Quando la voce di una amministrazione non rappresenta il sentimento dei cittadini, tocca ai cittadini esprimere il proprio risentimento per il malgoverno della città. L’introduzione del contributo di accesso a Venezia è la prova.
Epilogo e sintesi di una lunga stagione amministrativa in cui la verticalizzazione del potere decisionale ha trasformato la democrazia consigliare in un organo amministrativo aziendale. Blindato e autoreferente.
In quella stessa sede romana della stampa internazionale, usata dal sindaco per il trionfale annuncio del ticket, la svolta mercantile per l’uso turistico della città, ha preso la scena il messaggio dei cittadini per mostrare alla stampa internazionale la realtà di Venezia.
Quella stampa internazionale che aveva assistito, curiosa incredula, al trionfale annuncio della rivoluzionaria tassa di accesso urbano: Venezia prima nel mondo. Questo il messaggio!
Non era però sfuggito ai commenti internazionali, che in Venezia riconoscono il simbolo di un’eredità tanto straordinaria quanto precaria, l’uso spregiudicato che l’industria turistica va facendo della città, in piena sintonia con la locale amministrazione.
Ma quella stessa stampa ha potuto prendere atto che l’amministrazione non è una azienda abilitata a violentare lo stile di vita degli abitanti.
A riprova, prima è arrivata la contestazione cittadina nel giorno stesso di avvio del pagamento. Poi la concreta documentazione che la presenza democratica organizzata ha offerto alla stampa la prova materiale del fallimento della proposta.
Già al varo del “ticket di accesso” puntuale è arrivata la smentita dell’intento “dissuasivo” dell’iniziativa. La pioggia di pagamenti pervenuti testimonia che la misura si è in realtà trasformata nel suo opposto. Una vera promozione dell’accesso a Venezia. Come un prodotto offerto a buon mercato. Di fatto un’abile forma di marketing. Autentica tecnica aziendale. Dove il successo si misura coi numeri.
L’importante è che di Venezia si parli. Perché è così che funziona il mercato.
Per soli cinque euro – meno di due caffè seduti al bar – l’accesso è garantito a tutti senza alcuna soglia limite. Per di più la misura si applica solo a una ridotta platea di potenziali visitatori, a fronte di una grande maggioranza che accede per diritto, come pure per esclusione o esenzione dal pagamento. Insomma, una foglia di fico stesa sulla farraginosa realtà del sovrannumero garantito in permanenza.
Tanto rumore per nulla quindi? No, non è così!
In realtà siamo agli atti finali di una decennale strategia per imprimere in modo definitivo e irreversibile la metamorfosi di una città d’arte, piccola densa e preziosa, in “museo a cielo aperto”, o “parco tematico”, o anche “paesaggio storico certificato Unesco”. Secondo le preferenze.
Lo stesso ticket ha infatti preso la forma di un indecente mercanteggiamento di natura politico-culturale tra l’amministrazione veneziana e l’Unesco stessa. Obbiettivo: rimuovere Venezia dalla black list in cui da anni la città era stata, meritatamente, iscritta. Di fatto, frutto della politica di overturismo perseguita dalla amministrazione in carica. Al danno si accompagna così la beffa! Non a caso. Lo stile è questo, e si riconosce.
In una città che sui limiti del turismo discute da quarant’anni, la sortita del ticket è un puro argomento di distrazione di massa. Il vero tema è invece la definizione della soglia di visitatori compatibile con la vita urbana degli abitanti. Logicamente semplice, tanto quanto sgradito ai molteplici interessi che si muovono in città.
In letteratura svariati organismi internazionali si sono cimentati sui metodi di valutazione della “capacità di carico turistico” di un sito. Dal WTO, l’Organizzazione mondiale del turismo, alla stessa Unesco, al Parlamento europeo, e altri ancora. La questione è sempre una: il rapporto turisti-cittadini-tutela del sito.
Ma il trascorrere del tempo, con la travolgente evoluzione del turismo dei decenni della globalizzazione, pone oggi a Venezia ben altro tema: la sopravvivenza stessa della città storica. Se si vuole ragionare seriamente ci si deve proporre di quanto e come abbassare la cifra degli oltre trenta milioni di visitatori del 2023. Nuovo record assoluto raggiunto nel primo anno post pandemico. E in prospettiva cimentarsi anche con le previsioni di crescita del turismo internazionale.
Nella cifra globale del turismo veneziano ci sta la realtà dei settantamila letti turistici – un terzo hotel e due terzi airbnb – presenti nella città storica insulare. A questi va aggiunta tutta la ampia e composita componente giornaliera dei pendolari, variabile tra dieci e cinquanta mila presenze al giorno.
La somma dei due picchi massimi non è un numero. È un incubo urbano, per abitanti e visitatori. Ma mentre i visitatori passano gli abitanti restano. Sempre di meno, sempre più vecchi, verso l’estinzione stessa della cittadinanza.
E non è detto che non sia questo il vero intento di un’amministrazione che lavora sulla crescita della domanda per estendere lo sviluppo dell’offerta. Su questa si basa ormai l’economia urbana di Venezia e il consenso che ne consegue.
Dietro questa elementare constatazione si muove tutto il fitto intreccio di interessi turistico-immobiliari che regge le entrate dell’economia veneziana. Polarizzata tra le posizioni di rendita di impresa e i bassi salari della vasta platea dei servizi turistici. Spesso filtrata da lavoro interinale. Qui la specializzazione non è richiesta, l’economia veneziana non necessita di titoli di studio. Servono solo braccia e gambe.
Se poi Venezia si trova nelle posizioni di coda dei redditi urbani del Veneto non deve sorprendere nessuno.
Intanto sulla stampa locale…
Sull’account FB dell’Associazione della Stampa estera in Italia il video integrale della conferenza stampa. QUI per vederlo.
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