Le nostre stanze pullulano di elefanti. Esattamente come i nostri giorni, come le nostre vite. Quegli elefanti sono i pachidermici problemi che ci ostiniamo a ignorare, ci rifiutiamo di mettere al centro delle nostre conversazioni, ma anche delle nostre scelte. Di questo, ma anche di molte altre cose, parla “Elephants in Rooms”, l’installazione che la Biennale Teatro presenta, fino al 30 giugno prossimo, a Forte Marghera, a Mestre. Tutti i giorni dalle 11 alle 19.
All’interno del Padiglione 30 del grande complesso difensivo napoleonico, tra terraferma e laguna, è visibile l’installazione video del collettivo Gob Squad, premiato quest’anno con il Leone d’Argento dalla Biennale Teatro diretta da Stefano Ricci e da Gianni Forte. Un argento – metallo prezioso che solitamente identifica i “Leoni” consegnati a personalità o gruppi emergenti – che vale oro, però.
Gob Squad esiste da trent’anni e ha ottenuto, nel corso del tempo, premi (uno anche dal Goethe Institut a Düsseldorf) e ampio riconoscimento di critica (da segnalare l’attenzione che The Guardian riserva da anni ai loro lavori).
A Forte Marghera l’installazione video multi schermo, concepita durante la pandemia, mostra 14 finestre che si aprono sul mondo. I sette membri del collettivo, in collaborazione con sette artisti di India e Cina, hanno realizzato una performance corale stando ciascuno nella propria casa, davanti a una finestra.
La finestra è cornice e diaframma a un tempo, mostra il mondo di fuori, nel quale ciascuno vive la propria quotidianità, ma suggerisce anche le influenze ambientali, i condizionamenti esterni e quelli auto imposti. Ma la finestra è pure lente di ingrandimento per i paesaggi interni, le stanze che ciascuno ha sistemato e arredato a propria immagine o per costruire la propria immagine. Sono 14 quadri quelli che si vedono: quadri perché così somiglianti a dipinti di varia epoca e stile che riaffiorano dai nostri ricordi museali.
Ha un carattere fortemente pittorico questa installazione che, pure, usa l’immaterialità dell’immagine ripresa con gli smartphone in undici località differenti disseminate in una fascia geografica che va da New York a Shanghai.
Per guardarla occorrere avere voglia di una sosta e non avere fretta: serve un po’ più di un’ora per vederla, ma soprattutto per immergersi nei monologhi che parlano dell’intimità di ciascuno di noi, del desiderio e della nostalgia, della solitudine ma anche dei grandi, immensi, problemi che non vogliamo vedere o che non intendiamo affrontare.
Gli elefanti nella stanza sono quelli – sempre gli stessi eppure sempre differenti – che vengono evocati da una espressione tipicamente inglese, codificata anche nei vocabolari, che indica situazioni difficili o esperienze spiacevoli così come questioni gravi e ovvie di cui si evita di discutere.
Il Padiglione a Forte Marghera è arredato con tappeti e divanetti che alludono alle living room delle case nelle quali possiamo immaginare di entrare. Su tavolini, sparsi intorno, quanto occorre per prendere una tazza di tè ma anche per prendere il tempo per rispecchiarci negli attori che raccontano loro stessi ma anche ci trasportano in un concentrato mosaico di ingredienti propri della storia del teatro e della vita.
Gob Squad è un collettivo anglo-tedesco nato all’inizio degli anni Novanta nelle e dalle università. Quella di Nottingham (Trent-University) e la Justus-Liebig-Universität di Giessen, in Assia.
Atenei sui quali spirava lo spirito del movimento artistico Fluxus (con l’attenzione al processo creativo piuttosto che all’opera in quanto tale, l’uso di media differenti, l’annullamento del confine tra arte e vita) ma anche la visione di teatro post drammatico (quello cioè che dagli anni Sessanta del Novecento ha messo il testo della performance in relazione con la situazione stessa in cui la performance si svolge) teorizzata e studiata dal germanista e storico del teatro Hans-Thies Lehmann.
Un gruppo di studenti – che si erano incontrati nella città inglese al corso di arti creative al quale partecipavano anche giovani tedeschi nel loro semestre di scambio a Nottingham – partecipò nell’estate del 1992 al famoso festival di Glastombury, importante palcoscenico per la musica rock ma anche per danza, teatro, circo e molto altro. Quel gruppo fu il nucleo del collettivo vero e proprio che nacque nel 1994. Da allora l’attività non si è più fermata. E – scrivono nel sito i Gob Squad – il collettivo si è esibito in tutta Europa a in tutti i continenti, ad eccezione dell’Antartico.
Cerchiamo di esplorare il punto in cui il teatro incontra l’arte, i media e la vita reale. Oltre che nei teatri e nelle gallerie, mettiamo il nostro lavoro nel cuore della vita urbana – nelle case, nei negozi, nelle stazioni della metropolitana, nei parcheggi, negli hotel o direttamente sulla strada. La vita quotidiana e la magia, la banalità e l’utopia, la realtà e l’intrattenimento sono tutti in rotta di collisione e i risultati imprevedibili sono catturati in video.
Nel tempo alcuni dei fondatori sono usciti dal gruppo, ma altri membri sono entrati. Il collante è la coralità creativa dei sette membri principali – sette come i giorni della creazione – che collaborano a tutte le fasi di ciascuna realizzazione dalla concezione, alla regia, all’esecuzione. A essi si aggiungono tecnici e persone che si occupano di organizzazione e amministrazione che i Gob Squad hanno voluto a Venezia per condividere sul palco di Ca’ Giustinian il Leone d’Argento.
Di volta in volta altri artisti sono invitati a collaborare alle performance. È accaduto anche in laguna. Al teatro Piccolo Arsenale il collettivo ha presentato per due sere “Creation” un lavoro del 2018, ispirato al Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, che affronta il tema del passare del tempo, delle età dell’uomo, del nostro personale, soggettivo, misurarsi con tutto ciò che questo comporta e significa. Spettacolo complesso e profondo divertente e commovente dominato dalla proiezione, sul fondale nero, di un delicato ikebana metafora estetica e filosofica di tutta la performance. Sul palco anche sei artisti ospiti veneziani: Alessandro Bressanello, Guido Laurini, Manuel Nakhil, Margherita Piantini, Pierandrea Rosato, Yoko Yamada.
L’articolo Un leone nella stanza proviene da ytali..