Come ha confermato la partita di mercoledì sera, c’è un filo rosso che collega Ancelotti e Gasperini e si chiama Nereo Rocco. Diciamo che, in tal senso, Carletto è il maestro ineguagliabile e Gasp l’allievo prediletto. Predicava, infatti, il vate triestino, col cappello sempre ben avvitato al testone, che il calcio, in fondo, fosse una scienza semplice, nella quale bisogna avere “un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un ‘mona’ che segna e sette asini che corrono”. Se ci pensate, la grandezza della banda Gasp, sconfitta ma non vinta dall’invincibile armata di Re Carlo, si basa su questi semplici principî, e per un’ora era riuscita a imbrigliare persino il talento puro di uno squadrone senza limiti e senza sbavature. Poi, per l’appunto, la classe ha fatto la differenza. Del resto, quando uno ha in porta un mostro come Courtois, in difesa gente come Militão e Rüdiger, a centrocampo un bulldozer come Tchouameni, a inventare fuoriclasse come Bellingham e Modrić e in attacco un tipino alla Mbappé, con Rodrygo e Vinícius a supporto, ecco che tutto diventa possibile. La saggezza di don Florentino Pérez, il presidente più vincente della plurititolata storia del Real Madrid, è stata difatti proprio quella di andare oltre se stesso e le sue passate convinzioni.
A inizio secolo, il nostro non trovava di meglio che acquistare palloni d’oro a ripetizione, fino a mettere in piedi una compagine senza capo né coda, con l’aggravante dell’esonero di Del Bosque, in quanto poco mediatico e non abbastanza glamour per prendersi cura del divo per antonomasia che rispondeva al nome di Beckham. Il risultato fu disastroso, segnando la fine della prima era Pérez a Madrid. Una volta tornato al timone delle “merengues”, dunque, don Florentino ha imparato la lezione e, pur non avendo smarrito il gusto per il colpo sensazionale, ha capito che la raccolta di figurine in stile Paris Saint-Germain piace molto ai cultori della Play Station e del Fantacalcio ma non porta risultati. E per Pérez la vittoria è un qualcosa di irrinunciabile, la quintessenza del suo comando, il senso stesso della sua vita imprenditoriale e sportiva.
Così, ha messo su una compagine giovanissima, formidabile e con almeno un decennio di dominio assoluto davanti a sé, affidandosi per giunta a un timoniere che preferisce le salamelle ai cibi pregiati ma che quando si siede in panchina sa trasformare in oro qualunque occasione. Non a caso, a Varsavia, oltre a consentire ai “blancos” di aggiudicarsi la loro sesta Supercoppa Europea, Carletto Magno ha affiancato Muñoz nella classifica degli allenatori più vincenti al Real, sollevando il suo quattordicesimo trofeo, con la prospettiva di diventare presto il primo in assoluto. Ebbene, se tutto questo è accaduto è perché da quelle parti contano sia il gioco e lo spettacolo che la concretezza ma, soprattutto, la programmazione e la capacità di rinnovarsi di anno in anno, senza mettere insieme giocatori incompatibili e senza spendere cifre folli.
Il Real di oggi è il club più ricco, più famoso e più titolato al mondo; ha una rosa invidiabile; è pronto ad aprire un ciclo leggendario, come se non avesse già vinto una messe di titoli negli anni precedenti, e non è certo sazio, a dispetto di un’egemonia di stampo gramsciano, capace di rivoluzionare la concezione stessa del trionfo e di rendere un po’ madridista anche chi prima era restio a inchinarsi alla grandezza di una realtà unica nel suo genere. C’è riuscito Carletto, un personaggio meravigliosamente anacronistico, l’anti-divo per eccellenza, l’incarnazione moderna di Rocco, l’allenatore-papà, il buono che spicca nel mondo dei cattivi e dei cattivissimi. Di fronte a sé, aveva un condottiero che ha preso una società con una storia importante ma tutt’altro che gloriosa alle spalle e l’ha condotta nell’Olimpo del calcio, seguendo la filosofia delle persone semplici ed entrando in simbiosi con un città per cui l’Atalanta è molto più di un club. Si è dovuto arrendere ai fenomeni avversari, ma ribadiamo: non è stato vinto.
I soloni continueranno a spararle grosse da par loro e Carletto, sornione, continuerà a vincere nella ripresa, stavolta grazie a un Valverde in stato di grazia e a uno Mbappé desideroso di dimostrare di esser degno della nomea di mito in potenza che lo ha preceduto. Dopodiché, fumandosi allegramente un sigaro, ai rompiscatole di professione risponderà: “Hablame del mar, marinero!”.
L’articolo Carletto Magno e la banda Gasp proviene da ytali..