La danza al tempo dell’intelligenza artificiale. Ma, più ancora, l’essere umano e l’intelligenza artificiale. Il tema attraversa la cultura, l’economia, l’arte, la vita quotidiana e, inspiegabilmente in maniera minore, la politica. Genera reazioni contrastanti: entusiasmo o ostilità, rifiuto o consenso a volte acritico. Se ne discute, e nel frattempo la si usa. Chi in modo passivo, chi utilizzandola come un “arnese”, un attrezzo. Lo ha fatto l’artista visivo Michelangelo Pistoletto che l’ha adoperata per realizzare un’opera – una sfera che “funziona” come un insieme di scatole cinesi – per una copertina della Domenica del Sole 24Ore del giugno scorso. Lo farà, in qualche misura, Carlo Ratti – direttore della Biennale Architettura del 2025 intitolata Intelligens – che si appella, però, a una visione plurima delle intelligenze.
La Biennale danza 2024, dal 18 luglio al 3 agosto prossimi (programma completo), racconta, mostra, invita a riflettere su tutto ciò. Su limiti e opportunità offerti dalla tecnologia ma soprattutto su noi, esseri umani, e il nostro equilibrio da cercare tra cambiamenti ambientali e innovazioni tecnologiche. We Humans, titolo scelto da Wayne McGregor per la 18. edizione della Biennale Danza, enuncia già il focus di un festival che mette al centro l’Uomo (quanto è difficile impiegare oggi questa parola che linguisticamente sembra non più buona per indicare ogni individuo, a prescindere dal genere) ma si sviluppa maneggiando IA e multidisciplinarietà tecnologica.
Ne deriva una multicreatività affascinante che potenzia le emozioni restando saldamente ancorata al movimento, perché, come sottolinea McGregor “noi umani siamo movimento”.
Spiega il direttore della Biennale Danza:
Tutta la comunicazione dal vivo è per l’ottanta per cento fisica: è un ricco e ineguagliabile trasferimento da corpo a corpo. E un corpo non trasmette informazioni a un altro corpo attraverso uno scambio che assomiglia a quello verbale (e tanto meno scritto). Anche un semplice saluto non viene inviato da una mano disincarnata, ma dall’intero essere umano, compresi occhi, viso e postura fisica. A seconda della forma e del dinamismo del gesto stesso – nonché dell’espressione facciale, della direzione dello sguardo, della posizione e della postura che lo accompagnano – Noi Umani offriamo e rispondiamo, interpretiamo e fraintendiamo, ridiamo, amiamo e ci connettiamo. La nostra stupefacente comunicazione con e attraverso il corpo va ben oltre lo scambio di significato tramite parti del corpo a sé stanti, è una danza intricata in cui percepiamo il messaggio dell’altro, cerchiamo di costruirci sopra, di allinearci con esso, di reindirizzarlo o di sovvertirlo; offriamo la nostra risposta dopo aver anticipato ciò che potrebbe accadere, e cosi via. È una danza, perché è in diretta. Perché sfida la fissità, la trascrizione definitiva. Di conseguenza, riflette il nostro io autentico meglio del dialogo verbale. Il che la rende ancora più avvincente, interessante, empatica, ricca e diabolica. Noi Umani siamo movimento.
In un momento storico, come questo, in cui la tecnologia ci permette di vedere quello che succede dall’altra parte del mondo in tempo reale e in modo dettagliato, dobbiamo chiederci, come mai prima, dove stia l’umanità e come possiamo accedervi in una più profonda connessione con il nostro corpo”.
Nella visione di McGregor l’IA è un collaboratore aumentato, uno strumento nelle mani del coreografo. E, dunque, gli artisti non saranno mai inutili. In modo particolare quelli che si esprimono attraverso il movimento: “Perché la danza è sempre dentro di noi”. É lo é da sempre dato che il movimento ritmico, rituale o liberatorio che sia, ha da sempre accompagnato la storia dell’umanità.
Convinto utilizzatore di ogni possibilità offerta dalla tecnologia, McGregor ha però voluto un Festival che “esplora la natura stessa di ciò che significa essere umani”. È un’eterna indagine quella volta a svelare complessità, contraddizioni e mistero della vita ed è una specifica prerogativa professionale dei ‘creativi del movimento’ invitati alla Biennale Danza 2024.
Tutti gli artisti e le compagnie di quest’anno – spiega McGregor – adottano il mezzo della danza come atto filosofico di comunicazione, mettendo alla prova i fondamenti della nostra conoscenza, sfidando le nostre nozioni di realtà ed estendendo la comprensione della nostra esistenza.
Un Festival che è un corale interrogarsi – con stili, tecniche, linguaggi diversi- sul da dove veniamo e dove siamo diretti, sondando il cosa e il perché della sensibilità.
Cinque i filoni di questa Biennale Danza: Live, Film, Installazione, Biennale College, Collaborazioni, incontri/ workshop. Ottanta eventi in 17 giorni, con oltre 160 artisti coinvolti.
Un Festival che doveva chiudere il quadriennio del coreografo inglese e che invece diventa premessa per i prossimi due anni di Biennale Danza. Pietrangelo Buttafuoco, al vertice oggi dell’istituzione veneziana, ha scelto di riconfermare McGregor anche per il 2025 e il 2026.
Vedendolo all’opera in queste settimane nella “scuola” del College di Biennale Danza, Buttafuoco – spiega in comunicato ufficiale – ha ritenuto che il lavoro del coreografo inglese meriti altro tempo.
Un saggio del talento visionario e organizzativo di McGregor, Buttafuoco lo aveva avuto già da presidente designato, ma non ancora in carica , assistendo all’eccezionale volteggiare di Le Patin Libre, compagnia di pattinatori Canadese che durante il carnevale, a Mestre, ha presentato una impressionante coreografia ( vista nelle varie repliche da 2600 persone) ispirata ai voli degli storni e ha organizzato vere e proprie “ feste laboratorio” sul ghiaccio coinvolgendo oltre mille persone del pubblico.
Sulla scelta di Buttafuoco ha influito, però, naturalmente, il grande prestigio del pirotecnico e vulcanico McGregor la cui opera trascende la pura attività coreografica- che ha appena presentato il proprio più recente lavoro al Festival dei Due Mondi. A Spoleto la sua compagnia ha messo in scena, dopo la prima avvenuta a fine giugno a Montpellier, “Deepstaria”, dal nome di una particolare medusa. Una creazione meditativa e contemporaneamente sensoriale che riflette sulla nostra profonda relazione con il vuoto e con la nostra mortalità ma, riferendosi alle capacità rigenerative della medusa, invita a riscoprire il nostro legame immortale con l’ universo che ci contiene.
Pirotecnico e vulcanico, ho scritto. Ma realizzo che sono aggettivi riduttivi per il profilo umano e artistico di McGregor. Nato a Stockport, Gran Bretagna, nel 1970, è coreografo e regista e dirige uno studio (che porta il suo nome) cui fa capo una rete creativa che va dalla danza al design, dal cinema all’innovazione tecnologica e che coinvolge danzato e scrittori, compositori e ingegneri elettronici, artisti visuali e scienziati.
Dal 2006, è coreografo del Royal Ballet, primo artista proveniente dalla danza contemporanea a essere chiamato a ricoprire questo ruolo.
La sua produzione è varia e vastissima. Si è misurato con la Divina Commedia, con musiche di Thomas Adès, ma ha firmato pure le coreografie di Harry Potter e il Calice di Fuoco (2005) e anche quelle per il musical “ABBA Voyage (2022).
A Venezia, durante il Festival, in prima assoluta, proporrà al Palazzo del Cinema del Lido, “We Humans are Movement” eseguito dagli studenti della Biennale College insieme ai danzatori della Company Wayne McGregor: una produzione ad alta tecnologia.
Tutta la sua effervescenza, tutta la sua personalità e tutta la sua curiosità sono alla base anche delle scelte fatte da McGregor per il denso programma del Festival della Biennale che tra est e ovest, nord e sul del mondo spalanca un’ ampia finestra sull’ esteso panorama della coreutica contemporanea sottolineando, con i Leoni, due particolari e significativi percorsi di espressione e ricerca. Quello dello statunitense Trajal Harrell – che lavora sull’“archiviazione fittizia” con cui rigenera materiale storico e forme preesistenti – premiato con il Leone d’Argento. Quello di Cristina Caprioli, settantenne prolifica e intensa coreografa italiana da quarant’anni attiva in Svezia, dove é una figura di spicco della danza, alla quale verrà conferito il Leone d’Oro. Di Caprioli il Festival propone, opportunamente, una piccola antologia di spettacoli dal momento che i suoi lavori in Italia sono conosciuti prevalentemente da specialisti. Un segnale viene Wikipedia: consultandola si trova una voce a lei dedicata, ma in sole tre lingue ( inglese, svedese e russo). L’italiano, inspiegabilmente, è per ora mancante. Come se una determinata area geografica fosse furori dal cono visuale comune. Non da quello di McGregor, tuttavia.
Ecco, forse, questa è la cifra della personalità di McGregor: saper vedere. E saper leggere passato, presente e futuro guardando oltre e al di là. Non fermandosi, non saziandosi. Muovendo il corpo, l’attenzione, gli occhi. Danzando, quasi, con la conoscenza. Forse per questo The Independent, nel dicembre 2006, commentando la sua nomina al Royal Ballet, e citando una canzone dei Beatles, titolò: Wayne McGregor: Something in the way he moves
L’articolo Noi umani siamo in movimento proviene da ytali..