*
1. Evidentemente se oggi dopo quarant’anni il ricordo di Berlinguer si fa nuovamente vivo tanto da entrare graficamente come richiamo e simbolo anche nella tessera del PD di quest’anno (2024, a quarant’anni dalla morte del leader comunista) vi saranno delle ragioni. Ricordiamo anche il successo della recente mostra a Roma sulla sua figura e sulla sua opera politica. Ragioni politiche profonde e durature. Certamente vi è anche la facile strumentalizzazione, vi è la strategia emotiva, che può esprimere una santificazione ingenua e superficiale della sua figura. Spesso si è denunciato il fatto che sia diventato un santino, un argomento retorico, uno instrumentum regni, un metro di paragone o per autolegittimare una propria funzione o per misurare la maturità di una presa d’atto di errori del passato per prendere la scena di un autentico riformismo. Insomma sempre un punto con cui fare i conti, in un verso o nell’altro. Infatti, sebbene Berlinguer sia a volte l’esempio di una acritica valorizzazione, è anche da tempo sottoposto a severa critica, anche all’interno del proprio mondo, si pensi allo sviluppo sempre più deciso – soprattutto per ragione che sono anche apparse strumentali o congiunturali – della discussione sul cosiddetto secondo Berlinguer. Tuttavia proprio il fatto che se ne discuta significa che vi è una vitalità nella sua testimonianza politica. Non è un caso che recentemente da parte di un autorevole storico di destra, Paolo Macry, che scrive su “Il Riformista” e su altri quotidiani della destra italiana (ma si veda anche nel suo recente La destra italiana. Da Guglielmo Giannini a Giorgia Meloni, Laterza, Roma-Bari 2023), si imputi a Berlinguer una sorta di responsabilità verso la matrice di un certo populismo odierno. Un Leitmotiv ricorrente da quando si è affacciata la categoria politica del populismo con grande forza nell’interpretazione della politica italiana. Ma al di là dei motivi di conflitto, indubbiamente la critica a Berlinguer, il fatto che si attribuiscano a lui degli errori importanti per leggere l’evoluzione della politica e della storia politica italiana, significa non tanto una svalutazione della figura, pur nel fraintendimento o nella strumentalizzazione della lotta politica, ma di fatto un rimanere legati anche da critici e avversari al riconoscimento della sua rilevanza. Insomma Berlinguer al di là, o proprio per i differenti giudizi che a distanza suscita, è una figura importante della storia repubblicana.
2. Perché possiamo reputare attuale Berlinguer? Il filo rosso del mio ragionamento sarà quello che Berlinguer è sempre attuale per una sua interessante duplicità, ossia che è un politico che interpreta sia la fase epocale che la fase di crisi. I processi politici sono processi storici, e i processi storici sono caratterizzati, basta considerare le cronologie, da fasi più omogenee e da fase di discontinuità, di crisi e innovazione. Le fasi omogenee possono essere definite come epoche, mentre i punti di discontinuità come i momenti in cui emerge maggiormente la crisi con le sue potenzialità trasformative. Si tratta di una dimensione politica, quella dell’interpretazione di come uscire o risolvere una crisi che dal punto di vista della concettualità politica ha un suo inizio storico-concettuale e di modalità di intendere la politica, in connessione con la storia, in quella soglia temporale che è la fase della Rivoluzione francese connessa alla rivoluzione industriale. Si tratta dell’entrata anche di un modo di intendere la storia nella politica che considera il futuro l’aspetto centrale e progressivo, molto di più che l’esperienza data (su questo rimando in particolare alla storiografia di Reinhart Koselleck). Insomma un’epoca fa posto ad un’altra grazie all’azione umana, per il fatto che si produce una innovazione, una trasformazione, che riesce o d attivare speranze o timori, e che vede da un lato una disposizione delle moltitudini che si attiva per l’azione di gruppi ristretti maggiormente consapevoli e capaci di guida. Il nuovo che si annuncia, in una condizione di mutamento in cui la moltitudine cerca il nuovo ma non lo conosce, richiede che vi sia chi invece lo intravvede e che sia in grado di collegarsi alla moltitudine, utilizzandone l’intelligenza e il desiderio collettivo. Berlinguer è dentro questa modalità di intendere la politica che inizia prepotentemente con la Rivoluzione francese, sebbene arricchita dall’esperienza che nel frattempo si densifica e produce l’epoca dello Stato sociale, democratico e dei partiti. Insomma Berlinguer è un politico di un’epoca – quello dello Stato democratico dei partiti novecentesco -, ma anche è politico della crisi e della ricerca di nuove vie di innovazione, nel senso che il pensiero della crisi cerca vie nuove, propone vie nuove, ma conservando impostazioni della tradizione: una tradizione che va letta all’interno del suo carattere rivoluzionario. D’altro canto la fase finale della leadership berlingueriana si misura con la crisi del movimento comunista internazionale, non solo italiano. Non a caso Berlinguer è un politico che valorizza una grande e ambiziosa funzione nazionale della Repubblica italiana, soprattutto se si fa riferimento alla sua azione nella politica internazionale. Ed è appunto in relazione a questo campo problematico vorrei sviluppare ulteriormente la mia riflessione.
3. Quindi la tradizione rivoluzionaria o meglio del pensiero politico come pensiero della crisi e della rivoluzione è propria di Berlinguer. Ho colto questo aspetto con maggiore consapevolezza recentemente, seguendo una audiolezione di Remo Bodei sulle figure e le funzioni della filosofia in Hegel del 1986 presso l’Istituto italiano degli studi filosofici (temi che ritroviamo nel saggio Scomposizioni). Il tema è nel pensiero hegeliano, nella fase giovanile, o tardo-giovanile, quello del rapporto tra moltitudine o popolo che esprime l’energia e la pulsione ma non ha coscienza e il filosofo che ha la coscienza dei tempi nuovi, conosce la direzione ma non ha la dimensione storica e collettiva per avanzare. La figura dell’intellettuale organico gramsciano è una forma di intellettuale idealistico di questa fase rivoluzionaria in Germania, si pensi a Fichte, poi interpretata da Marx e poi presente nel ruolo del partito in Lenin. Non è un caso che Berlinguer, pur rifiutando lo schematismo, la tradizione del Diamat sovietico, l’ossificazione rituale e burocratica del richiamo a Lenin, non rinuncia, da storicista al leninismo, proprio perché Lenin è una figura dell’intellettuale che interpreta il momento della crisi e della rivoluzione. Queste analogie sono importanti per collocare culturalmente l’impostazione berlingueriana e comprendere maggiormente la sua figura, al di là della mentalità odierna rispetto alla politica. La politica ha a che fare con la Storia, non è un mestiere parassitario di élite che ricercano la rendita della politica. Berlinguer dice più volte di avere fatto una scelta di vita, di sentire la politica come passione, come vocazione, potremmo dire fichtianamente come missione. Infatti con la sua impostazione didascalica e pedagogica – questo il tratto tipico della comunicazione politica berlingueriana – è evidente come egli cerchi di interpretare la figura dell’intellettuale organico di gramsciana memoria (uno sviluppo chiaro di quell’intellettuale-filosofo che vuole cambiare il mondo ma in rapporto ad un collettivo).
4. Berlinguer espressione di un’epoca. Berlinguer è espressione di un’epoca, ossia quella del movimento comunista internazionale nelle sue articolazione, che si caratterizza mediante una serie di vie nazionali e di autonomi sviluppi. Il movimento italiano, quello del PCI, si definisce lungo la linea Gramsci-Togliatti e Berlinguer da questo punto di vista porta ai limiti estremi l’impianto togliattiano, quello della via nazionale al socialismo e della democrazia progressiva, il quale, utilizzando la ricchezza analitica gramsciana sulla funzione degli intellettuali e del partito – come abbiamo visto non estranea al leninismo -, conduce ad una impostazione che definirei di matrice engelsiana, ossia potremmo dire “socialdemocratica”, arricchita da una nuova figura, il partito di massa (prodotto già in nuce nella fase secondo internazionalista). Sulla sostenibilità di questa lettura richiamo anche il recente saggio di Luciano Canfora, Marx e i suoi scolari. Un partito di massa, il PCI, che fa parte della Repubblica dei partiti italiana (la cosiddetta Prima repubblica), e l’epoca in questo caso è espressa dal programma della funzione costituzionale del partito prevista dalla costituzione italiana, ma l’epoca è anche questa vicenda collocata dentro la Guerra fredda e il confronto tra USA e URSS. Si tratta di una fase epocale con i suoi problemi e che negli anni settanta comincia a far emergere gli elementi della crisi. Si tenga presente, poi, che proprio perché Berlinguer rappresenta una cultura politica determinata, esprime allo stesso tempo e proprio per questo il pensiero complessivo e collettivo di un gruppo dirigente, di un collettivo.
5. Berlinguer espressione della crisi. Berlinguer comprende che vi sono aspetti di crisi di un’epoca, questo gli deriva perché interpreta non solo il capitalismo come in una condizione di crisi continua, ma anche perché, soprattutto, avverte fortemente la crisi dell’esperienza del socialismo reale. Inoltre, specialmente dopo la crisi della strategia del compromesso storico, è consapevole della crisi della Prima repubblica, della crisi degli assetti internazionali e delle minacce che incombono sul mondo. Per questo entra nella sua riflessione la cosiddetta attenzione ai pensieri lunghi, a questioni quali la pace o la questione ecologica (il tema della austerità), per non tralasciare anche quella tecnologica protesa a immaginare il futuro (si consideri il rilancio dell’idea della futurologia nell’intervista concessa a Ferdinando Adornato sul 1984). Insomma un Berlinguer alla ricerca di una strada per delineare una uscita dalla crisi. Ma in questo contesto di interpretazione del binomio epoca-crisi vorrei come già richiamato fare particolare attenzione alla questione della politica di Berlinguer in rapporto all’Europa.
6. Berlinguer e l’Europa. In questa fase di campagna per le elezioni europee è di particolare rilievo mettere in evidenza la riflessione berlingueriana sull’Europa, soprattutto in considerazione dell’ultimo periodo dell’impegno del segretario del PCI. Berlinguer intuisce l’importanza della sfera della UE, anche come spazio prima dell’Eurocomunismo e poi come spazio di rapporto con la socialdemocrazia europea. In quest’ottica la candidatura di Spinelli assume un significato preciso di svolta decisa europeista all’insegna dell’internazionalismo e dell’Europa come attore internazionale anche in rapporto alla questione Nord-Sud, all’epoca affrontata anche da Willy Brandt e altri esponenti di primo piano del socialismo europeo. La visione di Berlinguer è da questo punto di vista ancora attuale: la UE non come mercato, ma come attore globale dell’internazionalismo e di una strategica cooperazione nella programmazione dello sviluppo economico (si tenga presente la ricostruzione di Antonio Rubbi Il mondo di Berlinguer). Berlinguer, esprimendo l’elaborazione del gruppo dirigente del PCI, in particolare sull’Europa di Amendola, e quindi di quel gruppo dirigente togliattiano, dalle differenti sensibilità, ma unito nella critica progressivamente sempre più decisa dell’esperienza sovietica, si rese protagonista fin dalla fine degli anni sessanta e poi negli anni settanta, in campo di politica internazionale, di una decisa svolta in senso occidentale ed europeo. Potremmo definire un primo tentativo nell’area europea di definire una strategia di costruzione di una prospettiva di un socialismo democratico, sovranazionale, nell’ambito del movimento comunista europeo. Progressivamente, prima cercando di coinvolgere nella medesima strategia i partiti comunisti europei, poi il nocciolo di quelli più interessati a questa prospettiva anche per dinamiche nazionali (PCF-PCE, nel cosiddetto eurocomunismo), e poi alla ricerca di un nuovo rapporto con i partiti socialisti e socialdemocratici europei. Non solo, ma questa svolta sancì la rottura e la scelta autonoma rispetto all’URSS, e l’affermazione non solo dell’autonomia del PCI ma anche la scelta definitiva per un modello democratico pluralistico (dal 1969 al 1977 questo indirizzo si rafforzò sempre più). Tuttavia questa scelta non significò agli occhi di Berlinguer una rinuncia verso i propositi “rivoluzionari” e di trasformazione, tutt’altro. Questo anche nell’ambito della scelta di non porre la fuoriuscita dalla Nato come obiettivo, ma anzi accogliendone la potenziale protezione verso le interferenze dell’Urss. Tale scelta in Berlinguer si accompagna ad un obiettivo di superamento dei blocchi e di lavoro per la distensione, come era nell’intenzione di promozione del movimento pacifista. Certo qui si possono considerare due momenti distinti, uno più facile, ossia quello in cui la distensione aveva avuto un primo avverarsi negli anni settanta, con l’accordo sui missili intercontinentali, l’altro invece più difficile negli anni ottanta in cui, prima di Gorbaciov, nella fase finale di Breznev si accentua il confronto con la crisi legata all’istallazione degli SS 20 e dei pershing e dei cruise. In ogni caso questi ultimi propositi e indirizzi manifestano una ambizione che appare in qualche modo eccessiva e che si potrebbe definire tramite la seguente formula: democratizzare il socialismo e introdurre elementi di socialismo nel mondo occidentale. Il limite di questo sforzo lo possiamo non tanto e non solo individuare negli obiettivi politici e nella difficoltà a trovare interlocutori e alleati, ma anche nella difficoltà a definire politiche pubbliche specifiche. Importante però è sottolineare che si individua in questo sforzo la scala politica in grado di affrontare i problemi epocali, che è appunto la scala continentale, quella che può e deve ancora adesso interpretare la UE (in generale sul processo di avvicinamento del PCI all’Europa rimando a M. Maggiorani, P. Ferrari, a cura di, L’Europa da Togliatti a Berlinguer. Testimonianze e documenti 1945-1984, il Mulino, Bologna 2005). Si tratta ancora di un compito attuale e sempre di più decisivo.
7. Cerchiamo di definire Berlinguer, il suo contributo, la sua lezione, quindi sia in riferimento all’epoca che ha rappresentato sia in riferimento all’interpretazione della crisi. Cosa ci dice quindi rispetto alla nostra fase storico-politica? Rispetto a quella fase della crisi che suscita una maggiore ricerca del potenziale, o per richiamare una formula marxiana presente in una lettera “il sogno della cosa” e valorizzata da filosofi come Bloch. In un certo senso si potrebbe dire che è come se Berlinguer ci consegnasse una informazione da riprodurre nel nostro dna politico, una informazione che suscita un desiderio impreciso ma presente, una propensione, un proponimento al superamento del presente, una ricerca normativa di giustizia, insomma un compito, una opportunità di senso, ci consegna qualcosa di prezioso che si rinnova di continuo. Non è ovviamente frutto di un uomo speciale ma del fatto che collettivamente si percepisce come la sua testimonianza in qualche misura fa presente, con una credibilità sufficiente, tale strada.
* Questo intervento nasce dall’occasione di una iniziativa tenuta il 17 maggio 2024 e organizzata dal PD di Oderzo sulla figura di Enrico Berlinguer: “Enrico Berlinguer. Analisi del posizionamento internazionale del leader della Sinistra europea e nazionale durante la Guerra Fredda”, iniziativa peraltro collegata alla campagna del tesseramento del PD e alla campagna per le elezioni europee dell’8-9 giugno 2024. Sviluppo qui la traccia scritta preparata in vista dell’iniziativa.
L’articolo Berlinguer e l’Europa proviene da ytali..