Il buon governo consiste nella soggezione dell’interesse privato a quello pubblico. È questo, solo questo, il fondamento della democrazia moderna.
intervista di L. Caracciolo a L. Villari, la Repubblica
Venezia è sotto assalto di ingenti flussi turistici, come molte altre città: la domanda di consumo turistico è pressoché infinita, aumenta rapidamente il numero dei visitatori, e la nostra città è tra le più ambite.
Di fronte a questo fenomeno ci si deve chiedere quali siano i vantaggi e gli svantaggi che impattano su queste mete. I vantaggi sono la ricchezza che il turismo produce di cui sono pieni i titoli dei giornali: l’assessore della regione veneto Federico Caner ha affermato: «I dati dimostrano che [il turismo] genera ricchezza. Settore che può solo crescere». Basta ricordare il Covid e le città deserte di pochi anni fa per capire che l’ultima frase è una sciocchezza, anche se è comunque innegabile che la ripresa ci sia stata e sia stata rapida. Il reddito prodotto è il risultato delle spese dei turisti in città, a prezzi “di mercato”.
L’ottenimento di questo reddito comporta dei costi che non sono interamente valutati nello scambio, ma non per questo sono meno reali, e sono rappresentati dalle conseguenze che questa attività ha sulla distribuzione del reddito, sulla vita dei cittadini, sul significato stesso di risorsa turistica. Se il turismo porta questa grande ricchezza come mai importanti luoghi turistici, dalle principali città, alle isole Canarie, passando per le Hawai, Machu Picchu, il monte Fuji, Maya Bay (Tailandia) cercano di limitarne la crescita? La risposta sta nel fatto che di fronte ad una domanda composta da miliardi di visitatori all’anno, le località turistiche sono sottoposte ad alti costi (diseconomie esterne) perché le loro risorse, la natura, le attrezzature, il patrimonio abitativo, sono comunque limitate nella loro capacità di accogliere visitatori, venendo quindi sottoposte a grande logoramento. Sono numerosi gli studi sui costi e benefici del turismo nei quali vengono prese in esame molte variabili al di là del reddito: ad esempio ci si chiede se il turismo generi buoni o cattivi posti di lavoro, se la sua gestione sia nelle mani di un numero limitato di operatori, se metta in atto una catena del valore che previlegi l’offerta locale, se rispetti i principali parametri climatici e l’equilibrio socioeconomico dei luoghi.
Per le città storiche uno dei più rilevanti impatti negativi riguarda la disponibilità e accessibilità degli alloggi, il cambiamento socioculturale delle aree urbane a seguito dell’acquisto d’immobili per uso turistico e della rivalutazione che questi subiscono, il ruolo giocato dalle società di intermediazione immobiliare, lo sfollamento degli abitanti e il senso di estraniazione che si respira nei quartieri più turistici. L’enorme successo delle piattaforme di prenotazione come Airbnb ha reso questi effetti visibili e immediati, sconvolgendo e colpendo anche aree delle città che in precedenza erano prevalentemente residenziali.
È infatti necessario pensare a un diverso meccanismo di sviluppo, un modello di allocazione delle risorse che guardi al lungo periodo, che protegga i cittadini, attiri giovani, promuova una imprenditorialità diversificata, offra possibilità di lavoro e garantisca la vita della città. L’invasione turistica senza regole non è accettabile e emerge un grande bisogno di protezione e di tutela. È quello che stanno facendo molte città in Europa e in Nord America, amministrate da partiti di diverso colore, ma concordi sulla necessità di correre ai ripari.
Leggiamo che Il sindaco socialista di Barcellona, una delle principali destinazioni turistiche della Spagna, Jaume Collboni ha annunciato all’inizio dell’estate, che vieterà l’affitto degli appartamenti ai turisti entro il 2028. Questa misura, inaspettatamente drastica, mira a contenere l’impennata dei prezzi degli alloggi e a rendere la città più vivibile per i residenti. Il sindaco ha anche annunciato che oltre 10mila licenze di appartamenti turistici non saranno rinnovate alla loro scadenza. Negli ultimi dieci anni, gli affitti a Barcellona sono aumentati di circa il 70 per cento e i prezzi delle case sono cresciuti in media del 40 per cento.
Un interessante studio di due ricercatori italiani (Gianluca Bei e Filippo Celata) ha confrontato le molte città europee dove l’affitto breve è regolamentato (Amsterdam, Barcellona, Londra, Parigi, Berlino, Vienna, Bruxelles, Madrid, Copenaghen) con quelle dove non è regolamentato, e ha mostrato come le prime abbiano ottenuto una riduzione persistente nel numero di annunci riferiti a appartamenti interi posti sul mercato turistico (-29%). Passando all’analisi dei singoli elementi che spiegano la caduta degli annunci, i due ricercatori hanno trovato che si sono ridotti in modo significativo gli annunci di appartamenti gestiti da host professionali, che gestiscono più appartamenti. Sono caduti in misura maggiore gli annunci nelle città che hanno stipulato accordi di cooperazione con piattaforme di prenotazione e in quelle che hanno adottato una limitazione nel periodo in cui è ammesso l’affitto turistico (30, 90, 120 giorni nell’anno). In termini di redistribuzione territoriale degli affitti brevi, il numero degli annunci è diminuito nelle località, ancora ridotte, che hanno introdotto specifici vincoli zonali. Tutto questo conferma per l’Europa quanto già osservato nelle città degli Stati Uniti (Los Angeles, New York, Denver, San Francisco, Santa Monica e altre) sulla efficacia di queste misure. Regolamentare gli affitti brevi produce una crescita più sostenibile e un mercato degli alloggi più equilibrato nei riguardi dei residenti, con effetti non limitati al periodo immediatamente successivo all’introduzione della regolamentazione, ma che persistono nel tempo.
A Venezia l’incremento nel prezzo delle locazioni è forte, riflettendo la fissità dell’offerta e la crescita continua della domanda. Opportunamente l’emendamento 37-bis al Decreto Legge 17 maggio 2022, n. 50 (convertito 15 luglio 2022 n.91) stabilisce il quadro nel quale il Comune può agire per favorire l’incremento dell’offerta di alloggi in locazione per uso residenziale di lunga durata nel rispetto dei principi di proporzionalità, di trasparenza, di non discriminazione e di rotazione, tenendo conto della funzione di integrazione del reddito esercitata dalle locazioni brevi per i soggetti che svolgono tale attività in relazione a una sola unità immobiliare. Dà al Comune la facoltà di intervenire limitando a 120 giorni il periodo di affitto breve nell’anno senza mutamento di destinazione d’uso, e consente di porre limitazioni al numero degli immobili destinati all’uso turistico a seconda delle aree della città in cui sono collocati.
Considerando circa 8000 gli alloggi in locazione breve su Venezia centro, intervenire secondo le linee delineate vorrebbe dire mettere sul mercato 2400 alloggi (il 29%) destinandoli o alla residenza o ad altre forme di affitto non turistico (lavoratori e studenti ad esempio). Se a queste si sommano 1000 case pubbliche sfitte, che potrebbero a breve essere messe sul mercato, si otterrebbe un significativo aumento del patrimonio immobiliare a disposizione dei non turisti, capace di cambiare il volto della città.
Perché l’amministrazione comunale non ha seguito la strada tracciata da tante altre città? Perché non ha agito sul mercato delle locazioni turistiche? La legge glielo avrebbe consentito e i risultati sarebbero stati inequivocabili. Oltretutto non viene applicata la norma, pur votata in Consiglio, sul blocco delle concessioni a nuovi hotel che è vanificata dalle deroghe concesse con grande facilità, non applica l’altra norma che impedisce la trasformazione di interi edifici in residence, molto spesso con servizi alberghieri, contravvenendo all’ art. 42 del Regolamento Edilizio. Questi prescrive che, negli edifici costituiti da più unità immobiliari, vi possano essere più attività di B&B o locazione turistica purché «non siano tra loro in comunicazione fisica o poste in continuità diretta». Esprime, quindi, la necessità di evitare che in un intero palazzo si installino prevalentemente, se non esclusivamente, attività di ospitalità turistica, le quali finiscono per alterare la destinazione residenziale dell’immobile e la vivibilità dello stesso (www.Ocio-venezia.it)
Tutta colpa del turismo se le case non sono per i residenti? Certo l’esodo della popolazione da Venezia è iniziato molti anni fa, anni in cui il turismo non era elevato come oggi, e le sue cause sono molte e diverse. Venezia viveva da tempo in condizioni di degrado edilizio e di sovraffollamento abitativo. L’invecchiamento della popolazione di oggi affonda le sue radici nel passato, non è fenomeno di breve periodo. Richiama altre situazioni vissute dalla città nel corso dei secoli, colpita dalla peste, nel ‘300 e nel ‘600, con un crollo drastico delle presenze giovanili. Troppo alta era la mortalità infantile, che superava decisamente la natalità, e troppo vecchia era la popolazione residente, la quota di chi aveva meno di 20 anni era inferiore a 1/3 del totale. Ne segue un inevitabile, anche se lento, depauperamento demografico. Tuttavia la città è riuscita sempre a rialzarsi con una politica lungimirante, ha facilitato l’ingresso di forze giovani immigrate, alle quali ha attribuito una forma di cittadinanza promuovendone l’inserimento.
Il problema per Venezia anche oggi è facilitare l’insediamento di nuovi nuclei familiari. È necessaria una politica coraggiosa, che attiri giovani. Il sindaco recentemente ha elargito una delle sue pillole di saggezza «Venezia si sta spopolando perché le persone muoiono», ma è compito di una amministrazione contrastare il fenomeno. Milano e Bologna hanno compensato il calo demografico con l’ingresso di forze giovani. Una città di vecchi si può rinnovare solo attirando giovani che devono, per forza, venire dal di fuori. Lo si può fare dando loro degli alloggi, un lavoro, offrendo delle prospettive. Le potenzialità ci sono. La domanda di alloggi da parte degli studenti è già oggi elevata e investe tutto il territorio del comune di Venezia. Si fa sempre più presente nella vita moderna la domanda di cittadini temporanei, attirati dalle opportunità di svolgere una attività in un qualsiasi luogo, una possibilità che sembra qualificare il nuovo mercato del lavoro “liquido”, specialmente in alcune professioni, e che offre una nuova interessante opportunità per le città storiche. È necessario creare nuove opportunità di occupazione in città. Vanno create start up, incubatori d’impresa legati alle attività cittadine, al porto, all’università, allo stesso turismo che esercita una domanda potenziale enorme che potrebbe essere adeguatamente indirizzata. Si devono dedicare a queste iniziative risorse e spazi.
Le amministrazioni cittadine di molte città europee hanno capito che la residenza è collegata alla partecipazione alla vita quotidiana della città, che si sta velocemente impoverendo. La politica dell’amministrazione veneziana appiattita sul controllo dei flussi turistici si sta dimostrando inefficace e comunque non ha nulla a che fare con la costruzione della vita; si muove su di un piano diverso.
Per promuovere la residenza vanno limitati gli affitti brevi, vanno creati dei contratti che incentivino i proprietari di alloggi offrendo loro vantaggi fiscali. Indirizzati a queste forme di locazione, vanno introdotte norme a tutela di alcune specifiche attività economiche e commerciali. Oggi l’affitto a breve termine è fiscalmente molto vantaggioso: si paga la cedolare sul primo alloggio pari al 21%, sui successivi quattro al 26%, limite facilmente aggirabile con prestanome, e solo dopo l’attività di affitto breve è tassata come reddito d’impresa, mentre già chi affitta a breve termine due o tre alloggi svolge di fatto una attività imprenditoriale. Ridicolo il regolamento comunale in discussione che consente una deroga al limite temporale per gli affitti brevi in base alla esposizione nell’alloggio (in QR code) di norme di buona educazione! Il sindaco ama fare gesti eclatanti in una città ormai devastata dal turismo guardandosi bene dal torcere un capello alla proprietà e alla rendita. La pianificazione urbanistica richiede scelte univoche, non tollera la coesistenza di regole contraddittorie, non può basarsi sulle deroghe, che aprono la strada a procedure arbitrare e incerte.
Vanno facilitate le locazioni “relativamente lunghe” (6-12 mesi) capaci di intercettare la nuova domanda e vanno create soluzioni residenziali e spazi lavorativi adeguati senza i quali ogni iniziativa sarebbe vana. Va sviluppata un’offerta di servizi, che permetta ai nuovi residenti di lungo periodo di prendere parte a attività culturali, artistiche, artigianali della città, conoscerne la lingua, le sue caratteristiche e quelle della sua laguna, generando al contempo un significativo indotto economico locale alternativo al turismo, e contribuendo a favorire lo spostamento di una parte significativa dell’offerta residenziale dal breve termine verso il medio-lungo termine. Infine vanno promossi rapporti sociali nuovi, coinvolgendo gli studenti e i lavoratori in forme di cittadinanza attiva in collaborazione con la comunità dei residenti. Vanno trovati spazi importanti per queste iniziative. Cosa di meglio si potrebbe dedicare a queste politiche se non gli spazi della stazione marittima, una volta preso realisticamente atto che le grandi navi non possono più entrare in laguna e raggiungere la Stazione Marittima a causa dell’innalzamento del livello del mare che ne rende incompatibile la navigazione? Una offerta di nuovi alloggi raggiungibili con l’auto e con la barca alla porta, dotati di servizi moderni, estremamente attrattivi. Un grande progetto pubblico-privato dedicato a nuovi imprenditori che si impegnino a investire in città. Ma Venezia dispone di molti altri spazi, non manca nemmeno la domanda e non mancano le idee. Manca un progetto organico di ricostruzione della vita urbana da parte dell’amministrazione comunale che “si affida al mercato”. In questo modo le abitazioni diventano alloggi temporanei, alberghi e bed & breakfast e i negozi paninerie, bar e pizzerie al taglio, come avviene quotidianamente sotto i nostri occhi, e la città muore.
L’articolo Più letti che tetti proviene da ytali..