Se Luciano Spalletti, che oltre a essere un grande allenatore è anche una persona molto attenta alle questioni sociali e al comportamento di giocatori e tifosi, ha deciso di dargli fiducia, significa che in quel ragazzo ha visto qualità umane che altri non hanno ancora colto. Del resto, scusate l’autocitazione, siamo stati fra i primi a sostenere che Nicolò Fagioli, dopo la squalifica legata alle scommesse, meritasse una seconda opportunità. Perché ne conosciamo la serietà, perché sappiamo che è un ragazzo a posto e perché crediamo che abbia pagato già abbastanza per un errore imperdonabile ma dal quale ha tratto un insegnamento che gli sarà utile per il prosieguo della carriera e della vita: nulla è perduto, quando si vuole davvero cambiare. E lui, ne siamo certi, è già cambiato. Non scommetterà più, non si lascerà più travolgere dalla noia, non getterà alle ortiche un talento che ha indotto alcuni osservatori a paragonarlo addirittura a Modrić e, soprattutto, non si lascerà scappare l’occasione unica di riscattarsi sul campo, mandando al diavolo tutti i diffusori d’odio, chi lo ha giudicato senza conoscerlo e senza capirlo e la solita torma di commissari tecnici da divano che pretendono di insegnare a un allenatore coi fiocchi come Spalletti a fare il suo mestiere.
Al che, ci torna in mente un precedente alquanto suggestivo. Era il 1982 e c’era un ragazzo, originario di Prato, che due anni prima era incappato, a sua volta, nello scandalo del Calcioscommesse. Molti lo consideravano ormai finito, tranne due persone: Giampiero Boniperti, presidente della Juventus, che non solo lo aveva confermato in squadra ma gli aveva fornito anche degli utili consigli per resistere alla sofferenza della squalifica, e, soprattutto, Enzino Bearzot, che credeva in lui al punto di sacrificare il capocannoniere della Serie A, Roberto Pruzzo, e di portare in Spagna, come naturale sostituto di Rossi, Franco Selvaggi, centravanti del Cagliari che visse quell’avventura da turista.
Oggi Pablito è considerato, giustamente, un eroe nazionale. Il giorno dei funerali la commozione era tangibile. Basta, tuttavia, dare un’occhiata a ciò che scrivevano non pochi cronisti e commentatori alla vigilia del Mundial, e anche nel balordo girone di Vigo, conclusosi con tre pareggi incolori contro Perù, Polonia e Camerun, per farsi un’idea di quale clima aleggiasse intorno agli Azzurri che ora veneriamo come miti. Zoff era vecchio, la squadra aveva tutti i difetti più qualcuno, Rossi era bollito e sul commissario tecnico venivano riversate tali e tante critiche che solo un friulano con la sua tempra avrebbe potuto resistere a quel massacro. Poi Pablito segnò tre gol al Brasile, due alla Polonia in semifinale e uno, il primo, nell’apoteosi del Bernabéu, con Zoff che alzò la coppa al cielo di Madrid e l’Italia intera che si riconciliò col calcio e con la vita, ponendo di fatto fine all’inferno degli Anni di piombo e lanciandosi con entusiasmo verso un decennio che, purtroppo, avrebbe ampiamente tradito le aspettative, rivelandosi edonistico, illusorio e, per certi versi, addirittura devastante. Fatto sta che Rossi, da allora, è un’icona e, dopo la sua scomparsa, la sua figura ha assunto tratti quasi mistici.
Ebbene, non siamo qui a sostenere che Fagioli valga altrettanto né che alzeremo al cielo la coppa Henry Delaunay, bissando il successo di tre anni fa a Londra. Non c’è dubbio, però, che i ventisei ragazzi scelti da Spalletti abbiano tutti un carattere forte e motivazioni d’acciaio, a cominciare, come detto, da colui che più di chiunque altro è stato messo in discussione. Nicolò si è perso, si è lasciato travolgere dal demone della noia e delle scommesse, ha rischiato seriamente di rovinarsi e ci ha rimesso un’intera stagione. La Juve, proprio come ai tempi di Boniperti (evidentemente, qualcosa si è salvato), ha avuto il merito di continuare a credere in lui, di rinnovargli il contratto e di infondergli la forza di andare avanti. Spalletti, dal canto suo, ha capito che un potenziale campione con uno sconfinato bisogno di rivedere la luce sarebbe stato perfetto dentro e fuori dal campo e ha deciso di portarlo con sé. I soliti lo hanno già crocifisso, invocando il merito, feticcio di quest’epoca stupida e intrisa di vendetta, e aspettandolo al varco, in attesa del primo risultato negativo per sostenere che il c.t. sia un incapace che premia i cattivi esempi e per infangare un ragazzo di ventitré anni che ha già sofferto abbastanza e ha tutto il diritto di ripartire.
Difficilmente il toscanaccio di Certaldo riuscirà a vincere subito, ma se lo lasceranno lavorare in pace, entro qualche anno potremo toglierci non poche soddisfazioni. E Fagioli sarà uno dei protagonisti di quest’avventura, mentre il Vecio da lassù gli sbufferà un sorriso con la pipa fra le labbra.
L’articolo Spalletti, Fagioli e il Vecio proviene da ytali..