ha diretto la rivista Critica Marxista.
Accade ormai che il ricordo di Enrico Berlinguer, della sua rettitudine e della sua umanità, sia divenuto sempre più esteso e parli anche ai più giovani lontanissimi da quel tempo del secolo passato e persino ai suoi fieri avversari politici di ieri. Tuttavia spesso si dimentica che egli fu il segretario di un partito cui dedicò tutta la sua vita fino all’ultimo istante. Un partito, quello comunista italiano, che compì tutto il suo percorso prima per combattere la dittatura fascista, poi per conquistare la repubblica “fondata sul lavoro” e una Costituzione democratica e progressista e infine per difenderla e cercare di attuarla. Berlinguer fu parte integrante di tutta questa vicenda e protagonista determinante prima come dirigente dei giovani comunisti e poi come dirigente di tutto il partito e promotore fino all’ultimo del suo rinnovamento politico e morale, ma inascoltato e aspramente combattuto in questo suo straordinario impegno finale da una parte dei suoi stessi compagni, che lo pensavano come uno sconfitto dimenticato e da dimenticare per sempre.
Immagini di un militante comunista
Ma si sa molto poco, anzi quasi nulla di coloro che dirigendo le organizzazioni territoriali ai tempi suoi furono parte di quella storia e aiutano a capirla. Ecco perché è così utile questa autobiografia di uno degli ultimi segretari della fortissima federazione comunista bolognese, una organizzazione che fu parte essenziale delle vicende della propria città e del proprio partito. E questa biografia inizia appunto spiegando le vicende che portarono l’autore alla sua elezione a quella funzione e mostrando così un aspetto della complicata vita interna di una grande organizzazione comunista nel rapporto tra territorio e centro nazionale attento, secondo la tradizione, a garantire unità nell’orientamento politico.
Questo racconto, irto di memoria, di nomi, di dettagli anche organizzativi descritti con diligente minuzia, è anche uno squarcio sulla storia comunale di Bologna e in particolare del suo assetto urbano per la responsabilità avuta dall’autore in una tornata amministrativa: il ‘modello bolognese’ che in alcuni periodi venne portato ad esempio per la salvaguardia dei centri storici delle città. Così come nell’immediato dopo guerra era stata oggetto di ammirazione la figura del sindaco Dozza, vecchio comunista, per il profondo legame con il suo popolo, un legame che anche in questo libro viene provato. Il racconto della vicenda politica è quello del vissuto di un giovane lavoratore al finire dei Sessanta del secolo scorso che si iscriverà al PCI e ne diverrà dirigente negli anni Ottanta e giunge sino alla fine del mandato di segretario, maturata quando già si preparava la fine del PCI (e, ricordato per inciso, il più duro avversario interno dell’autore e poi fautore dello scioglimento del partito finirà con approdi a destra).
La vicenda di Mazza continua nel partito che succederà al PCI, dopo la sconfitta con tutti gli altri oppositori alla fine del PCI, la sconfitta di coloro che volevano tenere insieme una comunità popolare, pur rinnovandone forme e contenuti e rifiutando la scissione (non sgradita alla maggioranza che credeva così di liberarsi di un peso morto). E si ricorda qui l’ingannevole motto “noi siamo sempre noi”, come se il ‘noi’ di una comunità indicasse unicamente dei corpi, degli individui fisici, e non le idee, le speranze, le esperienze che li hanno accomunati: un motto usato per convincere proprio gli iscritti popolari più fedeli al loro partito. Uno slogan che faceva il paio con quello più destinato ai gruppi dirigenti: “sblocchiamo il sistema politico”, che voleva dire togliamo di mezzo l’ingombro rappresentato da un partito comunista, anche se diverso dagli altri. Ma il sistema era marcio e dopo poco crollerà per conto suo, travolgendo anche quelli che vi si erano aggregati all’ultima ora dopo esserne stati estranei per mezzo secolo. Non andava perduto solo un partito e dissolta una comunità umana, si offuscava l’origine antifascista della Repubblica e il significato stesso della Costituzione con la fine della forza politica che più di ogni altra ne aveva sostenuto il senso e il valore. Non mancarono alcuni ottenimenti di potere per la nuova e ristretta formazione politica dai nomi cangianti, ma la ormai flebile o assente vicinanza alle speranze e ai bisogni popolari da parte delle sinistre divise e rissose non poteva non favorire sbandamenti populisti a destra e a manca. Vi è in questa autobiografia una lettura, ovviamente individuale ma dall’osservatorio di una grande organizzazione, che fa intendere le tappe di un declino e poi di uno sfascio donde, uno scivolone dopo l’altro, è scaturito il tempo italiano presente.
Immagini recenti di Aldo Tortorella
Tuttavia il valore di questo testo, oltre la testimonianza politica, sta nel racconto della vita di un ragazzo nato in una famiglia poverissima, assai presto orfano del padre operaio, cresciuto da una madre qui ricordata non solo senza retorica ma senza alcuna parola in più dell’enunciato dei suoi atti (l’umile lavoro, la ricerca affannosa di una casa decente alfine ottenuta “da Dozza”): un involontario ritratto parlante. E così per la vecchia nonna contadina, sola dentro una casupola nella campagna in collina, cui verrà affidata la sorella dell’autore per avere una bocca in meno da sfamare e per aiutare la nonna. Dove l’estate ci sono favolose vacanze fatte di nulla cioè di nessun oggetto di quelli che si danno ai bambini, ma fatte di tutto (la scoperta del verde, del ruscello, degli animali…). Intanto è il tempo della scuola elementare con un maestro buono e intelligente che rischia il licenziamento perché i ragazzi per conto loro, lui assente, cantano Bandiera rossa. Alla quinta classe piomba la riforma (quella del 1962) che porta l’obbligo sino ai 14 anni, ma senza programmi e docenti validi per i tre anni in più, con la impossibilità di lavorare per portare qualche soldo a casa. Poi verranno le prime occupazioni poco pagate e faticose, l’infortunio in azienda (un pezzo di dito lasciato in una pressa) il lavoro al tornio come una grande promozione, la compagnia dei ragazzi di periferia, “l’andare a ciliegie” e la squadra di calcio, ma anche l’amore allo studio e la vicinanza ai libri. Finché arriva l’occasione, il giovane operaio metallurgico diventa fattorino e commesso da Zanichelli, prima a distribuire la posta e poi a servire i clienti, e dopo il lavoro, alla scuola serale gratuita del Comune, unica strada per divenire geometra. Da commesso diventa redattore per i libri tecnici. Ma intanto c’era stata da tempo l’iscrizione al PCI, presenza costante in periferia, il lavoro in sezione, le grandi discussioni del ’68, l’interesse per i gruppi che andavano nascendo, il lavoro nel Comune, la chiamata al Partito come funzionario.
È una storia raccontata senza artifici di scrittura, senza rancori verso nessuno. Anche se con il passare degli anni i fatti vengono dando ragione ai perdenti di quello scontro sullo scioglimento del PCI che non avevano ceduto al richiamo della mera nostalgia del passato. Molti dei quali, in verità, hanno continuato a cercare contenuti politici e programmatici adatti ai tempi nuovi, consapevoli della svolta politica compiuta da Berlinguer (la definì “copernicana” secondo una espressione coniata dal compianto compagno Di Giulio) negli anni terminali della sua vita. La svolta riguardava il primato – rispetto alla ricerca di alleanze talora impossibili – dei contenuti dell’azione politica e programmatica e di una visione corretta del mondo (scambiata dai suoi critici piuttosto ottusi o malevoli con un arroccamento in identità pregresse). E gli anni ultimi della vita di Berlinguer lo porteranno a riproporre la moralità della politica, a sostenere l’ecologismo, il nuovo femminismo, il pacifismo, oltre che ricuperare il rapporto con la classe operaia male trattata dal governo democristiano detto di unità nazionale sorretto anche dai comunisti. Analogamente, vediamo in questa autobiografia che l’amore dell’autore per la montagna, scalate comprese, concepito in età giovanile – che sarà coltivato per tutta la vita, – ha favorito un convincimento ecologista che al tempo del suo inizio (ma alle volte ancor oggi) era contrastato in nome della produzione e della produttività ma anche, tra i comunisti, in nome della priorità della lotta sociale. Mazza sarà tra coloro, dapprima assai pochi, che spiegheranno la origine del terribile deterioramento ambientale nella folle concezione capitalistica dello sviluppo infinito in un mondo finito. Una concezione che produce una montagna di merci senza togliere la povertà nei paesi ricchi e irraggiungibile e impossibile in tutti paesi poveri, maggioranza della specie umana, pena il definitivo disastro ambientale conclusivo di una storia di rapporti umani non solo vergognosamente ingiusti, ma complessivamente suicidi. La stesura di questo testo è certo stata una fatica grande ed encomiabile. La lettura di uno scritto così ampio non è agevole. Ma la storia umana e quella politica coinvolgono il lettore, come io sono stato.
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