Cannibale è un aggettivo, oggettivamente, impegnativo e non proprio commendevole. A meno che non si tratti di imprese sportive e, in ambito ciclistico, non si stia parlando ad esempio di Eddy Merckx, lo squalo belga che, fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, ha vinto più volte tutto ciò che c’era da vincere. Oggi la fame di successi si è trasferita in Slovenia, assumendo le sembianze di un ragazzo di venticinque anni dal presente radioso e dal futuro straordinario, al netto di infortuni che naturalmente non gli auguriamo. Parliamo di Tadej Pogačar, il fuoriclasse che ha appena conquistato il Giro d’Italia imponendosi in ben sei tappe, fra cui la mitica Oropa, sulla montagna intitolata alla memoria di Marco Pantani (a proposito, il prossimo 5 giugno saranno venticinque anni dall’ingiustizia che si abbatté contro di lui a Madonna di Campiglio), a dimostrazione di un dominio assoluto, come se gli avversari quasi non esistessero. E invece c’erano eccome, a cominciare dagli italiani Milan e Tiberi, vincitori, rispettivamente, della maglia ciclamino e della maglia bianca: due giovani che possono regalare a noi appassionati una miriade di soddisfazioni.
Per il resto, distacchi abissali. E non perché i rivali non fossero di valore, ribadiamo, ma perché contro un Pogačar in queste condizioni si è capito fin da subito che ci fosse poco da fare. Daniel Martínez e Geraint Thomas infatti, non hanno potuto far altro che rassegnarsi allo strapotere della maglia rosa, assistendo alla sua fuga solitaria verso il traguardo finale e dovendo inchinarsi al cospetto di un simile concentrato di grinta, talento e umanità.
La differenza fra lo sloveno e altri fuoriclasse del passato, difatti, ed è bene sottolinearlo, sta nell’approccio. Altri erano ugualmente grandi ma scostanti; lui rimarrà nella memoria di chiunque ami i valori dello sport per tanti piccoli gesti, su tutti la borraccia regalata a un bambino durante la salita del Monte Grappa, che lo rendono popolare e dolcissimo. E no, non stanca, non infastidisce e, soprattutto, non viene mai a noia, considerando che la sua è una colossale sfida con se stesso e con i propri limiti, una continua lotta per crescere e migliorarsi, un’esibizione di tenacia e talento ma senza umiliare il prossimo, senza far pesare la propria grandezza, senza sentirsi arrivato, anche se è già nell’Olimpo del ciclismo.
Tadej è un ragazzo semplice, uno di quelli che, dopo aver sollevato un trofeo, festeggia per qualche ora e pensa al prossimo. E in questa sua mentalità sono racchiuse le ragioni dei suoi trionfi. Altri si sarebbero cullati sugli allori, lui gia pensa al Tour, con l’auspicio di entrare nella ristretta cerchia dei miti in grado di conquistare le due grandi corse a tappe della primavera-estate nella stessa stagione. Il primo a riuscirci fu Fausto Coppi nel ’49, l’ultimo fu, per l’appunto, Pantani nel ’98. Adesso tocca a lui. E noi italiani, in attesa di poter tifare per un degno erede dell’Airone e del Pirata, abbiamo deciso di abbracciare idealmente questo sloveno gentile e misurato che ci riporta indietro nel tempo, a quando le due ruote costituivano il sogno di ogni bambino e il Giro era l’evento per antonomasia. Anche grazie a lui, la passione popolare è tornata e magari, chissà, un giorno assisteremo a un’impresa di quel bambino cui ha regalato la borraccia. Come Bartali e Coppi: avversari sempre ma nemici mai.
L’articolo Un cannibale dal volto umano proviene da ytali..