[PARIGI]
Le ultime due settimane sono state cruciali per la politica francese, segnata da un’Assemblea Nazionale frammentata, in cui nessuna coalizione ha ottenuto la maggioranza assoluta. Le elezioni legislative, indette dopo la decisione del presidente Emmanuel Macron di sciogliere il parlamento a seguito della sconfitta del suo partito alle elezioni europee, non hanno ancora prodotto la chiarezza politica desiderata dal presidente.
Nonostante i sondaggi li dessero per vincitori, il Rassemblement National (RN) è stato sconfitto al secondo turno delle elezioni legislative dal fronte repubblicano, l’alleanza tattica tra diversi partiti politici, volta a impedire l’ascesa dell’estrema destra. Sorprendentemente la coalizione di sinistra Nouveau Front Populaire (NFP) ha ottenuto il maggior numero di parlamentari (193), seguita da vicino dalla coalizione presidenziale (166). Al terzo posto si è piazzato il partito di Marine Le Pen e dei suoi alleati (142). Infine, il partito post-gollista Les Républicains (LR) si è posizionato in coda (47).
La sinistra ha quindi rivendicato il primato in termini di numero di parlamentari e ha affermato di poter governare anche senza la maggioranza assoluta (289 seggi), citando come esempio la legislatura precedente, quando la coalizione presidenziale contava su 250 seggi e sul benevolo impegno di LR a non sostenere mozioni di censura nei confronti del governo. Nel sistema francese, infatti, non è necessario il voto di fiducia parlamentare. Tuttavia, esiste la possibilità di censurare il governo con una mozione di censura che deve ottenere la maggioranza assoluta dei parlamentari.
I rappresentanti del Nouveau Front Populaire (NFP) hanno inizialmente chiesto alla coalizione presidenziale di astenersi dal votare mozioni di censura contro un eventuale governo di sinistra o di non sostenere quelle presentate da altri partiti, in particolare dal Rassemblement National (RN). Successivamente, hanno dichiarato l’intenzione di governare tramite ordinanze e sfruttando l’articolo 49.3, che permette al governo di approvare leggi senza il voto parlamentare, nonostante nel loro programma i partiti della sinistra avessero promesso di abolire questa misura. Infine, hanno espresso fiducia nella possibilità di convincere i parlamentari della coalizione presidenziale, in particolare l’ala ex socialista di Renaissance, il partito di Macron, a sostenere un governo NFP.
Malgrado i numeri fossero ben lontani da una maggioranza stabile e per la nomina di un primo ministro, elemento cruciale sottolineato dallo stesso Macron in una lettera ai francesi, i partiti del Nouveau Front Populaire (NFP) hanno avviato consultazioni per trovare e proporre un candidato primo ministro al presidente della Repubblica. Puntando sul fattore tempo, hanno cercato di mettere pressione su Macron con una candidatura unitaria della sinistra. Tuttavia, sono emersi subito dei problemi. Nonostante le consultazioni siano iniziate il giorno dopo le elezioni, dopo quasi due settimane la sinistra non è ancora riuscita a trovare un candidato comune per poter fare pressione su Macron.
Il problema principale di queste due settimane è stato il primato a sinistra. Da un lato, La France Insoumise (LFI) di Jean-Luc Mélenchon, che è arrivata in testa grazie all’accordo elettorale di divisione delle circoscrizioni, ha rivendicato la guida della coalizione e la carica di primo ministro; dall’altro, il Parti Socialiste (PS), che ha aumentato notevolmente il proprio numero di deputati ed era uscito vincitore dalla competizione a sinistra alle elezioni europee, ha ritenuto che la leadership dovesse spettare allo storico partito di sinistra, anche per una maggiore capacità di allargare la possibile coalizione di governo. Le purghe interne a LFI hanno poi ulteriormente indebolito il partito di Mélenchon, favorendo formazioni minori come Europe Ecologie – Les Verts (EELV) e il Parti Communiste Français (PCF).
Nei giorni successivi alle elezioni, diverse figure proposte da LFI sono state scartate, a partire da Jean-Luc Mélenchon, il cui desiderio di guidare il governo non è stato condiviso dagli altri membri della coalizione, sin dall’inizio della campagna elettorale. Successivamente, sono stati esclusi anche Olivier Faure, segretario del PS, l’ex presidente François Hollande e altri esponenti socialisti, sulla base di un veto di LFI che ha posto ugualmente il veto su alcuni dei “purgati” da Mélenchon, come il deputato François Ruffin, ideatore del NFP. In mezzo a questo conflitto tra LFI e PS, il PCF ha proposto Huguette Bello, presidente della regione d’oltremare La Réunion, come candidata. Bello, originariamente del partito comunista locale, ha fondato un movimento vicino a LFI ed è considerata una sostenitrice di Mélenchon. La sua candidatura è stata tuttavia osteggiata dal PS, mentre EELV non ha espresso una posizione chiara.
Il PS ha quindi proposto una figura non politica appartenente alla società civile: Laurence Tubiana, economista e docente a Sciences Po. Tubiana è stata la negoziatrice per l’accordo COP21 durante la presidenza Hollande e ha presieduto la convenzione cittadina sul cambiamento climatico voluta dal presidente Macron. Vicina ai socialisti, la sua candidatura è sostenuta anche dal PCF e da EELV. Tuttavia, LFI si è dichiarata contraria, poiché Tubiana aveva in passato firmato un appello a favore di un accordo tra Macron e la sinistra per il governo del paese. In LFI sospettano che la candidatura di Tubiana sia un tentativo socialista per destabilizzare la coalizione di sinistra e aprire la strada a un accordo con i centristi.
Le difficoltà nel raggiungere un accordo hanno ridotto la capacità della sinistra di fare pressioni su Macron. Mentre continuano gli appelli degli intellettuali, i partiti della coalizione sono attualmente bloccati in una disputa su come scegliere il primo ministro. Il PS, EELV e PCF spingono per una votazione tra i parlamentari, mentre LFI si oppone, temendo che una simile votazione potrebbe mettere il partito di Mélenchon in minoranza.
Non si tratta tuttavia solo di una competizione tra personalità e partiti per il primato della sinistra (anche in vista delle elezioni presidenziali del 2027). C’è di fondo una divergenza strategica tra due sinistre, una di governo e una di movimento, che vede contrapposti i “vecchi” partiti – PS, PCF e in parte EELV – e il partito-movimento personale che è La France Insoumise di Jean-Luc Melenchon. Una divergenza strategica sulla possibilità di governare al di là dei propri “confini” che difficilmente sarà risolta senza una rottura. Questa divisione interna ha aggravato la situazione e indebolito la posizione della sinistra, nonostante i risultati delle elezioni legislative.
Tuttavia, la mancanza di coesione e l’assenza di una strategia per allargare la maggioranza non sono esclusive della sinistra. Le recenti elezioni per le cariche parlamentari e le presidenze delle commissioni hanno rivelato che anche le altre coalizioni in parlamento non dispongono di una maggioranza solida, malgrado i tentativi di accordi parlamentari.
Nei giorni scorsi è iniziata la nuova legislatura. Il governo dimissionario di Attal, le cui dimissioni sono state accettate martedì, rimane in carica per gestire gli affari correnti. La nuova Camera, tuttavia, ha dovuto procedere all’elezione del presidente e delle altre cariche parlamentari, comprese le presidenze delle commissioni. L’elezione delle cariche parlamentari si è rivelata tuttavia un processo più complesso e difficile del solito. I partiti della coalizione presidenziale ne sono usciti in parte vittoriosi, in parte sconfitti, così come il NFP. Un dato indicativo della situazione inedita.
La coalizione presidenziale, grazie all’alleanza tra il primo ministro dimissionario Gabriel Attal e Laurent Wauquiez (LR), è riuscita a far rieleggere sorprendentemente Yaël Braun-Pivet alla presidenza dell’Assemblea. Inoltre, l’ex maggioranza ha ottenuto una vicepresidenza, un incarico di questore e sei presidenze di commissione su otto. Tuttavia, questo accordo ha comportato concessioni significative per LR, che ha ottenuto due vicepresidenze, un incarico di questore e il ruolo di relatore sul bilancio della Previdenza sociale, dimostrando il costo politico dell’alleanza che non ha funzionato sempre bene.
Nonostante la coalizione presidenziale abbia conquistato sei delle otto presidenze, LFI è riuscita ad assicurarsi la presidenza della commissione Finanze, un incarico tradizionalmente riservato all’opposizione, riconfermando il presidente uscente. In base agli accordi tra Attal e Wauquiez la presidenza della commissione avrebbe dovuto spettare a LR che, come NFP e RN, si è registrata come partito di opposizione (pratica in vigore dal 2008, a tutela dei diritti dell’opposizione).
Quest’ultima nomina è avvenuta con il sostegno di un piccolo gruppo di centro che ha scelto di appoggiare la sinistra, in cambio della nomina del proprio leader a relatore generale sulla legge di bilancio, un ruolo solitamente attribuito alla maggioranza. Di conseguenza, i partiti della coalizione presidenziale, che si sono registrati come parte della maggioranza, pur inesistente, non hanno ottenuto alcuna carica parlamentare che si occupi della legge di bilancio.
Il NFP ha ottenuto altri risultati significativi nonostante la sconfitta per la presidenza dell’Assemblea Nationale. Ha conquistato due vicepresidenze e un incarico di questore, oltre a nove segretari su dodici disponibili. Grazie al boicottaggio del RN, che non ha ottenuto alcuna rappresentanza negli organi parlamentari, la sinistra ha ottenuto la maggioranza nell’ufficio di presidenza. Questo ufficio non solo gestisce l’organizzazione dei lavori, ma ha anche poteri sulle sanzioni disciplinari, creando una mini-coabitazione tra la presidente della Camera e una maggioranza NFP.
Una prima sequenza parlamentare quindi che non ha chiarito nulla rispetto alla possibilità di avere una maggioranza solida, elemento cruciale per la nomina del primo ministro da parte del presidente Macron.
Nel frattempo, è chiaro che il RN non ottiene alcun incarico rilevante: nessuna presidenza di commissione e solo pochi ruoli di vicepresidente di commissione. Questa situazione potrebbe mettere in evidenza una strategia mirata a sottolineare le debolezze del fronte repubblicano e l’esclusione “antidemocratica” dell’estrema destra, preparandosi forse a una possibile dissoluzione tra un anno. Allo stesso modo, potrebbe rivelare errori di tattica parlamentare da parte del partito di Le Pen, come il sostegno non ricambiato dato da RN a LFI per le vicepresidenze dell’aula. In ogni caso, i leader dei partiti sembrano già concentrati sulle presidenziali del 2027. Mentre parlamento e presidente navigano a vista.
L’articolo Il tetris francese proviene da ytali..