[HOUSTON]
Il 7 agosto Kamala Harris ha nominato Tim Walz, rassicurante governatore del Minnesota, suo vice nella campagna elettorale per le presidenziali americane. Ma Tim Walz si era guadagnato la posizione anche prima, con alcune apparizioni sulla rete MSNBC nell’ultima settimana di luglio. Senza entrare in troppe elucubrazioni da commentatore politico, aveva definito Donald Trump e il suo vice J.D. Vance “dei tipi piuttosto strani” (just weird). E con quell’uscita ha ridefinito l’intera campagna elettorale. Nessuno avrebbe potuto prevedere l’effetto valanga di quelle poche parolette. È stato come se un incantesimo si spezzasse, come se una nebbia aliena, degna di un romanzo di Stephen King, si alzasse dal territorio di mezza America, s’intende quella democratica. Che certo, aveva già accettato con sollievo il ritiro di Biden e l’entrata di Kamala Harris; il partito le stava portando delegati su delegati, così che la Convention democratica di fine agosto non si sarebbe dispersa tra vari candidati. Ma mancava ancora qualcosa; quel tag, quello slogan, quella frasetta, quel motivetto dell’estate che ti si pianta in testa e non va via più.
Grazie a Tim Walz e al suo portamento bonario e combattivo, da brav’uomo dell’America rurale, mai stato in un’università prestigiosa, arruolatosi nella Guardia Nazionale, insegnante di geografia alle medie e allenatore della squadra di football della scuola, il tutto prima di diventare un popolare governatore del Minnesota (uno stato che ha sfornato parecchi personaggi come lui) – ecco, grazie a Governor Tim quella parola, quello slogan, quel tormentone di cui c’era bisogno è arrivato, e la parola è weird. Quando gli hanno chiesto di commentare gli sforzi del Partito Repubblicano per controllare il corpo delle donne e per bandire un consistente numero di libri dalle biblioteche scolastiche. Walz ha risposto che da quella parte c’è gente piuttosto bizzarra (“these are weird people”). Non ha detto che tutti i repubblicani sono weird, ma che di weird laggiù ce ne sono parecchi.
Non è la prima volta che Donald Trump viene definito weird. L’aveva detto la stessa Kamala Harris nel 2018, come anche altri, ma non da un pulpito televisivo, e non aveva fatto presa. Ci voleva la voce del perfetto americano del Midwest, del mitico “Mr. Smith va a Washington” che anche se è governatore sembra un farmer uscito da un film in bianco e nero del 1940, uno che se ti vede a smadonnare sul tuo tagliaerba si ferma e ti aiuta a ripararlo, il nonno che a Natale si veste da Santa Claus e prende i bambini sulle ginocchia. E all’improvviso è cambiato tutto.
Riferito a Trump, a Vance e all’ex-Partito Repubblicano, weird non è solo un aggettivo; è quella “narrazione” che di cui gli strateghi politici vanno in cerca senza posa. Definire se stessi è importante, ma è altrettanto importante definire il tuo avversario, e se lo inchiodi a una parola che non può sfuggire hai raggiunto lo stesso risultato di mille raduni elettorali.
Kamala Harris, da sola, non ci era riuscita. Quando Donald Trump, in una conversazione con l’associazione dei giornalisti afroamericani, ha messo in dubbio l’identità della candidata democratica, chiedendosi come mai a un certo punto sia diventata nera mentre prima era indiana, a quella sua domanda senza senso (visto che Harris ha un padre giamaicano e una madre indiana, ma si è sempre identificata come afroamericana), Kamala Harris ha risposto con un tono “alto” e quasi annoiato che tanto le ha fatto onore quanto è rimasto inefficace: “È la solita storia, la partigianeria, la mancanza di rispetto…”. Oh no, non si parla così con Donald Trump; soprattutto non si parla così di Donald Trump. Non serve a niente ripetere che lui e i suoi accoliti sono xenofobi, melanofobi, omofobi, erpetofobi e aracnofobi. Gli elettori di Trump queste cose se le fanno rimbalzare addosso, loro sono della scuola di chi ti dice: “Io razzista? Sei tu che sei nero!”.
Ma weird, ecco, quella è una parola che lascia il segno. Non ha connotazioni razziali o di gender. La definizione che ne dà il Webster’s Dictionary è “sovrannaturale, ultraterreno, bizzarro”. Originariamente voleva dire “fatidico”; le Weird Sisters sono le Parche che determinano il destino degli umani. Ma nel linguaggio colloquiale il weird, anzi il weirdo (che è proprio un insulto, e infatti Tim Walz quella parola non l’ha mai pronunciata), è il tipo strano, bislacco, lunatico, balzano, grottesco, un originale, un po’ pazzoide, un po’ assurdo, un po’ tocco, un po’ suonato, perfino inquietante; non proprio un creep, che è il tipo viscido e magari anche schifoso, ma quasi. Il weird può essere il tuo parente eccentrico che colleziona bustine di tè usate o il vicino di casa che non ti saluta mai e fa strani rumori a mezzanotte. Tutti conosciamo qualche weird, qualcuno che va in giro come fosse sempre ossessionato da qualcosa, vestito male, occhi bassi, che parla da solo come il barbone di Jannacci o che ti ferma per strada e comincia a raccontarti storie incomprensibili. Se ti hanno affibbiato quel nome quando eri a scuola ti si fa il vuoto intorno. Per tutta la vita, se non cambi città, la definizione ti insegue. È quasi intraducibile, perché deve dare l’idea di qualcosa che non ti mette proprio paura però ti fa sentire sulle spine. Ha talmente tanti significati che nei giorni successivi all’intervista con Tim Walz Google ha visto un balzo di ricerche sulla parola weird, il 22 per cento nella prima settimana e il 32 per cento nei primi giorni di agosto.
Infine, che cosa ha detto Tim Walz all’America di così importante? Che il re è nudo, ed è pure strano. Con una punta di spillo ha sgonfiato la mongolfiera su cui volava Trump. Che infatti non l’ha presa bene. “Sono loro quelli weird!”, ha sbraitato. “C’è qualcosa di weird che succede da quelle parti. Nessuno mi ha mai chiamato weird. Io sono tante cose ma non sono weird. E nemmeno J.D. Vance è weird. Per niente. Sono loro i weird!”. È un po’ poco, da Trump ci si aspetterebbe di meglio che un “Cretino sarà lei!”.
Alla Convention democratica del 2016, Michelle Obama aveva detto: quando loro volano basso, noi voliamo alto. Nobile ma inutile; in politica le cose non vanno così. Non serve attaccare il tuo avversario dove è debole; devi sorprenderlo dove è forte. Se lo colpisci dove è debole otterrai una piccola vittoria, ma la sua forza resterà inalterata. Se apri una breccia dove è forte, non potrà chiamare in soccorso la sua debolezza. La forza di Donald Trump è che non è mai stato possibile definirlo. Non è un repubblicano, non è un democratico, non è un indipendente. Da presidente ha fatto cose che entrambi i partiti avrebbero potuto fare altrettanto, come ne ha fatte altre che avrebbero suscitato orrore in entrambi (se ci fosse ancora un Partito Repubblicano, s’intende). Va dove tira il vento ma vorrebbe che le banderuole girassero a suo piacere. Gli piacerebbe fare il tiranno ma dà l’impressione che preferirebbe risparmiarsi la fatica. A volte dice cose che sembrano di sinistra, altre volte dice cose assolutamente di destra, ma la maggior parte delle volte dice cose senza senso. Ai suoi comizi più recenti ripete che non sarebbe male andare a cena con Hannibal Lecter (sì, lo psichiatra cannibale del Silenzio degli innocenti); a uno dei suoi elettori che gli chiede cosa intende fare per garantire un futuro ai suoi figli e nipoti risponde che il costo della pancetta è quadruplicato (non è vero), che non si può più ordinare della pancetta, è una cosa orribile, senza pancetta si vive da schifo, bisogna avere in pugno la Cina che ci trattava così bene quando lui era presidente e tutti quei paesi a cui bisogna insegnare come comportarsi e che dovranno cioè fermarsi di nuovo (“all of these countries are gonna again, stop like”).
Come dire, he’s just plain weird, è un po’ giù di melone, fuori di zucca, fuori come un balcone, non è mica troppo giusto, è caduto dal seggiolone quando era piccolo, non ha tutti i venerdì, gli manca una rotella, gli si è fritto il cervello, e se lo stai a sentire ti convince pure che Gesù Cristo è morto di sonno. Ci sono voluti otto anni per capirlo. Non è un po’ weird anche questo? Non è che in questi anni ci siamo presi un contagio di weirdness senza saperlo? Siamo stati weirded out, ci ha stressati con le sue stranezze.
Ma c’è chi si preoccupa. Vari commentatori temono che il weird meme abbia lo stesso effetto negativo di quella definizione di “deplorevoli” (deplorables) che Hillary Clinton diede a suo tempo dei trumpiani, quando pareva ancora impossibile che le masse lo seguissero davvero. Il peso di quella parola venne poi ingigantito fino a far credere che se Hillary Clinton non avesse offeso l’elettorato di Trump forse avrebbe vinto. Non c’è nessuna base a questa affermazione, ma è vero che “deplorevole” suona elitario, è inglese latinizzato (significa “che fa piangere”, come si piange a un funerale), non è quello che si dice al compagno di scuola che in camera sua tiene in barattoli di vetro una collezione di lucertole squartate. Dire “deplorevole” offende, ma non fa male. Weird invece, proprio per via del suo uso colloquiale, fa proprio male.
Ruth Ben-Ghiat, storica del totalitarismo e autrice di Strongmen: Mussolini to the Present, ha scritto sul sito MSNBC che gli “uomini forti” sono spesso insicuri. Chiamarli malvagi non gli fa nessun effetto (forse, aggiungerei, si sentono lusingati), ma non sopportano di essere ridicolizzati. Se Trump non sa stare allo scherzo, questa è un’arma che i democratici possono e devono usare [Why MAGA Republicans are upset at Tim Walz for calling them ‘weird’ (msnbc.com)]. Infatti la stanno già usando. È vero che, in Italia, chi ha una certa età ricorda benissimo quando Dario Fo ripeteva “Sarà una risata che vi seppellirà”. Non è mai stato vero, anzi il meme venne presto modificato in un “sarà una risata che ci seppellirà”. E certo, non sarà un meme a seppellire Trump, eppure la febbre è scesa. Per otto anni Trump è stato preso terribilmente sul serio, come se fosse il Barone Harkonnen calato su Dune a distruggere la mite casata degli Atreides. Definirlo “quite old and weird”, piuttosto vecchio e strambo, come in un recente comunicato della campagna di Kamala Harris, rimette le cose in prospettiva.
E poi, chiediamoci seriamente chi dovrebbe offendersi. Il candidato di Trump alla vicepresidenza, l’ineffabile Vance, ha appena firmato un risvolto di copertina per un noto provocatore dell’ultradestra, tale Jack Posobiec. Nel libro, intitolato Unhumans (Inumani), Posobiec sostiene che the leftists non possono essere considerati esseri umani, la democrazia è impotente di fronte all’inumanità della sinistra, l’America deve sbarazzarsi della sinistra e seguire i modelli di Francisco Franco e Augusto Pinochet.
Vance, un candidato che si aspetta – si suppone – di essere votato democraticamente, ha approvato. Quanto a Jack Posobiec, è stato lui, otto anni fa, a mettere in giro la voce secondo la quale i democratici, sotto la guida di Hillary Clinton, sacrificavano bambini in riti satanici che si svolgevano nel sotterraneo di una pizzeria di Washington. Va bene, è un fascista. Ma è anche un weirdo, come lo è chi gli ha scritto il risvolto. Chi dovrebbero stare attenti a non offendere, i democratici? Forse il seguace di Trump che credette alla voce messa in giro da Posobiec e fece irruzione in quella pizzeria di Washington con un AR-15 in mano, per scoprire con suo disappunto che non aveva un sotterraneo?
Oppure dovrebbero stare attenti a non offendere Sid Rosenberg? È un commentatore radiofonico di destra che il 30 luglio, in una conversazione con Trump, ha definito Douglas Emhoff, il marito ebreo di Kamala Harris, un crappy Jew, al che Trump ha annuito con uno “Yeah”. Crap è un termine colloquiale per “merda”. Completate voi la traduzione. Emhoff ha risposto condannando la retorica antisemita. Kamala Harris non ha nemmeno risposto. Hanno volato alto davvero. Ma a volare troppo in alto non si colpisce mai il bersaglio. Che non è neanche Trump, bensì un giovane di 23 anni, camionista, di nome Draic Coakley, che ha già assistito a vari comizi di Trump e che ha detto a un giornalista di Huffington Post: “Trump vede la gente come me. Biden e Harris, be’, sono parte di quella che credo sia l’élite. Il Presidente Trump sarà magari un miliardario, ma essere ricchi è ok. Lui ci capisce. Ci capisce davvero, e capisce il Paese”. È Draic Coakley che va convinto, e non lo convinci dicendogli che Trump è un fascista, perché lui deve tirare a campare col suo camion e non ha tempo di informarsi su cos’è il fascismo. Ma che cos’è un weird lo sa di sicuro. E forse, a farglielo notare, ci penserà su. Forse.
L’articolo Il re è nudo, ed è pure strano proviene da ytali..