Volevano regalargli un pezzo di scudetto al Bologna, per compensarlo dei molti tradimenti patiti, ultimo quello orditogli contro dal destino che cinque giorni fa gli uccideva Dall’Ara. Ma Bernardini aveva detto subito – prima che l’ambigua proposta trovasse troppi fautori – di non voler firmare compromessi. Sul campo doveva giocarsi lo scudetto e sul campo il Bologna l’ha vinto, come meritava.
Così scriveva Giorgio Tosatti all’indomani di una partita epica, lo spareggio tricolore fra il Bologna di Fulvio Bernardini e l’Inter di Helenio Herrera sul prato dell’Olimpico.
La Grande Inter era reduce dal 3 a 1 inferto al Real Madrid in una finale di Coppa dei Campioni letteralmente eroica, data la caratura dell’avversario. Il Bologna, invece, oltre ad aver vissuto una stagione tribolata, segnata dall’ombra del doping, aveva, come detto, perso da poco il presidente Dall’Ara, anima e punto di riferimento della società rossoblu, colui che aveva preso in mano il club dopo il gerarca Leandro Arpinati, inizialmente potentissimo e poi caduto in disgrazia, ed era stato l’artefice dello “squadrone che tremare il mondo fa” ai tempi di Biavati e Sansone, con Árpád Weisz in panchina, per poi replicare il miracolo trent’anni dopo con Haller, Nielsen, Fogli, Bulgarelli e l’allegra compagnia che il 7 giugno del ’64 riuscì ad avere la meglio su un avversario palesemente stanco e ancora troppo ebbro di gioia per concentrarsi su uno spareggio che per il Bologna era tutto e per i nerazzurri no. Quella compagine, infatti, aveva il carattere indomito del suo condottiero: uno che ne aveva viste e subite tante, dunque non era incline ad arrendersi. Senza contare che la scomparsa di Dall’Ara costituiva una perdita atroce, tanto che senza di lui i felsinei non hanno mai più vissuto momenti così intensi. Sono dovuti passare, per l’appunto, sessant’anni prima che un canadese seriamente innamorato del calcio e dell’Italia, Joey Saputo, un magnate capace di calarsi nella nostra realtà e di circondarsi di persone davvero competenti, riportasse il Bologna in Champions League. L’Inter, nel frattempo, con e senza il “Mago” Herrera ha vinto, invece, tutto quello che c’era da vincere, regalandosi anche, unica squadra italiana, la gioia del “triplete” targato José Mourinho. Due destini diversi, quindi, che ora si ricongiungono, visto che nel prossimo torneo continentale Bologna e Inter saranno insieme, sia pur con prospettive differenti, e occhio a non sottovalutare la grinta e la passione dei ragazzi del neo-tecnico Italiano perché non c’è dubbio che vogliano togliersi e regalare ai tifosi qualche sorpresa.
Tornando ai protagonisti di quell’incontro che dista ormai sei decenni, sentite cosa scrisse di Herrera quel genio di Gianni Brera, quando il conducator dell’Inter di Moratti padre era all’apice della gloria:
In piena èra atomica, il nome di un allenatore di calcio è stato riassunto in una sigla che raddoppia la bomba H. La sigla è composta dalle iniziali di Helenio Herrera, uomo dotato in verità di temperamento esplosivo. Il giornale che per primo si è servito di quella sigla obbediva probabilmente a esigenze di spazio. Talora i titoli si vogliono forti e lo spazio orizzontale – o giustezza – non consente l’uso di corpi elevati. Così si inventa la sigla H. H., sulla quale ironizzano i detrattori, leggendovi le iniziali di Habla Habla.
Che “hablasse” non c’è dubbio: era uno che parlava non poco, specie con i giocatori, infondendo loro un coraggio e una fiducia in se stessi ai limiti della sfrontatezza. Per fortuna dell’Inter di quei tempi, tuttavia, il nostro agiva pure, altro che se agiva! Eppure, quel pomeriggio, fiaccata dalle troppe avventure di un’annata comunque indimenticabile, l’Inter ebbe la peggio, mentre l’allegra brigata di Bernardini festeggiava incredula, con il cuore colmo di una felicità che non si può descrivere a parole.
Sessant’anni, e la magia del calcio, la stessa che consentì all’allora direttore del Carlino, Giovanni Spadolini, convinto che le partite si svolgessero in tre atti, di comprendere la portata dell’evento e raccontarlo al meglio, quella magia, dicevamo, si ripete. È una meraviglia sempre uguale e sempre diversa, proprio come le intuizioni di Bernardini ed Herrera, talmente avanti che sarebbero modernissimi anche adesso.
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