[BERLINO]
Alle porte di Berlino c’è un pezzo di Murano. Anzi, migliaia di piccoli pezzi. Tanti quanti le tessere del mosaico absidale della Friedenskirche, la chiesa della pace di Potsdam, ai margini del parco di Sanssouci. Il complesso prende il nome dal palazzo rococò (denominato in francese Sanssouci, “senza pensieri” ) che Federico II, il Grande (1712-1786), fece erigere come dimora estiva. Quello stesso “castello” venne abitato da Federico Guglielmo IV (1759-1861) dopo l’ascesa al trono di Prussia.
Affacciandosi alle finestre della residenza, lo sguardo sfiora le vigne, gli alberi, i roseti e i prati. Ma viene catturato da una apparizione lontana, ai margini dell’esteso parco (circa trecento ettari). La sagoma di una chiesa che sbalza il pensiero e lo sposta di 1500 chilometri più a sud. Una apparizione distopica, nell’accezione medica di questo vocabolo consunto ormai dal debordante impiego letterario. È una architettura spostata dalla sua normale sede. Richiama le più antiche basiliche di Roma. E, infatti, venne progettata pensando a San Clemente e a Santa Maria in Cosmedin.
La volle così Federico Guglielmo IV il quale – a differenza del prozio Federico il Grande, più interessato alla filosofia e alle conversazioni con Voltaire che alla religione – era un fervido credente. Evangelico, ma con una visione ecumenica, mi verrebbe da dire. Aveva sposato nel 1823 una principessa cattolica (Elisabetta di Baviera ) in un’epoca di contrasti ancora laceranti tra le confessioni. Non obbligò la moglie ad abbandonare il cattolicesimo, lo fece Elisabetta, di propria iniziativa, anni dopo le nozze. La fede e la religione – si adoperò non solo per la riconciliazione coi cattolici ma anche per la libertà di culto nel complesso mondo protestante – ebbero un ruolo centrale anche nella visione politica, di stampo marcatamente teocratico, di Federico Guglielmo. Regnò, quasi controcorrente, in un periodo di profondi rivolgimenti sociali, di spinte e tensioni, attraversato da un vento di rivoluzione, non solo industriale. Regnò da conservatore moderato ma con un’anima saldamente assolutista. Regnò da architetto: dette forma a un proprio progetto monarchico, che guardava al dissolto Sacro Romano Impero. E, mentre regnava, continuava a coltivare una passione, che era stata fin dall’infanzia incoraggiata dai suoi educatori, per il disegno (sono almeno settemila i fogli del “re disegnatore”conservati). Ebbe tra i suoi insegnanti anche Karl Friedrich Schinkel, della cui collaborazione si avvalse così come di quella degli altri grandi architetti del suo tempo (Friedrich August Stüler, Ferdinand Ludwig Hesse e Ferdinand von Arnim).
Consapevole della potenza simbolica e politica dell’architettura, subito dopo l’incoronazione decise di finanziare il completamento del duomo cattolico di Colonia, la cui costruzione, cominciata nel 1248, era stata interrotta nel 1560. Nel 1842 pose la prima pietra del nuovo cantiere e nel 1848 partecipò all’inaugurazione della cattedrale.
Il capitolo architettura e potere durante il suo regno (1840-1861) è articolato, complesso e pieno di diramazioni. Una di queste riguarda espressamente gli edifici di culto.
Dopo l’ascesa al trono (1840) acquistò a Sacrow (nei pressi di Potsdam) una tenuta nella quale intendeva erigere una chiesa “in stile italiano“ che aveva da tempo abbozzato. La costrizione della Heilandskirche (chiesa del Salvatore) venne affidata per la progettazione definitiva e l’esecuzione a Ludwig Persius e il tempio, in una scenografica posizione sulle rive dell’ Havel – il fiume che solca il Brandeburgo gonfiandosi a tratti in lago – venne inaugurato nel 1844. Federico Guglielmo IV aveva intanto incaricato l’architetto Persius di costruire a Sanssouci una nuova chiesa, ispirata ai complessi monastici romani, con nartece, chiostro, colonnati, che si specchiasse in uno stagno artificiale.
Doveva essere una cappella di corte, ma anche parrocchia per gli abitanti del borgo del Brandeburgo. E doveva essere edificata non secondo i canoni architettonici luterani, ma riproducente le basiliche romaniche della città dei Papi.
Le aveva visitate, e vi si era certo fermato in raccoglimento, durante un agognato viaggio in Italia che gli era stato permesso dal padre nel 1828. Dieci settimane in tutto durante le quali aveva toccato Genova, la Toscana e quindi Roma, Napoli, Ravenna e Venezia. Un Grand Tour dal quale era tornato con album fittamente riempiti e con una fascinazione per l’architettura romanica e bizantina, soprattutto.
Il cantiere della Friedenskirche venne aperto il 14 aprile del 1845. L’architetto – morto nel luglio dello stesso anno, poco dopo l’inizio dell’opera, completata da Stüler, Armin e Hesse – aveva ricevuto una precisa consegna da parte di Federico Guglielmo: il catino absidale doveva avere dimensioni appropriate per accogliere un mosaico proveniente dalla chiesa di San Cipriano a Murano.
Unico, oggi, nel suo genere, a nord delle Alpi, il mosaico era stato comprato dagli emissari di Federico Guglielmo (ancora principe ereditario) per 385 talleri a Venezia nel 1834, a un’asta, secondo varie fonti. Il grande mosaico (sessanta metri quadrati) era stato poi “segato” in decine di riquadri, collocato su pannelli di gesso e trasportato per vie d’acqua a Potsdam dove sarebbe stato rimontato dallo scultore e stuccatore Friedrich Wilhelm Koch.
1
2
3
1. La navata, 2. il mosaico proveniente dalla chiesa di San Cipriano a Murano, 3. particolare del mosaico
Raffigura una classica deesis, tema iconografico di ambito bizantino dell’intercessione. Al centro, Cristo in trono con la mano destra benedicente e nella sinistra il Libro. Al suo fianco la Vergine e San Giovanni Battista. Ai lati San Pietro e San Cipriano, martire decapitato nel 258, e vicini a loro gli arcangeli Raffaele e Michele. Alla sommità della cupola la colomba come simbolo dello Spirito Santo e, sul vertice dell’arco, l’agnello.
Sul bordo, nella fascia inferiore, una iscrizione, solo la prima parte della quale risulta di chiaro significato: HOC FIERI JUSSIT OPUS FROSINA MARCELLA (questa opera fece fare Frosina Marcella). Il seguito della dedica non è di nitida interpretazione a causa di lettere mancanti, abbreviazioni e trattini posti a colmare le lacune. Si presume tuttavia che Frosina Marcella abbia donato il mosaico in memoria del marito (Petri Marcelli), forse un prestatore di denaro, per intercedere per la sua anima.
Un riassunto della storia del mosaico lo ha fatto nel gennaio del 2013, sul quotidiano berlinese Tagesspiegel, Heidi Jäger presentando una conferenza dello studioso Thomas-Peter Gallon sulla “Perla nascosta di Postdam”. La conferenza è diventata un saggio dal titolo “Sovrano, giudice, donatore di benedizione? Sulla presenza di Cristo nel mosaico di intercessione veneto-bizantino della Chieda della Pace di Sanssouci”(Herrscher, Richter, Segensspender? Zur Präsenz Christi im veneto-byzantinischen Fürbitte-Mosaik der Friedenskirche zu Sanssouci)
Secondo Gallon, attraverso il mosaico – databile tra l’inizio del XII secolo, al tempo della costruzione di San Cipriano dunque, o al primo terzo del XIII, come indicherebbe un documento riguardante Frosina Marcella – Federico Guglielmo voleva esprimere la propria comprensione della sua legittimità come re nella Grazia di Dio. Una via di mezzo tra una designazione, un’investitura e una missione: una benedizione dell’autorità nel solco di secoli di storia teocratica, insomma.
Il desiderio di possedere un mosaico sarebbe sorto nel cuore del principe ereditario di Prussia durante la visita di San Marco, a Venezia, nel corso del viaggio in Italia del 1828. Sopraffatto dalle immagini – scrive il Tagesspiegel – incaricò la rappresentanza diplomatica di acquistarne uno per lui. Nel 1834 si presentò l’opportunità di ottenerne uno, quello proveniente da San Cipriano. Il complesso muranese, dismesso dal 1817, era stato acquistato da un uomo d’affari, il quale aveva venduto l’intero inventario. Non una sottrazione, quell’aggiudicazione della decorazione musiva, piuttosto un salvataggio, dato che il rischio poteva essere la vendita delle tessere come materia prima per i restauri a San Marco. L’incarico di staccare la deesis sarebbe stato dato a due specialisti veneziani e avrebbe richiesto molti mesi di lavoro a cavallo tra il 1835 e il 1836.
1
2
3
1. un portico del complesso architettonico, 2. resti lapidari antichi inglobati nella costruzione, 3. il chiostro con la cupola del Mausoleo
Da Venezia a Postdam il viaggio fu lungo e costoso: il trasporto, secondo il quotidiano berlinese, sarebbe costato cinque volte il prezzo di acquisto. Che, tuttavia, non doveva essere stato spaventoso per il futuro monarca che, solo sei anni dopo lo “shopping” veneziano, pagò sessantamila talleri la tenuta in cui far costruire la chiesa di Sacrow. Le oltre cento parti in cui era stata divisa la superficie tassellata dell’abside furono caricate sul cargo inglese “Wave” che via mare raggiunse Cuxhaven dove avvenne il trasbordo sulla nave fluviale tedesca “Christian” che raggiunse prima Berlino e infine Postdam nel novembre del 1839. Gli ultimi metri, dal molo sull’Havel al magazzino in cui venne depositata, la deesis li fece su carri o carrozze a cavalli. Ci vollero altri sei anni prima che il mosaico trovasse la propria attuale collocazione. L’installazione della decorazione parietale costò a Federico Guglielmo, ormai divenuto re, altri 1206 talleri. Solo nel 1848, con l’inaugurazione della chiesa, il mosaico poté essere nuovamente pubblicamente contemplato.
Nel frattempo ben poco era rimasto del convento muranese, che pure era stato risparmiato dai decreti di soppressione napoleonici perché sede del seminario. Il suo destino era stato segnato dal trasferimento dell’istituzione religiosa nella sede attuale, accanto alla chiesa della Salute, deciso dopo lo spostamento del patriarcato da San Pietro di Castello a San Marco.
Il complesso, abbandonato, chiuso e svuotato, finì probabilmente per diventare una “cava” per materiale da costruzione.
Un piccolo viaggio nel tempo per visitare la chiesa di San Cipriano ce lo consente la Guida per la città di Venezia all’amico delle belle arti di Giannantonio Moschini stampata a Venezia (ma nella tipografia di Alvisopoli) nel 1815. Sorgeva la chiesa, in base alla descrizione del Moschini – che ben la conosceva avendo insegnato nel seminario e che si adoperò per far confluire nella nuova sede quante più opere possibile – vicino a Palazzo Da Mula, “seguono dappio la chiesa e il seminario patriarcale di S.Cipriano”…
Per vedere il complesso, che sorgeva dove successivamente sono stati costruii grandi edifici manifatturieri, ci si può affidare alla mappa del de Barbari.
Di San Cipriano racconta sempre una voce di Wikipedia, che fornisce anche una buona bibliografia e alcune vedute. Senza dimenticare la Venezia scomparsa di Alvise Zorzi e un blog.
La presenza del mosaico muranese a Postdam non è una “scoperta” recente. Nel 1984 tenne sul tema una conferenza, a Venezia, a palazzo Barbarigo della Terrazza, sede del Centro Tedesco di Studi Veneziani, il prof. Horst Hallensleben dell’Università di Bonn. Del mosaico trattò (nel 1994 e nel 1995) Renato Polacco, che fu docente di storia dell’arte medioevale a Ca’ Foscari. All’abside proveniente da San Cipriano si è interessato anche uno studioso tedesco – Heiner Krellig – che vive a Venezia. Ne ha scritto, in tempi più recenti, Michela Agazzi in un saggio ancora in corso di pubblicazione, come spiega il sito dell’ateneo veneziano. Sempre Agazzi (docente di storia dell’arte medioevale) nel 2020 ha prodotto un lavoro intitolato Il Mercato antiquariale nella Venezia di Ruskin – L’arte medioevale in Germania. Un saggio, quest‘ultimo, di grande interesse che, con nomi e cognomi, racconta anche dei mercanti, dei restauratori intraprendenti e dei mediatori che vendevano pezzi di Venezia e non solo.
Federico Guglielmo, tramite intermediari, acquistò un mosaico absidale – ora al Bode Museum al centro di Berlino – staccato dalla chiesa di San Michele in Africisco (Ravenna). Al Bode – ma anche alla Friedenskirche sono finiti numerosi altri pezzi scultorei, sempre comperati da Federico Guglielmo. Ma a Venezia e nei dintorni fece acquisti anche uno dei fratelli del re, Carlo, principe di Prussia, il quale trasformò la sua residenza nel parco Klein-Glienicke – a sud di Berlino, ai confini con Postdam – in un vero e proprio museo (Livia Cárdenas, Imagination Mittelalter, Wallstein). Collezioni, queste ultime di Carlo, che in parte hanno poi preso altre strade finendo oggi al museo di Dumbarton Oaks, la villa di Georgetown, nei dintorni di Washington, che dette il nome anche a una importante composizione di Igor Stravinkij.
Lavori in corso per il restauro del campanile (da WikiCommons)
Oggi la chiesa della pace di Postdam è rimasta luogo di culto: esattamente come ai tempi di Federico Guglielmo. Se ne prende cura la comunità evangelica locale che la mantiene aperta anche per le visite turistiche e i concerti. Le offerte ricevute servono a finanziare i continui lavori di restauro. Nel 2018 sono stati ultimati interventi conservativi sul mosaico (risultato diviso per il trasporto in 111 sezioni e realizzato con smalti, tessere di vetro colorato e dorate e pietre naturali) resi possibili con il sostegno della Fondazione tedesca per la protezione dei monumenti e della Bauverein der Friedenskirche che da trent’anni si prodiga per la manutenzione del complesso. Attualmente sono in corso lavori sul campanile di 42 metri. In programma c’è anche il restauro del pregevole pavimento a tasselli marmorei dell’abside, del quale non sono riuscita a rintracciare la provenienza.
Federico Guglielmo veglia, in qualche modo, su tutto, dalla sua tomba, posta a fianco di quella della moglie, nella cripta sotto l’altare. Fuori, poco distante dalla chiesa, sul lato nord del complesso, c’è il mausoleo del Kaiser Friedrich( 1831-1888) costruito tra il 1880 e il 1890 la cui cupola venne commissionata alla ditta veneziana Antonio Salviati. La cappella ospita, oltre a quella dell’imperatore dei 99 giorni, la tomba della moglie Vittoria – figlia della regina Vittoria di Gran Bretagna e Irlanda – e altri sepolcri di loro familiari.
Ai piedi dell’altare è stato collocato nel 1991 – dopo la riunificazione della Germania – anche il sarcofago con i resti di Federico Guglielmo I, il Re Soldato. Stavano in origine in una monumentale tomba nella Garnisonkirche di Postam, considerata tra le più importanti costruzioni barocche nel nord della Germania. Luogo di culto e simbolo politico, anche dopo la fine dell’impero tedesco e l’ascesa potere di Hitler. Nel 1943 la bara del Re Soldato e quella di suo figlio Federico il Grande vennero portate in un bunker della Luftwaffe nella non lontana località di Eiche. Da lì furono spostate in una miniera e poi a Marburg. Era solo l’inizio di un viaggio con tanti trasferimenti che sono, tutti insieme, la filigrana della storia tedesca del secondo Novecento.
La Garnisonkirche e il campanile vennero pesantemente danneggiati dagli incendi che divamparono dopo i bombardamenti dell’aprile 1945. Le rovine delle strutture rimaste in piedi furono rimosse a metà degli anni Sessanta per decisione del governo della DDR.
Oggi solo la torre campanaria è stata ricostruita – dov’era e quasi com’era – e il 22 agosto scorso, pur tra polemiche e proteste, riaperta al pubblico.
Le spoglie di Federico II non hanno seguito quelle del padre. Sempre nel 1991, finalmente, le volontà testamentarie di Alte Fritz, come affettuosamente veniva e viene chiamato, sono state rispettate. Aveva disposto, Federico il Grande, di essere inumato davanti a Sanssouci, luogo che tanto aveva amato, sotto una semplice lapide. Per volere del nipote Federico Guglielmo II, che gli successe al trono, il suo corpo era stato posto, invece, nel monumento all’ interno della Garnisonkirche.
Ora, sulla lastra tombale davanti ai suo palazzo “senza pensieri” ci sono sempre dei fiori freschi e sempre delle patate. Patate, sì, in ricordo dei decreti con i quali impose la coltivazione e il consumo di questo tubero del Nuovo Mondo, guardato fino ad allora con profonda diffidenza. Grazie a Federico II, la patata è entrata nelle pentole tedesche, e non solo, e ha salvato la Germania dalle carestie.
Potsdam, sede della conferenza del 1945 durante la quale Stati Uniti, Unione Sovietica e Regno Unito discussero dell’immediato dopoguerra, è un luogo che, per decenni, è stato per me sinonimo – un po’ come Yalta- di volontà di definire gli assetti del mondo. Adesso questo nome mi rimanda a tanti altri capitoli della storia tedesca ed europea. Ma anche a pagine che raccontano Venezia, le sue trasformazioni, il suo essere stata ed essere, ancora, sbranata. Ma Potsdam è oggi, per me, anche il mosaico di San Cipriano di Murano e la comunità che, amorevolmente, se ne prende cura.
L’articolo Un pezzo di Murano alle porte di Berlino proviene da ytali..