Siavush Randjbar–Daemi, storico, oggi Assistant Professor in Storia Moderna del Medio Oriente presso l’Università St Andrew in Scozia, di famiglia iraniana cresciuto in Italia, è autore del volume The Quest for Authority in Iran: a History of the Presidency from Revolution to Rouhani. A lui abbiamo chiesto notizie e valutazioni sulla situazione dell’Iran dopo l’incidente che ha causato la morte del presidente Ebrahim Raisi lo scorso 19 maggio.
Chi era Raisi e cosa ha rappresentato per l’Iran?
Ebrahim Raisi, ottavo presidente eletto il 3 agosto 2021, è stato un personaggio molto controverso, diverso dal suo predecessore Rouhani, un falco puritano completamente leale alla Guida suprema Khamenei, che nei suoi tre anni di presidenza non ha riscosso particolari successi: la congiuntura economica è stata negativa, uno dei motivi per i quali gran parte della società iraniana ha disertato le urne. Una decina di giorni fa c’è stato il secondo turno delle elezioni parlamentari, una sorta di ballottaggio, e a Teheran ha votato appena l’otto per cento degli aventi diritto. Gran parte della disaffezione è dovuta al malcontento della popolazione rispetto alla situazione economica, dalla rivolta delle donne “Donna Vita Libertà” dopo l’uccisione di Masha Jina Amini nel settembre 2022 (accusata di aver indossato in maniera impropria il velo, arrestata dalla polizia morale e morta in seguito alle percosse ) e le manifestazioni di protesta in tutto il Paese. Raisi non è mai stato favorevole a un dialogo con i manifestanti e tanto meno a un alleggerimento delle severissime norme sul velo. Anche nelle ultime settimane nei giorni in cui l’Iran reagiva all’attacco israeliano sul Consolato a Damasco le autorità hanno continuato linea dura e maniere forti verso le donne che coraggiosamente si recavano in strada senza velo. Tutto ciò ha creato molto odio che si è espresso principalmente verso Raisi tramite i social: dopo la sua morte abbiamo visto fuochi d’artificio nelle città curde iraniane.
Abbiamo assistito al grande contrasto tra l’establishment durante le cerimonie funebri a Tabriz e i festeggiamenti da parte della popolazione.
Raisi sarà sepolto a Mashhad la Citta santa iraniana dove è sepolto l’ottavo imam sciita, considerato un grande onore: il giorno 22 si terrà il funerale di Stato, staremo a vedere quali rappresentanti di Stati stranieri parteciperanno alla cerimonia. (l’Iran dal 2011 è sottoposto a sanzioni da parte dell’Unione Europea per violazione dei diritti umani, oltre a quelle da parte degli Stati Uniti. Una delle cause della caduta dell’elicottero Bell-412 che trasportava il presidente Raisi e il ministro degli esteri potrebbe essere la scarsa manutenzione dovuta alle sanzioni ndr)
Lo zoccolo duro che rimane fedele alla Guida suprema l’Ayatollah Ali Khamenei è forte, sono qualche milione di persone, forse meno di quelle che hanno seguito nel 2009 il funerale dell’ayatollah dissidente Montazeri, comunque anche all’interno del regime si faceva e si fa strada il disappunto per la situazione economica grave e la politica estera di Raisi: il suo governo era composto da persone che non erano all’altezza, non sono tecnocrati di rango, persone di seconda linea dal punto di vista della gestione della politica e dell’economia, della sicurezza interna e cosi via. È poco probabile che questo governo sopravviva alle prossime elezioni.
Quali sono dunque le previsioni per le elezioni presidenziali per eleggere il successore di Raisi?
Sono elezioni indette in fretta, fatto molto strano e inedito che dopo un simile shock, in meno di quaranta giorni (il 28 giugno) il popolo sia chiamato a votare: tale tipo di tempistica non è normale. I vari candidati devono decidere molto presto la propria candidatura, tra nove giorni si apre una finestra di cinque giorni durante la quale chi vuole candidarsi si presenta al ministero degli interni con i documenti, certifica che è di nazionalità e di origini iraniane e viene registrato, non ci sono primarie o liste di partiti nominati. Tale processo avviene in fretta, dopo ci sarà il processo di vaglio dei candidati da parte del Consiglio dei Guardiani della Costituzione (dodici membri) che escluderanno molti, naturalmente. Ecco che i vari rami del regime dovranno decidere se vogliono la continuità con Raisi eleggendo un altro falco conservatore al potere oppure se, considerando la cattiva congiuntura economica, l’isolamento internazionale dell’Iran e le difficoltà delle politiche regionali dovute al confronto serrato con Israele, potrebbero incoraggiare la candidatura di qualcuno che sia almeno in grado di ristabilire quel dialogo diplomatico intrapreso da Hassan Rouhani (presidente dal 2013 al 2021) assieme all’allora Ministro degli Esteri Zarif. Molto dipende dai segnali che darà Khamenei (la Guida Suprema) se accetterà di dare spazio all’area moderata del regime che tre anni fa è stata severamente bloccata.
L’Ayatollah Khamenei ha 85 anni e non si conoscono le sue reali condizioni di salute.
Certo, non si sa realmente come stia. In ogni caso il nuovo Presidente eletto starà in carica per quattro anni e se ci sarà un cambio nella persona della Guida Suprema Khamenei bisogna vedere se l’area moderata avrà la capacità di proporsi.
Voci davano il presidente Raisi in procinto di diventare egli stesso successore di Khamenei, e per quel che riguarda un nuovo eletto attualmente nell’area conservatrice non si intravvede un possibile successore al defunto. Il presidente potrebbe essere un laico, e avere un doppio mandato, cioè quattro anni più quattro come è stato fino a ora: se Khamenei dovesse mancare nel prossimo decennio un laico non potrebbe prenderne il posto. Tra i chierici oggi non mi pare che nessuno possa sostituire Raissi, anche il figlio di Khamenei è un nome che compare tra i possibili pretendenti. Non si può parlare della successione della Guida Suprema senza cadere in un esercizio retorico, azzardato e prematuro: è un processo imprevedibile, non c’è più, come negli anni Ottanta, lafigura del leader in pectore.
Quali sono i problemi del Paese?
Principalmente come affrontare le molteplici crisi, quella economica in primis. Il calo della qualità della vita in questi anni è molto evidente, non solo per le sanzioni, visto che ad esempio gli introiti petroliferi sotto la presidenza Raissi sono stati superiori a quelli degli anni precedenti. L’Iran il petrolio lo vende, lo vende male in mercati secondari, India e Cina, ha problemi nel rimpatrio dei proventi ma soldi a Teheran ne girano parecchi. Il problema è che il Paese è attanagliato da un’economia autarchica, liquidità eccessiva, ricchezze concentrate nelle mani di nouveaux riches, una corruzione molto vasta in un’economia chiusa: in questi settori sociali non c’è alcun interesse a far finire questa chiusura che permette di accumulare ricchezze. La corruzione alle stelle viene documentata anche in via istituzionale, ci sono tribunali con sedute pubbliche dove si parla di cifre strabilianti di danaro, recentemente uno dei chierici più fidati di Khamenei, che guida la preghiera del venerdi a Teheran, è stato accusato con documentazione di appropriazione indebita di terreni molto costosi. Gran parte della popolazione giudica l’élite politica corrotta, disconnessa dalla società.
Sul piano internazionale la posizione del Paese è molto complessa, il fronte con Israele non è stato composto, il rapporto con i Paesi circostanti è pessimo. Con l’Occidente altrettanto pessimi, anche i cittadini iraniani in Europa sono alle prese con problemi seri, ad esempio per le transazioni bancarie. I due fronti, interno ed esterno, sono in ebollizione: all’interno la società composta soprattutto da giovani non si riconosce più negli ideali della rivoluzione, della guerra, del puritanesimo, chi è nato negli anni 2000 non ha memoria di questa mitologia della Repubblica Islamica. Ruhollah Khomeyni fondamentalista sciita guida del Paese nel 1979 dopo la cacciata dello Scià Pahalavi è figura oscura e vecchia.
Al momento la repressione dopo le rivolte per la morte di Masha Jina Amini impedisce ogni tipo di manifestazione: molti sono rimasti gravemente feriti e molti i morti. L’opposizione è estremamente frammentata. All’estero abbiamo i discendenti dello Scià, la vecchia sinistra, i mujaiddin, frange di monarchici con ideali estremamente antidemocratici, la mancanza di coesione giova al regime. Non esiste un programma coerente, una alternativa alla Repubblica islamica con un programma chiaro. Intanto ulteriore problema interno è quello relativo alle minoranze etniche, trattate malissimo da tutti i regimi da un secolo a questa parte, il fatto che esistano focolai di opposizione soprattutto nel Kurdistan e nel Belucistan è indicativo anche se tali focolai restano isolati. Ecco il bivio: se la Repubblica Islamica decide di continuare la linea intrapresa nei tre anni di presidenza Raisi o se darà inizio a un cambiamento necessario alla sua sopravvivenza con un gerarca moderato per stemperare le varie crisi interne ed esterne.
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