Pochi giorni fa, la “leggendaria” pianista napoletana Maria Tipo, alla cui scuola si formarono generazioni di grandi pianisti, ha spento le 92 candeline di una sua ideale torta di compleanno. Amica di Ferruccio Busoni e “maestra” di pianisti divenuti famosi, come Alessandra Ammara (specialista di Chopin e, assieme al marito Roberto Prosseda, di Mendelssohn-Bartholdy), Andrea Lucchesini e Nelson Goerner. Il grande direttore tedesco Karl Böhm (da alcuni considerato assieme a Carlos Kleiber, il migliore del Novecento) sosteneva che pochi, come lei, sapessero suonare Mozart grazie a quella sfumatura di colore latino che la pianista conferiva alle musiche del grande salisburghese rendendole, almeno in parte, quasi preromantiche. Come per tante altre espressioni dell’animo umano, la musica è stata, salvo rare eccezioni, territorio di dominio maschile. Ma, da poco in libreria, si trova un corposo saggio della giornalista e musicologa francese Aliette de Laleu, intitolato Mozart era una donna (Odoya editore) che si propone di restituire alle donne il giusto posto che hanno avuto, e tuttora – e sempre di più – hanno nel mondo delle sette note (e dei cinque semitoni…). Perché Mozart? Perché l’autore di tanta musica che segnò il definitivo tramonto del barocco e l’inizio del breve periodo del classicismo (assieme a Haydn e, ovviamente, a Beethoven) aveva una sorella maggiore che si chiamava Maria Anna Valpurga Ignatia, un vero “prodigio musicale” che compose musica di ottimo livello, poco eseguita in pubblico e in gran parte andata perduta. Con questo bel libro, come osserva il suo curatore italiano,
Aliette de Laleu si sforza di riparare a secoli di invisibilità restituendo alle donne il loro posto nella storia della musica.
L’autrice parte da lontano ricordando come le poesie di Saffo furono musicate e cantate anche grazie, o soprattutto, ai contributi della sua ricca famiglia di Mitilene, nell’isola di Lesbo. Andrebbero poi ricordate Cassia di Costantinopoli, inizialmente candidata a sposare l’imperatore Teofilo ma poi finita in un convento come badessa dove poté comporre inni di musica sacra alcuni dei quali giunti fino a noi. Il testo di uno di questi inni recita:
Odio il ricco che si lamenta come se fosse povero/ Odio colui che parla prima di riflettere/ Odio colui che insegna senza sapere nulla/ Odio il silenzio quando è il momento di parlare.
Verso, quest’ultimo, “di incredibile attualità”, chiosa la de Laleu. Emergono, dalle pagine della musicologa francese, nomi perduti nell’oscurità di quei “secoli bui”, come quello di Ildegarda di Bingen. Anche lei, come Cassia, si dedicò alla musica religiosa componendo inni che venivano cantati dalle consorelle con l’accompagnamento di strumenti musicali. Non molto ci è rimasto della musica di Ildegarda per cui è problematico ipotizzare che i suoi inni fossero una evoluzione dei precedenti Canti Gregoriani, più diffusi in Francia e in Italia ed eseguiti unicamente da cori solo maschili.
Una gran parte delle composizioni delle musiciste dell’antichità e del Medio Evo, come si è accennato, sono andate perdute e bisogna arrivare al Settecento e al secolo successivo per trovare nomi famosi, non sbiaditi dal passar del tempo. Nel periodo d’oro della musica veneziana, si fece notare Barbara Strozzi, compositrice e soprano che tra il 1644 e il 1667 pubblicò ben otto volumi di partiture vocali per un totale, ricorda la De Laleu, “di circa centoventicinque brani, per lo più di musica profana”. Ecco dunque un primo segno dell’affermazione della donna nel mondo della musica, della donna “affrancata”, non più legata alla musica sacra come condizione sine qua non per essere, se non apprezzata, almeno tollerata dal mondo maschile e religioso. Tra le arie della Strozzi che ci sono state tramandate una delle più conosciute ancora oggi è ‘Che si può fare’, uno “struggente lamento”, scrive l’autrice del libro che così recita in parte:
Che si può fare? / Le stelle rubelle non hanno pietà / se il cielo non dà un influsso / di pace al mio penare, / che si può fare / che si può dire?
Clara Wieck-Schumann
Beatrice Rana
C’è da dire che non solo la composizione era quasi proibita, ma anche l’uso di alcuni strumenti considerati tipicamente maschili, come gli ottoni o le percussioni. Alle donne, ed esclusivamente a loro, era concesso partecipare ad un “ensemble” suonando l’arpa o, raramente il violino. Gli “arpeggi”, il pizzicato “continuo”nota per nota dello strumento più antico del mondo, era considerato consono con la fragile bellezza di una donna idealizzata. Questi limiti perdurarono, ma con qualche apertura”, anche nell’Ottocento quando alle donne, per lo più mogli o sorelle di famosi musicisti, fu concesso di suonare per un ristretto pubblico. È il caso di Fanny, sorella di Mendelssohn, pianista e compositrice, alla quale tuttavia il padre scrisse: ”limitati a suonare il piano… lascia la composizione a tuo fratello Felix.” Il “caso” più famoso fu quello della grande pianista Clara Wieck, moglie di Robert Schumann, che compose un concerto denso e romantico per piano e orchestra che noi ascoltammo l’anno scorso all’Auditorium di Renzo Piano a Roma per l’esecuzione di un’altra donna, la pianista Beatrice Rana. La rivincita delle donne.
Ma è bene ricordare che, ancora nel 1840, il critico musicale Albert Clerc scriveva:
Una donna che si appropria di strumenti specificatamente riservati agli uomini e che, per esempio, suona il violino, il flauto o il contrabbasso, di solito ha un aspetto maschile e un accenno di baffi.
Seguendo da vicino e con passione la musica classica, possiamo assicurare che le violiniste che abbiamo ascoltato (dalla tedesca Anne Sophie Mutter alla georgiana Lisa Batiashvili, dalla veneziana Cecilia Crisafulli all’ucraina Anastasija Petryshak) ci hanno colpito per la loro eleganza esecutiva e per il fascino delle musiche eseguite con cui hanno sempre catturato l’attenzione e l’ammirazione di un pubblico colto.
Immagine di copertina: Maria Anna Mozart in un ritratto di Pietro Lorenzoni, 1763
L’articolo La musica e l’“altra metà del cielo” proviene da ytali..