La conversazione con il germanista Luca Crescenzi non può che iniziare dal dato politico che maggiormente colpisce e fa discutere dell’esito del voto europeo in Germania. Gli chiediamo, parafrasando una battuta a effetto del certame politico italiano: è stata vista arrivare la Alternative für Deutschland (AfD)?
Che la Afd fosse in arrivo – dice il presidente dell’Istituto di studi Germanici – si era capito fin dalle ultime elezioni regionali in cui era accreditata di altissimi numeri, 22-24 per cento. Poi ha raggiunto notevoli percentuali nelle aree dell’est della Germania, dove è più forte elettoralmente.
Già, è stata “vista arrivare” ma non sono riusciti a fermarla…
Il discorso andrebbe esteso a tutta l’Europa. Non riguarda solo la Germania. C’è un confuso bisogno di sicurezza che spinge un elettorato medio verso partiti che sembrano garantirlo, questo bisogno. Nel caso della Germania c’è naturalmente il combinato determinato dalla situazione politica – e storicamente svantaggiata – delle regioni dell’Est, che a questo punto sembra arrivata a una situazione di chiaro malcontento. Non è un voto di protesta, è proprio un voto che chiede una politica diversa, ed è una richiesta brutale, da cui poi – nel caso tedesco – viene il grosso del risultato elettorale della AfD.
Secondo i primi rilevamenti in Francia sulle ragioni del voto, gli elettori di Le Pen mettono al primo posto l’economia, il potere d’acquisto, con in secondo piano la politica internazionale. Considerando che in Germania il grosso dei voti l’estrema destra li raccoglie a Est, è possibile che anche nel caso tedesco la situazione economica e la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie abbiano pesato più dei temi ecologici e del quadro internazionale?
Io credo che la risposta a questa domanda complessa vada contemplata nella richiesta di maggior sicurezza, legata a una diffidenza crescente verso le politiche migratorie europee – e specificamente nazionali in Germania – che da tempo suscitano malcontento.
Si sente dire che la politica internazionale conti poco, ma non è forse nel quadro della politica internazionale che vanno considerati i grandi flussi migratori? Si pensi all’Est europeo e ai flussi che sono stati massicci in seguito all’invasione dell’Ucraina. E paradossalmente si va a premiare una formazione l’AfD, che ha una politica – diciamo eufemisticamente – conciliante nei confronti della Russia e di Putin.
Certo, c’è sicuramente preoccupazione per l’economia che tuttavia in Germania ha fatto segnare notevoli incrementi stipendiali, nell’ordine del dieci, venti, fino al trenta per cento nell’ultimo anno, in ragione dell’inflazione pregressa.
Quindi, sì, c’è un calo del potere d’acquisto, certamente è vero che c’è una perdita del diffuso benessere in cui si trovava la popolazione tedesca fino a poco tempo fa, ma il problema mi sembra più storico.
Sono i Länder della parte orientale della Germania che si lamentano, sono quelli che storicamente hanno goduto meno del benessere tedesco, sono regioni dove c’è una parte rilevante della popolazione che non si sente rappresentata a Berlino. E che paradossalmente – rispetto a tutte le altre aree europee che hanno subito la sottomissione al potere russo-sovietico durante la guerra fredda – non sembra avere timori in questo senso.
Certo, storicamente è vero, quelle sono sempre state zone più povere di quelle dei vecchi Länder, è così da molto tempo. Le sacche di vera povertà sono proprio in quella parte del paese, nel Mecklenburg-Vorpommern, il Land più povero della Germania.
Il problema è storico, bisogna tornare a trent’anni fa, quando si è fatta una politica di integrazione economica a due velocità, con stipendi a est inferiori rispetto all’ovest del venti per cento, con differenze economiche programmate che hanno anche portato a numerose estromissioni dal circuito produttivo, anche di figure qualificate, come gli intellettuali che lavoravano nelle università, situazioni che poi non sono state sanate.
Alla lunga, si sono sommati altri motivi di malcontento di varia natura, come l’immigrazione dalla Siria, ma ancora di più dall’est, il motivo di maggior timore in Germania. Adesso non c’è dubbio che si confondano spinte storicamente e razionalmente giustificate con spinte del tutto irrazionalmente ingiustificate.
Dopo l’uscita di scena di Angela Merkel si è affermata nella CDU/CSU una classe dirigente che va in una direzione diversa, fino a far temere una possibile apertura all’estrema destra. È un timore fondato?
Ma no… La CDU/CSU deve i suoi successi al fatto di essere un baluardo di solidità della democrazia tedesca e dubito fortemente – soprattutto fintanto che AfD non chiarirà gli equivoci estremistici al suo interno – che i cristiano-democratici abbiano alcuna intenzione di fare alleanze con loro.
È anche vero che possono esserci politiche di interesse per il bacino elettorale della AfD e che possono spingere rappresentanti della CDU-CSU a posizioni di maggior conservatorismo. Se però la CDU-CSU rinunciasse al suo ruolo di baluardo democratico la pagherebbe in termini di perdita di consensi. Hanno avuto un onorevole risultato in queste europee, esito di una campagna di moderazione e cautela, e nessuno si è sognato poi di chiedere nuove elezioni se non gli esponenti della AfD. Certamente non della CDU/CSU.
La Germania finora ha vissuto, dopo la guerra, una condizione di complessiva convergenza delle principali forze politiche sui temi di fondo che riguardano l’interesse nazionale, in nome della stabilità, valore in cui i tedeschi hanno sempre creduto almeno secondo la narrazione dominante in Germania. Il voto europeo fa pensare che si stia mettendo fine a questa condizione. Forse perché era solo una condizione apparente…
Non credo fosse apparente. Diverse garanzie che vengono direttamente dalla Costituzione rendono la stabilità un valore primario della cultura politica tedesca, un fattore essenziale.
L’impressione di instabilità che hanno dato queste elezioni è molto probabilmente dovuta al fatto che si è votato con il proporzionale puro. Non c’era alcuno sbarramento e quindi c’è stato un frazionamento del voto di cui, non a caso, si sono molto lamentati i dirigenti socialdemocratici dopo le elezioni. Questo sistema di voto, non usuale in Germania, dove vige uno sbarramento al cinque per cento in tutte le altre elezioni, ha senza dubbio penalizzato l’SPD.
Che poi la Germania, come tutta Europa – e per le ragioni che dicevamo prima–, subisca anch’essa la tentazione di cedere a spinte che tendono a ridurre lo storico dominio dei partiti tradizionali, può essere vero, ma il risultato della CDU/CSU sembra del tutto in contrasto con questa percezione.
Eppure sembra un paese spaesato, la Germania, oggi. E dire che aveva dimostrato, specie negli ultimi due decenni, una considerevole capacità di adattamento ai tempi che cambiano. Si pensi solo all’arrivo di tanti immigrati che, con pur con difficoltà e problemi, si sono generalmente ben inseriti nel tessuto della società, fino a occupare anche posti importanti. C’è stato un eccesso di ottimismo nel pensare che questi processi stavano avvenendo in modo costruttivo e complessivamente non conflittuale?
Credo sia troppo presto per poter saltare a simili conclusioni. Bisognerebbe analizzare i flussi, bisognerebbe vedere cosa e dove si sono determinate le oscillazioni più grandi. Immagino che queste analisi più specifiche del voto saranno fatte nei prossimi giorni.
Per ora, più in generale, vanno tenuti in considerazione certi fattori storici e nodi che risalgono ad alcuni decenni, solo parzialmente affrontati, e che ora arrivano al pettine. Se storicamente la Germania ha un corpaccione conservatore, ne va anche messa in luce una sua qual flessibilità, che deve essere riconosciuta e che ha spesso prodotto anche i successi della SPD. Ma è anche vero che le preoccupazioni per la Germania sono meno congiunturali che strutturali. Già da alcuni anni si avvertiva, verso il tramontare dell’era Merkel, una certa arretratezza, persino tecnologica, in alcuni campi, che preoccupava gli osservatori internazionali, i quali ritenevano, già intorno al 2020, che il paese europeo con le peggiori prospettive di crescita e sviluppo nel decennio successivo sarebbe stato la Germania.
Il che mi porta a dire che il governo Scholz, oltre a errori politici propri, paghi anche, per così dire, la fine dell’era Merkel, che è anche la fine di una perseguita stabilità europea legata alla stabilità della Germania. Un percorso politico che ha nascosto problemi strutturali che ora probabilmente emergono prepotentemente, senza però dimenticare che l’impresa più coraggiosa del cancelliere Scholz, il riarmo della Germania di fronte alla minaccia diciamo russa, è una scelta che pesa molto anche sui punti economici delicati e che ha alienato delle simpatie. La Germania, e va detto a suo favore, è tradizionalmente un paese scarsamente militarista da dopo la Seconda Guerra Mondiale e tendenzialmente incline ad accomodamenti diplomatici in ogni situazione di crisi. È quello che Merkel ha interpretato molto bene nel suo tempo.
Quali possono essere i riverberi del dopo voto tedesco sul quadro europeo? C’è una crisi dell’asse franco tedesco in presenza dei cambiamenti in Francia. E, per quanto riguarda l’Italia, nella relazione con la Germania e con l’Europa, paradossalmente l’affermazione nei due paesi di forze di destra sovraniste potrebbe creare più incomprensioni e difficoltà di quante non ce ne siano oggi?
Se l’asse franco tedesco può apparire incrinato da queste elezioni, questo è dovuto alla crisi dei due partiti che in questo momento esprimono i capi delle due nazioni, Macron e Scholz. Non mi sembra che l’asse franco tedesco sia strutturalmente in crisi, penso che probabilmente si riorganizzerà intorno a nuove figure e a nuove forze politiche. Già si nota in Francia un ammorbidirsi dei toni del Rassemblement National, il che fa pensare che forse ci sarà comunque una convergenza, se non altro di sentimenti, fra chi dovesse uscire vincitore delle prossime elezioni in Francia e la Germania nei suoi assetti futuri.
Per quanto riguarda l’Italia e il suo rapporto con l’Europa, osservo che hanno vinto i due partiti che in questo momento appaiono, nello schieramento di destra, più vicini all’Europa, soprattutto Forza Italia, che ha avuto un risultato direi quasi inaspettato, forse proprio per la sua vicinanza all’Europa.
Se certi risultati in alcuni paesi europei, oltre a Francia e Germania, sono dovuti a un’insoddisfazione per le politiche europee fin cui perseguite, e alla centralità dell’asse franco-tedesco, un risultato in questo senso che preoccupa davvero è quello dell’Austria.
In Austria, benché abbiano tenuto i partiti tradizionali, FPÖ (Freiheitliche Partei Österreichs) è risultato il primo partito. È il partito fondato da Haider, che poi se ne è distaccato in chiave più moderata e comunque ha continuato con una linea decisamente estremista. L’Austria è un paese molto particolare, c’è una insoddisfazione storica nei confronti del resto dell’Europa, c’è l’ambizione di contare di più, di essere centrale nelle politiche europee, mentre il suo ruolo è inevitabilmente subordinato a quello della Germania e spesso ha dovuto assecondarla. Peraltro l’Austria ha sempre fatto parte del cosiddetto gruppo dei frugali, quindi sempre schiacciandosi su posizioni che erano dei paesi più grandi e più forti di lei. E adesso forse si sono spaventati.
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