Teheran, due di notte, ora locale. Il leader di Hamas, Isma’il Haniyeh, in Iran per partecipare alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente della Repubblica islamica Masoud Pezeshkian, è colpito e ucciso, nella sua residenza, da un missile, parte di un raid israeliano.
Israele non ha ancora riconosciuto ufficialmente la paternità dell’operazione ma sulle televisioni israeliane funzionari militari l’hanno definito un “eccellente successo” del paese.
Chi era Isma’il Haniyeh? Al capo politico di Hamas ytali ha dedicato, lo scorso marzo, un profilo che qui di seguito riproponiamo ai nostri lettori.
È uno spregevole milionario che, nel suo esilio dorato, sfrutta la miseria del suo popolo? O un leader politico, perfino un simbolo, della resistenza palestinese con cui comunque fare i conti? Per il dipartimento di stato americano Isma’il Haniyeh è, dal 2018, uno dei più temibili Global terrorists. Criminale di guerra per Israele e le cancellerie occidentali, gode di notevole appoggio e prestigio nei paesi arabi, in Iran e nella Turchia di Erdoğan. In questi giorni, in cui si susseguono le notizie delle trattative tra Israele e Hamas, il suo nome appare continuamente sui giornali e in televisione. In realtà la sua biografia è più complessa e stratificata di come possa essere raccontata in questo suo ultimo scorcio, nel pieno di una tragedia come quella che si svolge sotto i nostri occhi dal 7 ottobre 2023.
Haniyeh nasce il 29 gennaio 1962 ad Al Shati, nella Striscia di Gaza, un’area che l’Onu descrive come una delle più povere e densamente popolate del pianeta. È figlio di due rifugiati palestinesi della prima nakba, seguita alla guerra arabo-isrealiana del 1948. La sua infanzia è segnata dalla drammatica esperienza di famiglie palestinesi costrette ad adattarsi a una realtà ostile, nella loro terra. Dopo la Guerra dei sei giorni del 1967 le truppe israeliane entrano a Gaza e in Cisgiordania, avviando un’occupazione militare che, seppur con fasi e modalità differenti, è continuata sino ai giorni nostri. Come per molti palestinesi della sua generazione, è uno spartiacque nella storia di questo territorio a cui non si può che reagire in modo radicale, non con la trattativa politica, considerata una forma di sottomissione alla “forza occupante”. Una posizione che non è solo nei confronti di Israele, ma anche nei confronti dei suoi alleati occidentali, in primis gli Stati Uniti. Anche perché – secondo la sua visione – quel che è perpetrato contro i palestinesi riguarda tutti i fratelli arabi e musulmani. Quando l’11 maggio 2011 Bin Laden è ucciso in un conflitto a fuoco nel suo nascondiglio ad Abbottabad, in Pakistan, da forze speciali statunitensi, quell’azione, per Haniyeh non è che “la continuazione dell’oppressione americana e dello spargimento di sangue di arabi e mussulmani”.
Dopo i primi studi nelle scuole dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei profughi palestinesi, Haniyeh si iscrive all’Università Islamica di Gaza. Qui nel 1983 entra in contatto con il Blocco islamico studentesco e la Fratellanza mussulmana, il primo nucleo del gruppo che, nel 1987, darà vita ad Hamas. Tra il 1985 e il 1988 la consuetudine con gli ambienti religiosi e intellettuali del fondamentalismo islamico – sempre più radicalizzati e intransigenti e su posizioni nettamente antioccidentali nonché fautori del ricorso sistematico alla violenza contro Israele – forma e consolida le idee che guideranno Haniyeh.
In questi anni si consuma una fase di rottura e profondi cambiamenti tra le sigle storiche della lotta per la liberazione della Palestina, radunate attorno all’Olp di Arafat, e i nuovi gruppi che stanno emergendo nelle università islamiche, tra cui spicca Hamas. L’Olp, di orientamento laico, anche con correnti e formazioni marxiste al suo interno, è visto come troppo moderato dai gruppi fondamentalisti, che contestano soprattutto la dottrina dei “due popoli, due stati” adottata nel 1988 dall’organizzazione, contestualmente alla proclamazione d’indipendenza palestinese ad Algeri. È a seguito degli accordi di Oslo che, nel 1993, si consuma la rottura più drastica del fronte palestinese, con le formazioni più intransigenti, come il Fronte popolare per la liberazione della Palestina e il Fronte democratico per la liberazione della Palestina, entrambe di ideologia marxista-leninista, che escono dall’Olp per fondare, insieme ad Hamas e ai gruppi fondamentalisti islamici, l’Alleanza delle forze palestinesi, rifiutando la possibilità di trattare con Israele.
Sono anni di fermento politico e conflittualità nel campo palestinese e Haniyeh, che nel frattempo si è laureato in letteratura araba, finisce gli studi in concomitanza con lo scoppio della prima intifada. A cui Israele reagisce con forme molto dure di repressione. Dopo un primo breve periodo di detenzione, nel 1988 è condannato a sei mesi di carcere e l’anno seguente è imprigionato per altri tre anni. Dopo il suo rilascio nel 1992, l’autorità militare israeliana dei territori palestinesi occupati lo “esilia” a Marj Al Zahour, nel sud del Libano, con altri quattrocento tra leader e militanti di Hamas. È in questo periodo che, secondo la Bbc, la fama dell’organizzazione inizia a crescere esponenzialmente non solo in patria, ma anche a livello internazionale. Il gruppo rientra a Gaza solo dopo la ratifica degli accordi di Oslo nel settembre 1993 e Haniyeh è nominato preside dell’Università Islamica.
Nel 1997 inizia una lunga collaborazione politica con il fondatore e leader storico di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, da poco uscito di prigione. Haniyeh diventa rapidamente il braccio destro di Yassin, aumentando la propria influenza all’interno dell’organizzazione, seppur per lungo tempo non ricopra incarichi di particolare rilievo. È con il nuovo millennio che si compie la svolta politica della sua carriera.
Tra il 2000 e il 2005 scoppia la seconda intifada, in risposta all’ostentata e crescente ostilità del governo israeliano – sono gli anni in cui inizia il regno del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – con il fallimento degli accordi di Oslo e il riaccendersi di un’ondata di ribellione in Cisgiordania e a Gerusalemme. Il gruppo dirigente di Hamas è spazzato via, incarcerato o assassinato dalle forze di sicurezza israeliane. Nel 2004 è colpito a morte a Gaza, da missili israeliani, lo sceicco Ahmed Yassin, ritenuto da Israele il responsabile dell’uccisione di centinaia di civili israeliani e di altri Paesi in numerosi attentati terroristici. Anche lo stesso Haniyeh è nel mirino di ripetuti attentati da parte dell’Idf, come il bombardamento aereo del 2003, dal quale tuttavia esce quasi illeso. Nel frattempo, nel novembre del 2004 muore anche Arafat. Alla guida dell’Olp gli succede Mahmud Abbas. Non gode del prestigio e del carisma del suo predecessore, un’inadeguatezza che alimenta un vuoto politico e di potere che altri leader cercheranno di riempire: come Haniyeh, che scala rapidamente i gradi di Hamas, presentandosi come l’esponente della sua ala più pragmatica e moderata. Diventa quindi il candidato di punta dell’organizzazione per le elezioni del 16 febbraio 2006.
Grazie a una campagna elettorale incentrata sulla corruzione del gruppo dirigente di Al Fatah, la Lista cambiamento e riforme, capeggiata da Haniyeh, ottiene il 44,45 per cento dei voti, sconfiggendo, contro ogni pronostico, i rivali di Al Fatah. Conta anche, nel successo inaspettato, il prestigio di cui ormai gode Haniyeh, di combattente della causa palestinese, in contrasto con l’immagine di subalterno all’Occidente e a Israele creata intorno ad Abu Mazen, oltre alle opere di assistenza sociale promosse dalle organizzazioni islamiche a Gaza, col sostegno finanziario del Qatar. Haniyeh diventa primo ministro e si scatena un vero terremoto politico. Abbas, presidente dell’Autorità nazionale palestinese accetta malvolentieri la coabitazione con i rivali di Hamas. La stampa internazionale commenta molto negativamente la nomina di “un fondamentalista antisemita”. Israele reagisce facendo sapere che non consegnerà all’Autorità palestinese i cinquanta miliardi di dollari ricavati dalla tassazione nei territori dell’Anp. Gli Stati Uniti riducono drasticamente i loro aiuti economici. “Utilizzano le donazioni come strumento di pressione politica sulla Palestina“, è il commento di Haniyeh.
Per un periodo le posizioni di Haniyeh sembrano in realtà “ammorbidirsi”, arrivando a dichiarare, in un’intervista rilasciata al Washington Post, che Hamas sarebbe pronta a riconoscere lo stato di Israele se questi si ritirasse entro i confini del 1967 e riconoscesse a sua volta l’Anp, sottolineando tuttavia anche le responsabilità israeliane nella mancata applicazione degli accordi di Oslo a partire dal 1999. Haniyeh ribadisce questa posizione inedita anche in una lettera inviata al presidente Bush nel 2006. Le dichiarazioni di quei tempi seguono tuttavia spesso un doppio binario, a seconda della platea a cui sono rivolte. Nel 2006, durante un comizio tenuto in Iran, dichiara: “noi non riconosceremo mai il governo sionista illegittimo e continueremo la nostra jihad fino alla liberazione di Gerusalemme”. Nonostante i tentativi di costruzione di un’immagine internazionale moderata e credibile, è proprio in questi anni che si stringono i rapporti tra Hamas, gli sceicchi della penisola araba, l’Egitto e, soprattutto, l’Iran. Nella succitata intervista al Washington Post, di fronte alla richiesta di spiegazioni circa i boicottaggi occidentali e la ricerca di nuovi partner, Haniyeh dichiara:
Le nostre relazioni con i paesi islamici e il mondo arabo lasciano intendere che questi paesi ci supporteranno. I liberali e le persone libere del mondo non vogliono vedere la Palestina sotto assedio. Abbiamo ricevuto indicazioni dalla nostra comunità internazionale che non cesseranno i loro aiuti economici.
Nel dicembre del 2006, dopo una visita di stato al Cairo, gli viene proibito il rientro a Gaza, presso il confine di Rafah, da parte delle autorità israeliane. Il motivo è che sta trasportando trenta milioni di dollari in contanti come finanziamento per l’Anp. Scoppia uno scontro tra i militanti di Hamas e la guardia presidenziale palestinese, nella quale è ferito il figlio di Haniyeh e uccisa una sua guardia del corpo. La tensione tra Hamas e Al Fatah sale alle stelle e scoppia la crisi.
Nel febbraio 2007 Haniyeh si dimette, ma nel marzo dello stesso anno viene posto da Abbas alla guida di un governo di unità nazionale. Le rivolte infiammano il paese. In particolare, è Gaza a diventare il teatro di durissimi scontri e attentati tra le diverse fazioni. A giugno Abbas dichiara lo stato di emergenza. Haniyeh è costretto alle dimissioni e Al Fatah tenta di governare su Gaza e la Cisgiordania per decreto presidenziale. Scoppia un conflitto sanguinoso che vedrà coinvolti per almeno un biennio i miliziani di Hamas e dell’Olp, lasciando sul campo centinaia di morti e feriti.
La Palestina, già divisa geograficamente, si ritrova ad essere anche politicamente separata in due aree: da un lato la Cisgiordania, o West Bank, sulla quale l’Anp e Al Fatah riescono a mantenere un relativo controllo, ma che subisce l’occupazione dei coloni e militari israeliani, dall’altro Gaza, su cui a partire dal 2007 si rafforza la presa di Hamas, che aumenta sempre più il proprio potere nei territori della Striscia, de facto governandola. Per circa un decennio è Haniyeh a svolgere il ruolo di “primo ministro” di Gaza. Secondo quanto riportato dai vari report israeliani, è in questi anni che Haniyeh costruisce il proprio patrimonio multimilionario. Secondo un’inchiesta condotta da Ynet, uno dei più importanti canali d’informazione israeliani, ma con riferimenti a molti articoli apparsi su diversi media del mondo arabo, Haniyeh avrebbe intascato per anni una “tassa” pari al venti per cento del valore di tutti i beni o finanziamenti che, attraverso la fitta rete di tunnel costruita in questi anni da Hamas al di sotto di Gaza, giungono nella Striscia attraverso l’Egitto. A conferma di ciò ci sarebbe non solo il lussuoso stile di vita condotto dai leader dell’organizzazione, ma anche l’acquisto nel 2010, da parte dello stesso Haniyeh, di un appezzamento di terra di 2500 m², intestata al figlio, a Gaza, nel quartiere costiero di Rimal.
Sono informazioni di fonte israeliana, nell’ambito di un conflitto in cui la componente della comunicazione e della propaganda ha un ruolo molto importante, e quindi con questa consapevolezza vanno assunte, in assenza di altre fonti che lo confermino. Il dato tuttavia della situazione miserrima dei gazawi, imputabile a un assedio crudele di decenni che isola la Striscia, non può però prescindere dalla constatazione, messa bene in luce dall’attivista e blogger palestinese Raji Sourani, che dalla presa di potere di Hamas nel 2007, le condizioni di vita per le fasce più povere della popolazione di Gaza sono peggiorate drasticamente.
Nel 2014, di fronte all’attacco dell’Idf alla Cisgiordania e a Gaza, a causa del rapimento e uccisione di tre giovani israeliani, si avvia un tentativo di riconciliazione tra Hamas e Al Fatah, che culmina negli accordi firmati a Gaza, il 23 aprile 2014, e al Cairo, il 25 settembre, da Haniyeh e Abbas. Si forma un nuovo governo di unità nazionale, tentando di riunire le diverse anime politiche del fronte palestinese. Tra gli obbiettivi c’è il ritorno di Gaza sotto l’autorità dell’Anp. Il tentativo di riconciliazione tuttavia naufraga rapidamente. La Palestina rimane divisa, il governo di unità nazionale è sciolto nel 2015 e sino a oggi non si terranno più elezioni. Sebbene sporadici incontri tra Hamas e Al Fatah continueranno, con l’ultimo tenutosi a Mosca pochi giorni fa, i rapporti tra i due leader resteranno sempre molto tesi.
Nel 2017 Haniyeh, che nel frattempo ha abbandonato le posizioni moderate del periodo 2006-2010 per riavvicinarsi all’intransigenza delle componenti più fondamentaliste di Hamas, è nominato capo dell’ufficio politico dell’organizzazione, succedendo a Khaled Mesh’al. Come già accaduto per i suoi predecessori, tra il 2017 e il 2019 abbandona Gaza per andare “in esilio” a Doha, in Qatar. Tale trasferimento diventa definitivo dopo i contrasti con l’Egitto, sorti a causa della sua partecipazione, nel gennaio 2020, ai funerali del generale iraniano Qasem Soleimani. In questi anni Haniyeh tesse una fitta rete di relazioni con il Qatar, l’Iran, la Siria, Hezbollah, ma anche la Russia e la Turchia, in cui si reca spesso e che ospita parte della sua famiglia. Lo stesso Erdoğan, in un’intervista rilasciata alla Pbs nel 2011, definisce Hamas come “partigiani che lottano per difendere la propria terra”. Un rapporto con Ankara che intacca quello con la rivale Cairo, con il conseguente peggioramento, secondo Al Jazeera, delle relazioni con l’Egitto che inasprisce il blocco economico a Gaza, con serie conseguenze per la popolazione locale, allo stremo, con tassi di disoccupazione che toccano il cinquanta per cento.
Le tensioni accumulatesi negli anni a causa degli attacchi effettuati da Hamas verso Israele, a partire dalle proprie basi a Gaza, e delle durissime e sproporzionate repressioni condotte dall’Idf, esplodono il 7 ottobre 2023 nel più devastante attentato mai compiuto da Hamas in territorio israeliano. Netanyahu risponde all’attacco senza precedenti con una potenza distruttiva che provoca massacri di civili ma ha scarse conseguenze per l’apparato militare e logistico di Hamas. Haniyeh, si trova in Qatar, al sicuro da ogni ritorsione. Diversa è invece la situazione per la famiglia del leader, che è stata decimata negli ultimi mesi di guerra. È di poche settimane fa la notizia della morte di uno dei tredici figli di Haniyeh.
Quale possa essere il ruolo di Haniyeh nei prossimi sviluppi della guerra di Gaza e all’interno delle dinamiche del potere palestinese, dipenderà molto dal sostegno su cui potrà ancora contare, in particolare da parte di Qatar e Iran, a loro volta impegnati in uno scacchiere volatile e imprevedibile. Se non dovesse essere più utile ai loro giochi, in un attimo potrebbe svanire dal palcoscenico su cui oggi si muove con consumata astuzia politica e, certamente, agli occhi dei palestinesi e di molti arabi e musulmani, con una notevole carica di carisma.
Immagine di copertina: Da X: @naziakhan455, comizio di Isma’il Haniyeh durante la guerra tra Israele e Hamas del 2023-2024.
L’articolo Isma’il Haniyeh, l’uomo nel mirino di Bibi. Un ritratto proviene da ytali..