Nel 56 a.C., al suo ritorno dalla Tinia e dalla Bitina, come si legge nel XXXI Carme, Catullo esulta nel rivedere la bella Sirmio ed invita le «Lidiæ lacus undæ», le «lidie onde del lago», a gioire per il ritorno del loro «ero», «padrone» – come traducono Luca Canali e Vincenzo Guarracino – «signore» – come traducono Quasimodo e Ceronetti –. Tutto è chiamato ad esultare nella natura fatta eco del poeta che arriva dall’esilio, ama ciò che contempla e sente di possederlo nella sfera domestica.
Il sentimento di proprietà amorosa che sorge alla vista della bellezza è una reazione emotiva che coinvolge mente e corpo. Lo celebra anche Laura Carcano, poeta di Desenzano del Garda, che canta le medesime «onde» lacustri care al poeta latino e se ne proclama «regina» per l’intera notte:
Belle schiere di onde,
filigrane di luna,
diamanti d’acqua viva,
venite alla mia riva,
mi farete corona,
fino al sorger del sole
sarò vostra regina.
Da questa poesia Carcano ha mutuato il titolo della sua ultima raccolta, Belle schiere di onde (Grafo, 2023, immagini di Giancarlo Ganzerla). È una poesia importante, questa. Non per le parole preziose che vi sono incastonate, che cantano la bellezza contemplata, ma perché è poesia civile. È vero, tutta la poesia è civile. Questa lo è proprio perché vi si celebra la bellezza, un tema politico e sociale che riguarda ognuno. Nel verso centrale di questa poesia troviamo «mia», l’aggettivo possessivo che qualifica sia questi versi che l’intera raccolta: sua, dell’io poetico, è la «riva»; suo è ciò che ha eletto a «mio piccolo cosmo», che conserva traccia di un breve volo di farfalla, suo è l’intero lago, catturato con forza visionaria fin dai primordi:
Eri mio, eri vero,
mi chiamavi al mattino,
sull’erbose distese
m’invitavi a danzare,
nel profumo di foglie,
col respiro dei fori.
Senza tempo gioivo
senza tempo credevo
E guardavo lontano
nelle piccole valli,
nelle dolci colline
che il ghiacciaio lasciava
oltre il lago profondo.
Eri mio, eri vero.
Senza tempo gioivo
senza tempo credevo.
Versi al passato per uno sguardo a ritroso, nel rinvio ad epoche lontanissime, quando il grande «ghiacciaio» scavò il «lago profondo» lasciando al disgelo le «dolci colline» primordiali che lo coronano qui e ora, nello spazio-tempo della visione.
di Laura Carcano
con immagini di Giancarlo Ganzerla
Grafo edizioni, 2023
Prezzo: 8 euro
L’aggettivo «mio» torna molte volte in questo volumetto e anche noi, leggendo, possiamo sentire e dire «mia» la bellezza che ci circonda. Lo conferma Osip Mandel’štam quando scrive: «senza forbici sarà nostra la rosa» (dalla raccolta Quaderni di Mosca). Il grande poeta russo sa che tutti noi possiamo averla la rosa, non c’è bisogno che la cogliamo: «sarà nostra» tramite la poesia. Proprio come sa Laura Carcano, che si appropria di ciò che canta con tutti i sensi allertati: nell’ascolto della molteplicità di suoni e di silenzi, nel cogliere i profumi esalati dal mondo vegetale, nel contatto del corpo con le erbe del prato, con la visione di ciò che entra nel suo sguardo ed è tramite la parola poetica che può fare della bellezza che ha colto un dono sempre in atto.
Bisognerebbe farle leggere nelle scuole di ogni ordine e grado queste poesie ritmate e rimate. Bambine e bambini, che conoscono da piccolissimi il concetto di «mio», potrebbero comportarsi con la natura con la medesima cura pretesa per ciò che è proprio. Non si lascerebbero bottigliette di plastica a galleggiare tra i propri «canneti», che hanno «voci» che interpellano e che possono essere ascoltate:
Voci dei miei canneti
cosa direte all’alba
che mi conforti l’anima?
Da adulti, da elettori, sindache, sindaci, assessori, come permettere agli speculatori di continuare a ferire la bellezza spandendo cemento, costruendo edifici enormi sulla riva del lago che è «mio», è nostro, che è continuamente minacciato dall’inquinamento e non riusciamo a proteggerlo.
Passando dall’io al «noi», da Desenzano, dove è nata e vive, Laura Carcano, ci invita alla condivisione della bellezza che cura, che suscita un senso di connessione con gli altri e con l’universo e stimola l’ispirazione:
Sì, venite, cantiamo fra noi
accendiamo la notte di luci,
ripariamo le pene del giorno,
nelle note sciogliamo il dolore.
Le parole dell’acqua, dell’erba
son le nostre preghiere d’amore,
intoniamo la nostra canzone,
onda lieve che mormora piano.
Coscienti della fragilità della bellezza, vorremmo proteggere il «piccolo cosmo innocente» che ci appartiene solo se ne abbiamo cura, salvare i
Teneri arbusti, nuove fronde,
alberi-madre senza età
pietre muschiate, acque in corsa,
se l’eterno mi sfugge
in voi ancor più confido.
La bellezza che ci è cara, che possiamo contemplare nella nostra finitudine, deve poterci sopravvivere non solo nei versi dei poeti che da millenni hanno continuato e continuano a cantarla.
Copertina: Image by Валентин Симеонов from Pixabay
L’articolo “Sì, venite, cantiamo fra noi” proviene da ytali..