Ha vinto 3 a 2 a Bergamo e non era facile. Certo, il successo in casa dell’Atalanta, ancora ebbra di gioia per la conquista dell’Europa League contro il Bayer Leverkusen, non può cancellare la sconfitta di mercoledì scorso contro l’Olympiacos. Sembra quasi che sulla povera Fiorentina si sia abbattuta una maledizione, la stessa che, almeno in ambito europeo, ha colpito da decenni due compagini blasonate e ricche di campioni come Juve e Benfica che, tuttavia, quando vedono una finale secca vanno nel pallone. E se per i lusitani possiamo rievocare l’anatema di Bela Guttmann, il santone ungherese artefice degli ultimi trionfi delle aquile di Lisbona in ambito continentale, ai tempi di Eusébio e compagni, per la Juve il discorso è diverso: mai vista una compagine più sprecona all’atto conclusivo, capace di perdere persino quando partiva con i favori del pronostico, ad esempio nel ’97 contro il Borussia Dortmund.
La Viola, da questo punto di vista, non fa eccezione. Due finali di Conference League perse in due anni: la prima contro il West Ham e la seconda, come detto, contro una squadra greca di buona levatura ma non particolarmente entusiasmante. Ciò non cancella, però, il lavoro e i meriti di Vincenzo Italiano: un tecnico che ha preso i gigliati in fondo al pozzo, reduci da salvezze avventurose e prestazioni desolanti, e ha dato loro un’anima, un gioco e un’identità, conferendo alla Fiorentina uno spirito di gruppo che non aveva e, anzi, sembrava quasi rifiutare. Eppure non ce l’ha fatta.
Quando si tratta di essere scaltri e un tantino cinici, del resto, i Viola proprio non ce la fanno. L’istinto delle eterne cicale riaffiora quando non dovrebbe, quando un minimo di opportunismo sarebbe necessario, quando bisognerebbe serrare le fila, stringere i denti e portarla a casa. E invece, ancora una volta, è andata diversamente, a pochi minuti dai rigori, quando una disattenzione difensiva ha consentito a un centravanti marocchino di cui sentiremo parlare molto a lungo, tale El Kaabi, di incunearsi nell’area dei toscani e trafiggerli con un colpo alla Inzaghi: non bello, non epocale, nulla che vedremo e rivedremo per generazioni, ma sufficientemente furbo per fare la differenza.
E così, questo Pippo dell’Atlante ha regalato ai greci un successo insperato, figlio della tenacia e delle intuizioni tattiche di un allenatore, Mendilibar, che l’hanno scorso aveva condotto all’apice della gloria il Siviglia nella finale di Europa League contro la Roma e quest’anno si è ripetuto contro la Fiorentina, come se avesse messo nel mirino le formazioni di casa nostra.
Del resto, Ancelotti insegna che per vincere, specie in finale, non è necessario essere spettacolari. Talvolta, si può portare a casa la coppa anche sfruttando gli episodi a favore, coscienti del fatto che del bel gioco, dei colpi a effetto e delle occasioni sprecate, in breve tempo, non se ne ricorda nessuno. Conta il nome del club nell’albo d’oro: questa è l’amara verità con la quale anche noi sognatori senza fine, anche noi cercatori di bellezza, anche noi innamorati di una certa idea del calcio e della vita siamo costretti a misurarci. Non a tutti i costi, naturalmente: anche all’ambizione dev’esserci un limite. Ma ha la sua importanza, proprio come il denaro: dannazione alla quale non si può rinunciare, almeno se non si vuol condurre un’esistenza disperata. Non si può, tuttavia, chiedere a una cicala di convertirsi alla religione della formica, e la Fiorentina cicala è nata e cicala resterà, pure quando, e ce lo auguriamo di cuore, dovesse riuscire ad alzare al cielo un trofeo.
A tal proposito, ci tornano in mente i versi immortali di Rodari:
Chiedo scusa alla favola antica / se non mi poace l’avara formica. / Io sto dalla parte della cicala / che il più bel canto non vende, regala.
Vediamo come la pensa Raffaele Palladino, il nuovo tecnico viola, fra i più promettenti della Serie A.
L’articolo La splendida cicala proviene da ytali..