Ad inizio luglio la Corte Suprema aveva prorogato il rinvio del processo penale a Washington contro Donald Trump per le accuse di aver complottato per rovesciare l’esito delle elezioni presidenziali del 2020, escludendo praticamente la possibilità che l’ex presidente potesse essere processato prima delle elezioni di novembre.
In una storica decisione con un voto di sei a tre, i giudici hanno affermato per la prima volta che gli ex presidenti godono di immunità assoluta per gli atti ufficiali e nessuna immunità per gli atti non ufficiali. I giudici hanno quindi ordinato ai tribunali inferiori di stabilire con precisione come applicare la decisione al caso di Trump.
Questa posizione ha suscitato un acceso dibattito, con alcuni giudici che hanno respinto l’idea di un’immunità assoluta. La giudice Sonia Sotomayor ha dichiarato nel parere dissenziente che la Corte Suprema ha permesso a un presidente di diventare un “re al di sopra della legge”. Ha definito la decisione “totalmente indifendibile”:
La Corte crea di fatto una zona priva di legge attorno al presidente, sconvolgendo lo status quo che esiste sin dai tempi della fondazione.
ha scritto.
Sotomayor è stata sostenuta dalle altre due giudici nominate dai Democratici, Elena Kagan e Ketanji Brown Jackson, che hanno scritto un’altro documento dissenziente che definisce le conseguenze della sentenza come un five alarm fire, una situazione di estrema urgenza e gravità.
Questo dibattito ha evidenziato nuovamente il ruolo cruciale della Corte Suprema nella politica americana, con il suo potere di interpretare la costituzione e stabilire precedenti legali su questioni politicamente rilevanti come i diritti civili, le libertà individuali e l’equilibrio dei poteri. Di qui l’importanza del maggiore organismo giudiziario degli Stati Uniti: le sue decisioni plasmano la direzione a lungo termine della società americana.
Questa importanza porta con sé un problema non indifferente. I giudici della Corte Suprema sono nominati a vita e le loro sentenze possono avere effetti duraturi. La composizione della Corte, quindi, assume un’importanza strategica nelle elezioni politiche. Con diversi giudici anziani che potrebbero ritirarsi – o “invitati” a farlo – nei prossimi anni, l’esito delle prossime elezioni presidenziali potrebbe determinare non solo l’orientamento ideologico della Corte, ma potrebbe influenzare la giurisprudenza per una generazione intera.
Attualmente la Corte include una combinazione di giudici relativamente giovani e più anziani. I giudici nominati da Donald Trump – Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett – sono tra i più giovani della Corte: hanno tutti meno di sessant’anni e, a lungo termine, potrebbero influenzare la Corte con una visione conservatrice per decenni. L’altra giudice più giovane è Ketanji Brown Jackson, nominata da Biden. I giudici più anziani sono Clarence Thomas, settantasei anni, e Samuel Alito, settantaquattro anni, e sono quelli che potrebbero ritirarsi nei prossimi anni, portando a potenziali cambiamenti significativi nella composizione e nella direzione ideologica della Corte.
Se dovesse vincere Trump, molti analisti scommettono che Thomas e Alito lascerebbero il loro incarico, una situazione che consentirebbe a Trump di nominare due nuovi – e più giovani – giudici che darebbero al movimento conservatore americano la possibilità di determinare per lungo tempo la giurisprudenza e le politiche future.
Questo è il motivo che ha spinto nei mesi scorsi analisti e commentatori di area democratica a esortare le due giudici liberal della Corte Suprema, Sonia Sotomayor e Elena Kagan, a considerare seriamente le loro dimissioni. Per quanto Sotomayor, settantenne, e Kagan, sessantaquattrenne, siano molto rispettate, la loro età solleva timori riguardo alla possibilità di una loro uscita improvvisa o della loro incapacità di partecipare pienamente alle attività della Corte nei prossimi anni.
La richiesta di dimissioni è in parte alimentata dal timore che si verifichi una situazione simile a quella che ha preceduto la morte della giudice Ruth Bader Ginsburg nel 2020. Ginsburg, che era un’icona progressista, morì in carica, dando la possibilità a Donald Trump di nominare rapidamente Amy Coney Barrett e solidificare una maggioranza conservatrice sulla Corte.
Durante la sua presidenza, Donald Trump ha lasciato infatti un’impronta indelebile sulla Corte. Con la nomina di Gorsuch, Kavanaugh e Coney Barrett, l’ex presidente repubblicano ha cementato una maggioranza conservatrice di sei a tre, una delle più efficaci da tempo. Questa configurazione ha avuto un impatto significativo. Una delle decisioni con maggiore impatto è stata la sentenza del 2022 nel caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, che ha rovesciato la storica decisione Roe v. Wade del 1973 con la quale la Corte aveva stabilito un diritto costituzionale all’aborto, proteggendo l’accesso all’interruzione di gravidanza in tutto il paese.
Il ribaltamento di questa sentenza ha restituito ai singoli stati il potere di legiferare sull’aborto, portando a una frammentazione delle leggi e a una situazione in cui milioni di donne hanno perso l’accesso sicuro all’aborto. Dopo l’annullamento di Roe v. Wade, molti stati hanno visto battaglie legali significative riguardanti le normative sull’aborto, in gran parte a causa delle cosiddette “trigger laws” (leggi di attivazione). Queste leggi erano state predisposte per entrare in vigore automaticamente o con un’attivazione rapida nel momento in cui Roe v. Wade fosse stata ribaltata.
Il New York Times, che segue l’evoluzione continua degli stati in materia di aborto dopo l’annullamento di Roe v. Wade, riporta tredici stati con divieto totale di ricorrere all’aborto: Alabama, Arkansas, Idaho, Indiana, Kentucky, Louisiana, Mississippi, Missouri, North Dakota, Oklahoma, South Dakota, Tennessee, Texas, West Virginia. In questi stati, l’aborto è stato completamente vietato, spesso con poche o nessuna eccezione, come per esempio se la salute della madre è in pericolo o in casi di incesto o stupro. Esistono stati poi con restrizioni significative come Georgia, Iowa, South Carolina e Florida, dove il divieto scatta a sei settimane dalla gravidanza. In molti altri stati sono in corso battaglie legali.
Un’altra sentenza controversa è stata quella che ha riguardato le politiche di affirmative action nelle università. La Corte Suprema ha stabilito che le pratiche di ammissione basate su considerazioni razziali violano la Costituzione. Questa decisione ha messo fine a decenni di politiche mirate a promuovere la diversità nelle istituzioni educative e a correggere le disuguaglianze storiche subite dalle minoranze. Fin dagli anni Sessanta, l’affirmative action era stata indirizzata a promuovere la diversità all’interno di queste istituzioni, particolarmente a favore degli afroamericani, al fine di correggere le disuguaglianze sistemiche ereditate dal passato segregazionista del paese.
Il voto è avvenuto ancora sei a tre, con i giudici conservatori che hanno proclamato la necessità di garantire il principio di uguaglianza tra i cittadini, indipendentemente dal colore della pelle, mentre i giudici liberal ancoravano il loro ragionamento alla realtà delle disuguaglianze e del razzismo, rifiutando di considerarli semplicemente come fantasmi di un’era passata.
Un’altra sentenza rilevante degli ultimi anni è stata West Virginia v. Environmental Protection Agency (EPA) del 2022. La sentenza ha limitato drasticamente l’autorità dell’ente federale per la protezione dell’ambiente di regolamentare le emissioni di carbonio dalle centrali elettriche. La Corte ha stabilito che l’agenzia non ha il potere di imporre regole di vasta portata senza un chiaro mandato dal Congresso. Anche in questo caso la giudice Elena Kagan, scrivendo per i dissenzienti, aveva lanciato l’allerta sul riscaldamento globale e aveva dichiarato che la decisione della Corte spogliava l’EPA del “potere che il Congresso le aveva conferito per rispondere “alla sfida ambientale più urgente del nostro tempo”:
La Corte si nomina – invece del Congresso o dell’agenzia esperta – come decision-maker della politica climatica,
Aveva scritto, aggiungendo:
Non riesco a pensare a molte cose più spaventose.
La sentenza aveva rappresentato una sconfitta significativa per Biden e i suoi tentativi di ridurre le emissioni.
Più recentemente la Corte Suprema ha deciso di porre fine al precedente giuridico del caso Chevron. Secondo questa dottrina, quando il Congresso redige leggi, incarica le agenzie federali di attuarle. E i regolamenti che queste agenzie redigono sono spesso contestati in tribunale. La dottrina Chevron stabiliva che, quando i tribunali si trovano a trattare una di queste controversie e quando la legge sottostante è vaga o poco chiara su ciò che l’agenzia competente dovrebbe fare, i tribunali deferiscono all’interpretazione dell’agenzia, purché sia ragionevole. L’eliminazione di questa dottrina comporta che il governo federale non beneficerà più del dubbio in nessuna fase di una causa legale, il che porterà quasi certamente a un aumento delle cause e alla cancellazione di ulteriori regolamenti.
La maggioranza conservatrice ha anche praticamente eliminato il termine di prescrizione per contestare le normative federali e ha ridotto drasticamente il potere dei giudici interni che alcune agenzie utilizzano per far rispettare le loro regole.
Accanto all’enorme impatto sulla vita delle persone delle sentenze della Corte, negli ultimi tempi sono state sollevate preoccupazioni anche riguardo all’etica e all’integrità di alcuni dei suoi membri. Il giudice Clarence Thomas, uno dei membri più longevi della Corte Suprema, è stato al centro di numerose controversie negli ultimi anni, molte delle quali legate al comportamento della moglie, Virginia “Ginni” Thomas.
Ginni Thomas è una nota attivista conservatrice ed è stata coinvolta in numerose attività politiche, ma il suo ruolo nella promozione delle teorie del complotto riguardanti le elezioni del 2020 ha attirato particolare attenzione. È emerso che Ginni Thomas ha scambiato messaggi con funzionari della Casa Bianca e legislatori, cercando di influenzare gli sforzi per rovesciare i risultati delle elezioni presidenziali e sostenere le teorie infondate di frode elettorale propagate da Donald Trump.
Il suo coinvolgimento è stato particolarmente controverso in relazione all’assalto del 6 gennaio 2021 al Campidoglio degli Stati Uniti, un evento in cui sostenitori di Trump hanno tentato di interrompere la certificazione della vittoria di Joe Biden. I messaggi di Ginni Thomas e la sua attiva partecipazione a gruppi che promuovevano la disinformazione elettorale hanno sollevato serie preoccupazioni sul conflitto di interessi, data la posizione del marito nella Corte Suprema.
Uno dei principali problemi emersi è la mancata ricusazione di Thomas in casi giudiziari che riguardavano direttamente le questioni elettorali e l’assalto al Campidoglio. Data l’implicazione della moglie in questi eventi, molti esperti legali e politici hanno sostenuto che Thomas avrebbe dovuto astenersi da tali casi per evitare un chiaro conflitto di interessi.
Anche Samuel Alito ha affrontato delle critiche significative per la sua condotta e alcune delle sue opinioni politiche. Delle foto hanno mostrato la presenza di una bandiera statunitense rovesciata nel periodo successivo all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio. La bandiera capovolta era ed è associata proprio allo sforzo di ribaltare la vittoria elettorale del presidente Biden nel 2020. Sebbene non ci siano prove che Alito abbia supportato attivamente l’insurrezione, la presenza della bandiera è stata vista come un segnale preoccupante. Critici di Alito hanno sottolineato che l’esposizione di questa bandiera fosse inappropriata per un giudice della Corte Suprema.
Oltre a problemi legati alle loro opinioni politiche, ci sono stata anche casi relativi al non rispetto delle regole etiche.
Thomas è stato per esempio coinvolto in una serie di scandali legati ai suoi viaggi e alle spese sostenute per questi. Questi viaggi, spesso finanziati da donatori e influenti uomini d’affari con interessi diretti in cause legali, hanno messo in dubbio l’imparzialità del giudice. Uno dei casi più noti riguarda i viaggi di lusso offerti dal miliardario Harlan Crow, un noto donor repubblicano. Le rivelazioni, iniziate nel 2023, indicano che Thomas ha accettato numerosi viaggi su yacht privati, jet e soggiorni in resort di lusso, tutti finanziati da Crow, senza riportare tali benefici nelle sue dichiarazioni finanziarie, come richiesto dalla legge.
La mancata divulgazione dei viaggi e dei regali ha spinto alcuni membri del Congresso a chiedere un’indagine più approfondita e, in alcuni casi, a proporre l’impeachment del giudice. Tuttavia, come spesso accade in questi casi, l’impeachment di un giudice della Corte Suprema è estremamente difficile da realizzare, richiedendo una maggioranza significativa sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato.
Le rivelazioni sui viaggi di Thomas hanno tuttavia evidenziato una più ampia questione riguardante la mancanza di regole etiche chiare e vincolanti per i giudici della Corte Suprema. A differenza dei giudici delle corti inferiori, i membri della Corte Suprema non sono soggetti alle stesse rigide normative sui conflitti di interesse e sulla divulgazione delle informazioni finanziarie. Questo ha portato a richieste di una riforma delle regole etiche per la Corte Suprema, con l’obiettivo di garantire che i giudici siano tenuti agli stessi standard di trasparenza e integrità richiesti a funzionari di altri rami del governo.
Nel corso del suo mandato, per far fronte ai problemi sorti con la Corte, Biden ha suggerito alcune strategie per incoraggiare il pensionamento dei giudici più anziani, come l’introduzione di incentivi per il ritiro o la possibilità di limitare la durata degli incarichi. L’amministrazione Biden ha anche creato una commissione per esplorare possibili riforme della Corte Suprema, inclusa la controversa idea di ampliare il numero di giudici, chiamata court-packing.
Si tratta tuttavia di una situazione nella quale i democratici hanno non poche responsabilità.
Secondo la costituzione degli Stati Uniti, i giudici della Corte Suprema sono nominati dal presidente e devono essere confermati dal Senato. Il presidente sceglie un candidato, solitamente un giudice federale o un esperto di diritto con una carriera notevole, una scelta spesso influenzata da vari fattori, tra cui l’ideologia politica, l’equilibrio della Corte, e le possibilità di ottenere una conferma da parte del Senato.
Una volta nominato, il candidato è sottoposto a un’udienza di conferma davanti alla commissione giustizia del Senato. Durante queste udienze, il candidato risponde alle domande dei senatori riguardo alle sue opinioni giuridiche, alla sua storia professionale e personale, e alla sua idoneità per il ruolo.
Dopo le udienze, la commissione giustizia vota per raccomandare o meno la conferma del candidato al Senato. L’intero Senato poi vota per confermare o respingere il candidato. Fino al 2017, la conferma richiedeva una supermaggioranza di sessanta voti. Ovvero per nominare un giudice della Corte Suprema era necessario convincere una parte dei propri avversari politici. Un fattore che spingeva a scegliere candidati in grado di essere votati anche dalle componenti “moderate” di ciascun schieramento.
Ma questo è cambiato con una mossa procedurale che ha avuto importanti conseguenze politiche.
Il processo di conferma ha infatti subito una modifica sostanziale nel 2013, quando i democratici, guidati dal defunto leader della maggioranza al Senato Harry Reid, decisero di cambiare le regole del Senato per le nomine giudiziarie inferiori e per le nomine esecutive, riducendo il requisito da una supermaggioranza di sessanta voti a una maggioranza semplice di cinquantuno voti. Questa decisione, nota come “nuclear option,” fu presa in risposta all’ostruzionismo dei repubblicani, che bloccavano molte delle nomine giudiziarie proposte dall’amministrazione Obama. Tuttavia, questa modifica non includeva inizialmente le nomine alla Corte Suprema.
Nel 2017, i Repubblicani, sotto la guida del leader della maggioranza al Senato Mitch McConnell, estesero questa regola alle nomine della Corte Suprema per confermare Neil Gorsuch, il candidato scelto da Donald Trump, con una maggioranza semplice. Questa modifica ha avuto un impatto profondo sul processo di nomina, rendendo più facile per il partito al potere confermare i giudici alla Corte Suprema senza bisogno di un sostegno bipartisan.
L’amministrazione Trump ha beneficiato enormemente di queste nuove regole, riuscendo appunto a nominare tre giudici conservatori alla Corte Suprema (Gorsuch, Kavanaugh e Coney Barrett).
L’ala progressista del Partito democratico aveva reagito all’espansione del potere conservatore nella Corte Suprema con una proposta che ricordava una mossa storica tentata dal presidente Franklin D. Roosevelt negli anni Trenta: ampliare il numero dei giudici della Corte Suprema. Questa proposta – il “court-packing” – prevede di aumentare il numero di giudici per riequilibrare l’orientamento ideologico della Corte.
Roosevelt propose di aggiungere fino a sei nuovi giudici alla Corte Suprema dopo che il tribunale aveva invalidato alcune delle sue riforme del New Deal. La sola minaccia dell’ampliamento portò la Corte a essere più accomodante con le sue politiche e non ne venne cambiata la composzione.
Alcuni progressive sostenevano che l’ampliamento della Corte fosse necessario per contrastare l’influenza dei giudici nominati dai repubblicani, che rischiano di bloccare o invertire molte delle conquiste sociali e ambientali ottenute negli ultimi decenni. Tuttavia, la proposta ha creato enormi divisioni all’interno del Partito Democratico ed è stata accantonata.
Biden ha deciso quindi di intervenire con alcune proposte “minori” di riforma della Corte Suprema. A luglio il presidente ha proposto limiti di mandato per i giudici, un codice etico vincolante e una modifica costituzionale per annullare la decisione della Corte che consente ai presidenti in carica di violare la legge penale (ovvero la sentenza che ha garantito l’immunità a Trump). Anche Kamala Harris, vice-presidente e oggi candidata democratica, ha sostenuto le proposte.
Il problema è che emendare la costituzione ed annullare la decisione sull’immunità presidenziale richiede l’approvazione di tre quarti degli stati. Allo stesso modo, la proposta sui limiti di mandato sarebbe in contrasto con l’articolo III della costituzione, che stabilisce che i giudici “mantengano i loro uffici finché “manterranno buona condotta”, una formulazione storicamente interpretata come una protezione per i giudici, a meno che non commettano gravi illeciti. Quindi anche questa proposta richiederebbe una modifica costituzionale ed è destinata a non andare a buon fine.
La sola proposta che dovrebbe poter funzionare è quella di un codice etico vincolante.
Una soluzione che non risolve tuttavia alcun problema ai democratici dal punto di vista delle politiche che vorrebbero promuovere. La soluzione ultima rimane sempre e solo quella di vincere le elezioni e confidare che i giudici conservatori prima o poi decidano di ritirarsi. Oppure utilizzare il codice etico per costringerli a farlo, una mossa che potrebbe causare all’isituzione più danni di quelli che i democratici vorrebbero risolvere.
Nel frattempo, infatti, il giudizio dell’opinione pubblica sulla Corte Suprema è diventato sempre più polarizzato. Molte recenti decisioni su questioni altamente divisive hanno portato a un aumento della sfiducia tra diverse fasce della popolazione nei confronti della maggiore istanza giuridica del paese. Secondo vari sondaggi, la fiducia nella Corte Suprema è diminuita, soprattutto tra i liberal e i moderati, che vedono alcune delle sue recenti decisioni come motivate politicamente piuttosto che basate su una rigorosa interpretazione della legge. Dall’altro lato, molti conservatori vedono la Corte come un baluardo contro quello che considerano un eccesso di legislazione progressista.
Immagine di copertina: in prima fila, da sinistra a destra, Sonia Sotomayor, Clarence Thomas, il presidente della Corte Suprema John G. Roberts, Samuel A. Alito, ed Elena Kagan. In seconda fila, da sinistra a destra: Amy Coney Barrett, Neil M. Gorsuch, Brett M. Kavanaugh, e Ketanji Brown Jackson (Credit: Fred Schilling, Collection of the Supreme Court of the United States)
L’articolo Corte Suprema. La sfida celata delle prossime elezioni proviene da ytali..