Già Mozart, nella seconda metà del Settecento, aveva ridato vita, vigore ed allegria alle sue tre opere “italiane” (Don Giovanni, Così fan tutte e Le nozze di Figaro, musicate su libretti del veneto Lorenzo da Ponte) grazie ad un impiego più frequente del “soprano di coloritura” (o di “coloratura”) destinato, con i suoi virtuosismi, ad “alleggerire” l’intenso intreccio della trama prevista, a volte, dai testi dei librettisti. Le tre opere vennero definite, dallo stesso compositore salisburghese, dei “drammi giocosi”, in quello che solo apparentemente è un ossimoro, una indicazione musicale contraddittoria. Mozart, come peraltro i grandi musicisti italiani del secolo successivo, ma anche i compositori delle precedenti scuole napoletana e veneziana del Sei-Settecento, sentiva a volte la necessità di “abbellire” la sua musica con vertiginosi vocalizzi del soprano, anche per andare incontro agli appassionati musicalmente meno preparati. Certamente non grandi intenditori e, tuttavia, appassionati di quegli ornamenti o abbellimenti stilistici e virtuosistici che avrebbero avuto poi, col passar del tempo, un peso sempre maggiore nel decretare il successo o meno di un’opera lirica.
Tutti noi sappiamo come, ancora negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, i “loggionisti” del teatro alla Scala, e non solo loro, fossero a volte i veri arbitri di un successo o di un “fiasco” ed avessero contribuito a creare la storia di una presunta, feroce rivalità con Renata Tebaldi, “creatura” di Arturo Toscanini. La stessa Maria Callas dovette affrontare, in un’occasione, l’oltraggioso lancio di un mazzo di erbacce ad opera dei fanatici del loggione. In segno di aristocratico disprezzo, la “divina” raccolse lo sgradito ‘dono’ accennando anche un inchino rivolta ai volgari contestatori, soprano.
A sinistra Maria Callas ospite di Small World. Renata Tebaldi, nei panni di Madame Butterfly, ospite diThe Bell Telephone Hour.
Ma Maria Callas era nota soprattutto come “soprano drammatico”, con un “arco vocale” di un’estensione di due tonalità e mezzo e un intenso impegno interpretativo che non sempre poteva facilmente essere ‘assorbito’ anche da un pubblico preparato. Cantante di difficile definizione, insomma, per l’eccellenza della sua voce che ne faceva un soprano lirico e drammatico al tempo stesso. Non certo di “coloratura” anche se, abbandonate le scene, si dedicò assieme al suo fedele amico Giuseppe di Stefano ad una serie di esibizioni nelle quali, complice il pianoforte che accompagnava il magico “duo”, si “divertiva” a deliziare il pubblico di Tokyo o di New York con fraseggi vocali tipici di un ‘soprano “leggero” interpretando arie e romanze di Bellini, Verdi, Puccini (di cui ricorre quest’anno il centenario della morte) ma soprattutto di Donizetti, autore di cristallina purezza che Maria esaltava con i suoi vocalizzi per la gioia (o l’estasi…) del selezionato pubblico. In realtà tutte le voci soprane del secolo scorso erano o drammatiche o liriche, o entrambe le cose. La “voce di coloratura” era nata secoli prima e veniva “sfruttata” anche dagli eunuchi (le voci bianche) e nei canti lirico-religiosi, anche se la sua “fortuna” va ricercata soprattutto nell’affermazione, a livello europeo, dell’”Opera buffa”.
Nel secolo dell’Opera italiana fu forse l’infelice bergamasco Gaetano Donizetti a ricorrere a gioiosi virtuosismi come ne L’elisir d’amore e nella Linda di Chamounix in cui si distinse in particolare una bellissima soprano “di coloratura”, l’americana Anna Moffo. Ma se ci è consentito, vorremmo ricordare il “Caro nome”, magnifica e struggente romanza del verdiano Rigoletto, cantato da Maria. Qui la sua voce diventava “assoluta” e, negli ultimi minuti del celeberrimo brano, oseremmo dire, quasi “da coloratura”.
Immagine di copertina: Locandina della prima, alla Vienna State Opera, del Don Giovanni, 25, maggio 1869.
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