Giornata intensa e spettacolare per la Spagna e la Catalogna, col ritorno di Carles Puigdemont, su cui pende un mandato di cattura, al quale, con mossa spettacolare, si è sottratto in diretta televisiva, con grande umiliazione dei Mossos de esquadra, la polizia autonomica catalana.
Puigdemont aveva creato grande attesa annunciando che avrebbe presenziato alla sessione del Parlament in cui si sarebbe dovuto eleggere, come poi avvenuto, il socialista Salvador Illa, terzo presidente socialista della Generalitat della Spagna democratica.
Lo attendeva l’arresto su mandato di cattura emesso dal magistrato della Seconda sala del Tribunale supremo, Pablo Llarena che, con audace interpretazione legale — considerare la malversazione come illecito guadagno personale, fattispecie esclusa dall’amnistia — ha aggirato la legge varata dal governo Sánchez per i fatti attorno al referendum indipendentista del 1º ottobre 2017.
Puigdemont è all’estero da sette anni, stabilmente in Belgio, fuggito il 30 ottobre 2017. La giustizia spagnola ha tentato più volte di farselo consegnare, ottenendo imbarazzanti rifiuti. È avvenuto in Belgio, nel 2017, in Germania, nel 2018, e anche in Italia, nel settembre 2021. In Germania, in realtà, l’estradizione venne concessa per il solo reato di malversazione, ma Llarena decise di non procedere per non giudicarlo solo per un reato “minore”.
Importante: nelle richieste di arresto e estradizione i tribunali non giudicano nel merito, non vagliano le fondatezza delle accuse, ma la corrispondenza del reato nel proprio codice penale. Le gravi accuse spagnole si riferiscono a reati — ribellione, sedizione e malversazione a cui si aggiungeranno prevaricazione e disobbedienza all’autorità — che, così come formulati nelle leggi spagnole, non trovano corrispondenza nei codici degli altri paesi europei. Detta in altro modo, la Spagna democratica contempla reati che, così come formulati, non appartengono al sistema legale delle moderne democrazie europee. Una cosa da non dimenticare quando si guarda al convulso rapporto, ormai scontro aperto, tra politica e magistratura nel paese.
Perché tornare e affrontare una sicura incarcerazione, allora? Voleva finalmente condividere la sorte che già toccò a molti suoi compagni, arresto, processo, condanna e indulto, posto che vi sia ancora un governo con volontà di farlo? Giocare la carta del martire, secondo alcuni, affrontare a viso aperto il regime repressivo spagnolo, secondo altri — dopo anni di lontananza, il ritorno alla patria, offrendo il proprio corpo come sola arma; non sembri un eccesso letterario, è che la politica catalana è così, sentimentalizzata, raccontata, sceneggiata; si tenta di descriverla in sintesi ma non tradendone i tratti —.
Puigdemont, accompagnato dalla scorta e da Jordi Turull, colto dal giornalista John McAulay mentre arriva a calle Trafalgar da dove raggiungerà l’Arc de Trionf
Torniamo alla grande fuga. Le autorità annunciano dal giorno precedente di aver predisposto il dispositivo di cattura. L’incertezza è tanta. Non si sa dove sia il politico — già in Catalogna da martedì, sapremo oggi —. Pochi minuti prima delle nove Puigdemont appare in calle Trafalgar dirigendosi verso l’Arc de Trionf, dove è stato sistemato un palco. Più avanti inizia il Parc de la Ciutadela, dove ha sede il parlamento catalano. Ha annunciato che parteciperà alla seduta ma dovrebbe essere arrestato prima dell’accesso.
Da Junts fanno sapere ai giornalisti che, dopo un breve discorso, raggiungerà il Parlament protetto da una catena umana. Lo stesso dicono gli altoparlanti alla folla, non oceanica, attorno alle tremila persone. È uno degli scenari previsti dai mossos, che si sono preparati ad affrontarne diversi, tranne quello realmente accaduto. Si teme una dinamica da assalto al Campidoglio, tutta la movida del resto nega legittimità al risultato elettorale che ha incoronato Illa, quindi la consegna è di agire discretamente.
L’arrivo di Puigdemont all’Arc de Trionf e il discorso, prima di scomparire
Puigdemont pronuncia un breve discorso poi il suo avvocato Gonzalo Boye quasi lo trascina via occultandolo dietro una parte strategicamente disposta sul palco. Nel frattempo i presenti nel retropalco indossano tutti lo stesso cappello di paglia che mette anche Puigdemont. Il corteo inizia a muoversi ma qualcosa non va, Puigdemont non si vede. Si è infilato in un’auto bianca che, con una sedia a rotelle vistosamente adagiata sul sedile del passeggero, stazionava nel retropalco a motore acceso. La folla e i deputati di Junts non sanno nulla e avanzano verso l’unica entrata accessibile del Parc de la Ciutadela, tutte le altre sono chiuse e presidiate, dove ha sede l’assemblea catalana. I mossos se ne accorgono. Provano a seguire la vettura ma, incredibilmente, complice un semaforo secondo la ricostruzione successiva, la perdono nel traffico.
Un’umiliazione spaventosa, peggiorata dalla reazione alla performance da escapista di Puigdemont. Viene attivato il dispositivo “Jaula” (gabbia), al livello 3, un protocollo di massima allerta che si attiva in situazioni di massima allerta, rischio grave imminente o per la persecuzione di terroristi. Migliaia di auto vengono fermate sulle strade che vanno verso la Francia, si formano lunghe colonne, ritardi di ore, i camion vengono ispezionati, i motociclisti sono costretti a togliersi i caschi per dimostrare di non essere l’ex presidente di nuovo in fuga. Uno sproposito che aumenta l’umiliazione.
Nel frattempo anche in aula regna l’incertezza. I deputati prendono posto e arrivano quelli di Junts, anche loro sconcertati e all’oscuro — come racconta Guillem Martínez nel suo bel reportage in diretta su CTXT.ES. Le voci si rincorrono, si dice che l’illusionista sia già nel parlamento, alle dieci inizia la seduta. Josep Rull, di Junts, presidente dell’assemblea, apre i lavori e dà la parola al candidato Illa. Un discorso ecumenico, riferimenti a Josep Tarradellas, catalanista conservatore moderato presidente in esilio della Generalitat durante il franchismo, la difesa dell’applicazione dell’amnistia, la denuncia del pericolo delle estreme destre, la descrizione del programma concordato con Erc e Comuns come terza grande trasformazione della Catalogna, dopo quella istituzionale dell’epoca Pujol e quella sociale del tripartito Psc – Erc- Izquierda unida dei primi anni 2000, richiamo alla ricostruzione dell’unità sociale — la vera vittima del Proces che ha definito una società divisa in buoni, gli indipendentisti, e cattivi catalani, gli altri.
Interviene Junts, e ancora si annuncia che Puigdemont voterà, poi Erc, che difende l’accordo coi socialisti e la coesione sociale, e si arriva alla pausa pranzo. Fuori c’è qualche scaramuccia con la polizia, qualche centinaio di militanti è riuscito a superare il recinto di polizia, la cui reazione è controllata, questa volta. Niente manganelli, solo spray al peperoncino, con chiara indicazione di non creare il caso di violenza poliziesca.
Alla ripresa dei lavori corre la voce che i mossos hanno chiesto l’arresto di Jordi Turull, Junts chiede il blocco dei lavori, si riunisce il tavolo di presidenza coi rappresentanti dei gruppi e si arriva alla sospensione. Il vero scopo della giornata di Puigdemont sembra essere questo, bloccare il processo democratico di elezione. I manifestanti lanciano cori contro Illa presidente non contro la non applicazione dell’amnistia da parte dei giudici, è il non riconoscimento del risultato elettorale, della legittimità di Illa a governare al centro dell’iniziativa. Manca qualcuno con le corna da bisonte in testa ma, se un riferimento si vuole trovare, è quello dell’assalto al Campidoglio dei seguaci di Trump. Si arriva quasi alle cinque quando si apprende che non di mandato di arresto si tratta ma di invito a presentarsi per dichiarare sui fatti. I lavori ricominciano. I mossos dichiarano che Puigdemont si trova in paradero desconocido, lo hanno perso, un agente viene arrestato per aver collaborato alla fuga, poi un altro, il primo verrà rilasciato in serata.
Intervengono Vox, Sumar, l’estrema sinistra indipendentista della Cup, il Psc. Illa riponde a tutti. Lo sconcerto nelle file di Junts continua, verrà Puigdemont, si consegnerà ai centurioni romani pronto per il Golgota, accadrà qualcosa di spettacolare che rovescerà il tavolo? Inizia la lenta votazione per chiamata nominale. Puigdemont viene chiamato, applaudito dai suoi deputati, non si presenta. Poco prima delle venti Illa viene eletto president.
Come valutare la giornata? Una vittoria apparente per Puigdemont, ma anche una sconfitta. Non è riuscito a bloccare l’investitura di Illa, il vero scopo dopo le elezioni catalane del 12 maggio, era tornare al voto, costringendo Erc a una lista unitaria. La beffa non nasconderà a lungo l’ennesima promessa incompiuta di Puigdemont. Non si è presentato al dibattito come aveva detto, non ha confermato l’abbandono della politica come si era impegnato a fare se non sarebbe stato eletto presidente, non si è fatto arrestare. Lo spettacolo è stato notevole, la beffa ai mossos e al Tribunale supremo da grande cinema ma la giornata sancisce anche la fine del processismo, esaltandone le caratteristiche, grande spettacolarità, costruzione di climax e poca o nessuna concretezza politica, l’evocazione di obiettivi mai raggiunti, né realmente perseguiti, come fu per l’indipendenza.
Per Illa è un trionfo, e presidente e il Psc è sempre più determinante per il Psoe di Sánchez. Per cui si tratta di una vittoria ma anche dell’apertura di un periodo ancor più difficile, se possibile. L’accordo con Erc — profondo, importante, prevede un “finanziamento singolare”, la raccolta diretta delle imposte, cui potranno accedere su richiesta anche le altre comunità autonome; o forse no, ce ne vorrà perché si realizzi —, non è piaciuto a avversari e alleati, diversi presidenti autonomici, anche del Psoe, lo hanno apertamente criticato. Sánchez lo definisce un elemento di “federalizzazione dello stato autonomico”.
A Madrid si scateneranno le accuse delle destre, che già insinuano che il governo ha bloccato i servizi segreti per consentire la fuga di Puigdemont e annunciano denunce a 360 gradi. Sarà un estate politicamente caldissima.
Il nodo è enorme. Dal governo catalano dipendono anche le sorti del governo Sánchez, di minoranza, nato anche coi voti di Junts che potrebbe levare l’appoggio. Qualcuno nel Psoe comincia a intravvedere un dopo-Sánchez. Una mozione di sfiducia, coi voti delle destre spagnole e catalane, potrebbe avere qualche speranza. Ma l’impossibilità della crisi al buio, le norme prevedono che chi presenta la mozione diventi capo del governo, garantiscono Sánchez. Non sono ancora pronti Pp e Junts per governare insieme, e con Vox. Ci si arriverà, prima o poi, i segnali reciproci sono tanti, dichiarazioni di Feijóo, voti comuni alle Cortes, ma è ancora prematuro. Nel mondo globalizzato, tutti aspettano le elezioni Usa di novembre. Da Roma a Madrid a Barcellona, un ritorno di Trump potrebbe cambiare le cose.
Immagine di copertina: Puigdemont trascinato dietro le quinte dal suo avvocato prima di scomparire sotto gli occhi degli obiettivi e della polizia catalana (fotogramma tratto dalla diretta di RTVE)
L’articolo Catalogna. Puigdemont escapista e Illa presidente proviene da ytali..