Le elezioni europee giungono a chiudere l’intenso ciclo elettorale spagnolo, dopo i voti galiziano, basco e catalano, con le politiche dello scorso luglio fanno cinque importanti voti in un anno. La Spagna apporterà all’Europarlamento sessantuno deputati (ne aveva 59 ma è stata beneficiata dalla Brexit) dei 720 scranni europei.
Secondo l’ultimo Eurobarometro, in cima alle preoccupazioni degli spagnoli, che restano tra i più europeisti dell’Unione, ci sono, per quanto riguarda i problemi interni, prezzi e inflazione, immigrazione, sistema sanitario, inquinamento e cambiamento climatico, prezzo della casa. Guerra in Ucraina, immigrazione, situazione internazionale, costo della vita, inquinamento e cambiamento climatico sono invece i principali problemi con cui si confronta l’Unione europea. Temi che trovano poco spazio nella campagna dei partiti e che vengono oscurati del tutto, col ruolo attivo della magistratura, sempre più protagonista dello scontro politico spagnolo.
Lunedì il giudice Juan Carlos Peinado ha citato a dichiarare in qualità di indagata la moglie di Pedro Sánchez, Begoña Gómez, accusata di tráfico de influencias, l’uso di relazioni privilegiate per influire su decisioni, in questo caso del governo.
Della vicenda, relativa al salvataggio nel 2020 della compagnia Air Europa, in crisi per l’epidemia di Covid-19, accennammo qui. Sánchez, con una lettera alla cittadinanza, denunciò l’attacco politico e aprì un inedito e discusso periodo di riflessione di cinque giorni per capre se “valeva la pena di continuare”. Alla fine decise di restare ma, evidentemente, l’inusuale mossa non è bastata.
Il giudice Peinado ha deciso di portare avanti il procedimento, malgrado l’uffico del pubblico ministero ritenesse le accuse infondate, la relazione della Guardia Civil escludesse fatti delittuosi e il Tribunale supremo avesse da tempo indicato di non aprire procedimenti basati su fonti di stampa che non avessero riscontri probatori. La convocazione di Gómez non è immediata, la data è il 5 luglio, e l’annuncio anticipato si pone strategicamente nel cuore della campagna elettorale.
Il Partido popular non si è fatto sfuggire l’occasione e ha centrato la campagna sul tema. Alberto Nuñez Feijóo ha detto che “Sánchez è obbligato a assumere le sue responsabilità politiche”, e quindi dimettersi, come specificano altri rappresentanti del Pp. Sánchez ha scritto un’altra lettera alla cittadinanza, questa volta chiamando indirettamente al voto per il Psoe in risposta all’uso politico della giustizia. I temi europei hanno così abbandonato definitivamente la fase finale della campagna, una fase decisiva, visto che i sondaggi quantificano un 35 per cento di indecisi che scioglierà i dubbi solo a ridosso del voto.
Lo scontro principale è tra Psoe e Pp. Il Psoe è il primo gruppo del Pse con 21 deputati (uno è dei socialisti catalani) su 140. Il Pp ne ha 13 sui 176 del Ppe. Presente nel dibattito c’è stata, sì, la politica internazionale, col grande muoversi di Sánchez che, oltre a guidare il riconoscimento dello stato di Palestina da parte di Spagna, Norvegia e Irlanda, ha appena stretto un accordo con l’Ucraina per un miliardo di euro in aiuti, ma meno specificamente la politica europea. Ma i temi interni hanno ora la supremazia.
Sánchez prova anche a inserire il voto nello scontro internazionale destra / sinistra, per la difesa dello “sguardo socialdemocratico” attivato dall’Unione dalla pandemia contro il riemergere dell’austerità, ma anche lui gioca una doppia partita interna. Da un lato spera nel sorpasso rispetto al voto nazionale sul Pp, dato avanti da quasi tutti i sondaggi, ma sarebbe positivo per lui anche un mantenimento delle posizioni, con una risultato attorno al 30 per cento; dall’altro mira a consolidarsi a sinistra, a spese di Podemos e Sumar, impegnati in una lotta intestina che sta gravemente nuocendo al campo a sinistra del Psoe.
Il Partido popular propone un voto in chiave quasi esclusivamente interna, come pronunciamento su Sánchez. Il Pp è storicamente poco interessato ai temi internazionali, Alberto Nuñez Feijóo soffre lo standing internazionale e la perfetta conoscenza dell’inglese di Sánchez e anche sulla questione israelo-palestinese gioca di rimessa sulle iniziative del socialista, stigmatizza la crisi aperta con Israele, critica i tempi ma evita di dare indicazioni su cosa andrebbe fatto, guardando con fastidio al protagonismo socialista ma incapace di proporre letture alternative.
Feijóo cerca una rivincita sulle politiche che, pur vinte, non gli hanno consentito di tornare al governo, anche per mantenere la guida del partito. L’apertura di Alberto Nuñez Feijóo alla possibilità di presentare una mozione di sfiducia contro Sánchez ribadisce questa impostazione. Un cattivo risultato del Psoe riaccende speranze per il politico galiziano ma evidenzia anche le contraddizioni. Una sfiducia avrebbe bisogno dei voti di Junts per passare, e presupporrebbe la nascita di un governo del Pp coi voti degli indipendentisti catalani, oltre che di Vox, per il meccanismo della sfiducia costruttiva che impedisce le crisi al buio. Un passaggio apparentemente logico, sono formazioni di destra, reso impossibile dallo scontro tra nazionalismi contrapposti. Junts, poi, è partito che beneficia dell’amnistia, quel tema quasi taciuto dal Pp nelle recenti elezioni catalane che però è pane quotidiano dello scontro politico nazionale.
Il vento di destra che attraversa l’Europa si fa sentire anche in Spagna, confermato dai sondaggi che vedono il Pp in vantaggio, anche se in diminuzione nelle ultime settimane con qualche istituto che pronostica un pareggio tecnico. Solo il Cis, Centro de Investigaciones Sociológicas, dà avanti il Psoe. Istituto pubblico di ricerca, dipendente dal governo, ha spesso suscitato polemiche nelle sue rilevazioni anche se, negli ultimi voti, è quello che più si è avvicinato ai risultati reali. Vediamo che scenari disegnano i sondaggi per i diversi protagonisti.
Come detto il Pp è dato avanti ma la sua corsa rallenta. La candidata è Dolors Montserrat, eurodeputata, portavoce del Ppe e ex ministra del governo Rajoy, abbastanza oscurata dalla campagna di Feijóo contro Sánchez. Il Pp è dato nella media dei sondaggi al 33,9 per cento e 23 seggi. Il Cis lo dà tra il 28,3 e il 30,5 per cento%, tra 19 e 20 seggi. È certamente in crescita rispetto al 2019 quando ha ottenuto 13 deputati col 20,1 per cento dei voti ma sembra aver interrotto il recupero di voti che erano andati a Vox.
A vento forte corrisponde forte competizione a destra, con Vox che si consolida e una nuova lista a contendere i voti degli elettori, mentre Ciudadanos, che ottenne nel 2019 otto eurodeputati, scompare dalla mappa. Vox, che presenta il candidato Jorge Buxadé, è dato dalla media sondaggi al 9,6% per 6 eurodeputati, due in più del 2019. In linea il Cis che gli dà tra il 9 e l’11 per cento. Vox avrebbe messo una diga al riassorbimento di voti da parte del Pp, blindando la terza posizione in Europa e ricominciando a crescere.
L’altra lista di destra è Se acabó la fiesta (La festa è finita) dell’ex esponente di Ciudadanos, Alvise Pérez. Antivaccinista in pandemia, protagonista di persecuzioni alle donne che si recavano in cliniche abortive precedentemente, oggetto di diverse denunce da parte di esponenti politici progressisti e giornalisti contro cui aveva lanciato accuse infondate, Alvise è uscito indenne da alcuni processi, grazie a decisioni giudiziarie estremamente comprensive, e ha subìto diverse condanne a risarcire i danni morali, nessuna ancora passata in giudicato. I diversi procedimenti in atto, in caso di elezione, andrebbero al vaglio preventivo del Tribunale supremo, stante l’eventuale carica di eurodeputato. È dato al 2,3 per cento nella media delle inchieste, un seggio, e addirittura in quinta posizione dal Cis, che stima un voto tra il 4,9 e il 5,7 per cento, fino a tre seggi. Una candidatura mileista che può erodere voti di Vox.
Nell’altro spettro politico i sondaggi riportano la crescita del Psoe a spese dei partiti alla sua sinistra. Il Psoe è dato attorno al 30 per cento (tra il 31,6 e il 33,2 per cento dal Cis) con venti seggi, uno in meno rispetto all’attuale Europarlamento. La candidata el Psoe è Teresa Ribera, attuale terza vicepresidente del governo e ministra per la Transizione ecologica e la Sfida demografica. Con una certa esperienza internazionale, ha presieduto l’Istituto per lo sviluppo sostenibile di Parigi, è in questo momento la più vicina al leader socialista, tanto da essere ritenuta una sua possibile delfina.
A sinistra del Psoe il duello è tra Sumar e Podemos. Sumar presenta Estrella Galán, a lungo direttrice della Commissione spagnola per i rifugiati, ed è data attorno al 6 per cento dei voti, per tre o quattro seggi, mentre Podemos, che presenta l’ex ministra dell’Uguaglianza Irene Montero, è data attorno al 3,4 per cento, per due o tre seggi — alle ultime elezioni ne ottenne 6, col 10,1 per cento dei voti. Questo campo fatica a motivare elettori delusi dalla deriva fratricida tentati dall’astensione o dal voto per Sánchez, che si erge a muro contro le destre.
La circoscrizione unica nazionale delle europee cambia le carte in tavola e spinge alcuni partiti a presentarsi da soli, è il caso di Podemos nella sua battaglia con Sumar, oppure a coalizzarsi, nel caso di liste molto concentrate territorialmente.
I partiti nazionalisti locali di sinistra si sono presentati in una lista comune, Ahora Repúblicas, composta da Esquerra nacionalista de Catalunya, i baschi di EH Bildu e i galiziani del Bloque Nacional gallego. Presentano la catalana Diana Riga, che già fu la candidata per la lista di coalizione nel 2019, e sono dati attorno al 4,3 per cento, in discesa ma confermando i 3 seggi attuali.
Per gli altri partiti nazionalisti gli auspici sono più complicati. Il Partido nacionalista Vasco, che con Coalición canaria presenta la lista Europa Solidaria, sono dati all’1,6% che metterebbe a rischio l’unico seggio di cui dispongono. Gli indipendentisti di Junts, che si presentano da soli, otterrebbero attorno al 2,4 per cento, un deputato rispetto ai 3 del 2019, quando era candidato Carles Puigdemont che si è presentato alle ultime elezioni catalane.
Il segno di queste elezioni è il cambio di governance per l’Europa, il progetto di Max Weber, capogruppo del Ppe, di rompere l’accordo col Pse. Un progetto che guarda al “vento di destra” che soffia da un po’ nel mondo — e che, al tempo, lo alimenta.
L’Italia, con Giorgia Meloni, ne è buona misura. È bastata l’espressione di fede atlantista e la sordina messa al populismo anti-Ue per farla promuovere a affidabile protagonista della politica europea. Meloni archivia l’autonomia della politica italiana nel mediterraneo, con piacere di Germania e Francia, schiacciate su Israele nel dramma della Guerra di Gaza e dei suoi crimini, dal pogrom criminale di Hamas del 7 ottobre alla risposta presto divenuta criminale del governo israeliano. In Francia, Lepen vede premiata nella sua opera di ripulitura da sondaggi trionfanti, e guarda a Strasburgo come rampa di lancio per L’Eliseo. Alcuni elementi vengono sacrificati nel cammino, come i filo-nazisti tedeschi dell’Adf.
La Spagna rappresenta un’altra strada, a partire dalla posizione su Gaza, in cui si è posta come punto di riferimento di chi cerca una via d’uscita dal dramma israelo-palestinese che coniughi la sicurezza di Israele con quella dei palestinesi, il diritto ad esistere di entrambi i popoli, e del percorso europeo, mantenendo il cordone sanitario verso le destre nazionaliste radicali e rinforzando l’autonomia europea negli scenari internazionali e la sua dimensione sociale. Una strada messa alla prova dal voto. La posta in gioco rischia di essere nascosta dallo scontro politico interno ormai senza regole. Favorendo un’Europa tecnocratica, con la guida di Mario Draghi, che non ebbe scrupolo a dimettersi malgrado il vantaggio che dava a Meloni, che ora potrebbe restituire il favore, convincendo le altre destre e consolidandosi come statista europea.
Vedremo nelle urne se Sánchez, accettando un’altra volta il voto come referendum su di sé, ha trovato il modo di scrivere un altro capitolo del suo Manuale di resistenza.
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