1964: arrivo alla facoltà di Architettura di Venezia dopo aver fatto il biennio a Firenze e un anno sabbatico fuori d’Italia. Dopo qualche settimana, sono avvicinato da Stefano Boato e da Giorgio Sarto che mi coinvolgono nell’Unione Democratica, espressione dell’Intesa nazionale, che contendeva all’UGI senza successo il primato politico all’IUAV.
Per caso e senza particolari convinzioni, io bolognese, laico e gobettiano, mi sono trovato a fare politica in una formazione sostanzialmente di ispirazione cattolica. Quell’anno, per la prima volta, l’UD vinse le elezioni conquistando maggioranza e presidenza dell’organismo rappresentativo degli studenti.
Da allora, per sessant’anni, la mia vita politica si è intrecciata, a livello locale, con quella di Stefano e di Giorgio. Con una differenza. Con Giorgio Sarto abbiamo collaborato organicamente per decenni: a partire da un numero monografico di Quest’Italia sull’università italiana scritto assieme a Mario Natali, scomparso troppo presto e che qualcuno forse ricorda nel suo ruolo di presidente dell’assemblea studentesca durante l’occupazione dell’IUAV; poi, appunto, durante lotte universitarie del ’67/’68 e la loro evoluzione nelle lotte sociali del decennio successivo; per continuare con le vicende amministrative degli anni novanta quando coprivamo il medesimo ruolo di assessori all’urbanistica, io al Comune e Giorgio alla Provincia. In quel periodo gli uffici tecnici di Comune e Provincia lavoravano assieme sotto la consulenza di Leonardo Benevolo.
Con Stefano Boato, pur collocandoci tutti e due dalla medesima parte degli schieramenti politici e avendo perciò continui rapporti di collaborazione, ci siamo trovati il più delle volte in contrasto sulle scelte sia politiche sia amministrative.
Eppure, Stefano e Giorgio erano profondamente amici e, dopo la fase cosiddetta extraparlamentare, avevano scelto di militare assieme all’interno del partito dei Verdi, mentre io mi ero iscritto al Partito comunista. La loro comune militanza non impediva tuttavia a Giorgio di distinguersi profondamente da Stefano nei suoi rapporti con quanto io andavo facendo come amministratore.
Per quale motivo? Qui il discorso si fa delicato perché riguarda un tema che attraversa tutta la vita politico/amministrativa di Venezia degli ultimi decenni e che è tutt’oggi presente.
La dico in questo modo: Giorgio ha sempre praticato, per citare Weber, l’etica della responsabilità, Stefano l’etica dei principi.
I principi per Giorgio, forse anche per la sua matrice cattolica, non erano contrattabili e a questi principi ha sempre ispirato la sua azione politica, professionale e umana. Principi che ha, nello stesso tempo, applicato ispirandosi all’etica della responsabilità e misurandoli sempre in base alle conseguenze che la loro applicazione aveva in quel determinato contesto e in quel determinato momento. Difficile e faticoso esercizio destinato ad essere riconosciuto da pochi.
In questo modo la sua presenza equilibrata, il suo costante lavoro e la sua ricerca paziente ha dato contributi alla città di grande spessore, alimentando, allo stesso tempo, l’azione di chi ha avuto modo di lavorare con lui.
Al contrario, come si sa, l’etica dei principi è indifferente alle conseguenze, richiede meno fatiche intellettuali perchè si fonda su verità assolute, ed è anche molto più spendibile.
La scarsa eco della morte di Giorgio Sarto, figura esemplare del panorama veneziano, di cui oggi, come di tanti altri, ci sarebbe un estremo bisogno, si spiega a mio avviso anche così.
Molti di coloro che oggi piangono Giorgio Sarto e che si ritengono a lui particolarmente vicini, al di là del lato umano che rende il loro dolore non discutibile, forse non sanno bene il senso della perdita che la città ha subito con la sua scomparsa.
L’articolo Giorgio Sarto, una grave perdita per Venezia proviene da ytali..