La parolaccia di questi tempi, vista e sviscerata di fronte, di profilo, dal retro. Se usata dal presidente del consiglio. Se usata dal papa. In realtà diffusa prior in tempore nei media, ora in uso indifferentemente tra uomini e donne, e in tutti gli ambienti, anche in quelli istituzionali.
Deprechiamo quest’ultimo aspetto. Ma non possiamo deprecare i quattro quinti dei nostri concittadini.
Le parolacce servono a connettere direttamente il leader al popolo sovrano, dice la brava Flavia Perina. Conveniamo sugli effetti, sulla possibile utilità dello strumento, ma, le origini? Perché le usiamo così tanto e anche senza intenzione, obiettivi? L’esponente politico le può inserire ogni tanto nella sua parlata, per dare colore, per essere più familiare a chi lo ascolta. Ma l’utilizzazione del turpiloquio è troppo diffusa perché si tratti solo di quello, anzi si può dire che quell’intento, quella strumentalizzazione, sono venuti dopo. Prima vi era e vi è l’uso diffuso che se ne fa.
In qualche modo la parolaccia è collegata all’uso frequente del dialetto, o di singole espressioni dialettali, anche da parte delle persone più istruite. Non è dialetto, ma ha la stessa funzione del dialetto. Viene usata in edizione originale o in qualche formulazione eufemistica, in un gioco di continue invenzioni. Un relax, una civetteria, un riposo? Un modo di diminuire la tensione, anche in una conversazione impegnativa (se uno se lo può permettere).
La svalutazione del suo lato volgare non è certo di oggi. Parallela al calo della nostra sensibilità linguistica. Tranne forse in certi ambienti elitari (non per censo, per educazione). Ai bambini si insegna prestissimo che alcune parole sono interdette, e non è facile spiegare loro il perché, farlo diventa sempre più difficile.
Tutt’altro discorso va fatto per l’uso delle parole volgari, delle “brutte parole”, nelle sedi istituzionali e politiche, nelle scuole, negli ospedali. Svalutano la sede, le persone che le usano, l’istituzione cui appartengono, il compito che devono svolgere. Se usate dai politici, ne minano la credibilità, il piedistallo su cui le masse collocano ancor oggi e nonostante tutto i leader; minano l’istituzione che essi rappresentano, danneggiano gravemente la salute dei nostri organi rappresentativi, accentuano il rischio di sfascio cui le strutture democratiche sono sempre esposte. La puerile ritorsione di un insulto volgare è un piacere vietato ad un leader politico.
L’articolo La parolaccia proviene da ytali..