Non ce l’hanno fatta né l’una né l’altra, poiché l’intero Sudamerica, da qualche anno, è costretto a inchinarsi alla supremazia dell’Argentina dell’ultimo Messi e dell’astro nascente Lautaro; fatto sta che Uruguay e Colombia celebrano quest’anno due anniversari di segno opposto. Nel febbraio del 2004, vent’anni fa, gli uruguaiani dicevano infatti addio a Roque Gastón Máspoli, il simbolo della fortuna e della grandezza del Paese, talmente fortunato, fin dal nome, da aver vinto non solo un Mondiale ma anche due volte la lotteria nazionale. E il Mondiale in questione è quello del ’50, il “Maracanaço” che tuttora tormenta i brasiliani, la partita da incubo che segnò, tragicamente, il destino del suo contraltare Barbosa, uscito sconfitto e finito dannato. Morì nel 2000 senza che nessuno lo piangesse davvero, al termine di un’esistenza nella quale non è mai riuscito a emanciparsi dalla dannazione di una disfatta che assunse i contorni del dramma collettivo.
Di capitan Varela e compagni ce ne siamo già occupati altre volte. Qui vogliamo appuntare la nostra attenzione su Máspoli, per l’appunto, perché un personaggio del genere sembrava davvero uscito dalla penna di Eduardo Galeano. Nato a Montevideo il 12 ottobre 1917, ha legato buona parte della carriera al Peñarol, con cui si è tolto innumerevoli soddisfazioni, tra cui quella di battere, da allenatore, nel ’66, il Real Madrid nella finale della Coppa Intercontinentale. Ci ha detto addio all’età di ottantasei anni, il 22 febbraio 2004, dopo un’avventura straordinaria e unica nel suo genere, così bella che l’unica macchia, forse, è rappresentata dalla mancata qualificazione ai Mondiali di Francia ’98. Per il resto, ha attraversato il Novecento da protagonista, non si è mai arreso e, ovunque sia andato, ha conseguito risultati significativi. Un mito divenuto leggenda.
I colombiani, invece, trent’anni fa dovettero dire addio al difensore Andrés Escobar, assassinato a soli ventisette anni nella natia Medellín per via dell’autogol che aveva condannato i “Cafeteros” alla sconfitta per 2 a 1 contro gli Stati Uniti e, di fatto, all’eliminazione dai Mondiali. Fu un evento inatteso e dalle conseguenze strazianti, anche perché quella Colombia era davvero forte, al punto che persino Gabriel García Márquez aveva ipotizzato che potesse addirittura vincere il torneo. Uscì, al contrario, nella fase a gironi ed Escobar pagò con la vita i dispiaceri che, probabilmente, aveva arrecato ai re delle scommesse clandestine: gente disumana e senza scrupoli che non esitò a fargliela pagare. Gli spararono senza pietà nel parcheggio di un bar da Humberto Muñoz Castro, un’ex guardia del corpo.
Sono storie dell’altro mondo, esempi della passione viscerale che ruota intorno al calcio a quelle latitudini, emblemi della contrapposizione fra il tutto e il niente che caratterizza un universo che non conosce mezze misure. Un universo nel quale non esistono sfumature e in cui la smisurata ricchezza di pochi costituisce un autentico pugno nello stomaco inflitto ai troppi detentori, all’opposto, di una smisurata povertà.
In questo contrasto fra i due estremi, sono racchiuse le controversie e le contraddizioni di una lunga vicenda coloniale, di una globalizzazione dissennata e di un’ingiustizia tuttora diffusa. Eppure, dopo aver seguito sia gli Europei che la Coppa America, ci sentiamo di affermare che loro hanno una virtù a noi ormai sconosciuta: ci credono ancora. Così, a noi non resta che immergerci nei racconti tipici del realismo magico e analizzare gli splendori e le miserie di un Continente massacrato ma ugualmente in grado di battersi con dignità. La dignità che noi abbiamo accantonato in nome del business e delle ambizioni smodate, fino a perdere non solo la tenerezza ma anche l’anima.
Immagine di copertina: A sinistra Roque Gastón Máspoli; a destra Andrés Escobar
L’articolo I due volti del Sudamerica proviene da ytali..