La Mostra numero 81 è appena iniziata ma sembra ben indirizzata verso una direzione precisa, il racconto del femminile. Barbera tende sempre a raggruppare i film per tema, quando fa il programma, quindi potrebbe rivelarsi un trend destinato ad esaurirsi nei prossimi giorni, ma da questi primi film è emerso come l’esplorazione della donna sia un argomento più che mai attuale.
Registe e registi mettono al centro delle loro storie dei grandi personaggi femminili, chi inventati, come in Disclamer, chi reali come in Maria. Ad interpretare questi ruoli, le più grandi attrici del nostro tempo, da Cate Blanchet a Angelina Jolie, passando per Jenna Ortega, Winona Ryder e Nicole Kidman.
Ogni film si focalizza e esplora un elemento diverso dell’universo femminile. Chi il sesso, chi il rimorso, chi la maternità, chi il desiderio di essere adorata.
Cominciamo con Tim Burton che affida il suo Beetlejuice Beetlejuice a una tripletta di attrici che interpretano tre generazioni di donne, di una famiglia extra ordinaria. Lydia è passata da essere figlia ad essere madre; Delia, da nonna, è più libera ma si sente in dovere di dare consigli; Astrid è solo una ragazzina che deve fare i conti con un modo dove i fantasmi sono reali, ma lo è anche il dolore della perdita. Considerando che il film porta il nome del personaggio maschile più identificativo, è interessante notare come le vere protagoniste siano invece le Deetz.
Dal fantasy passiamo al documentario. Apocalypse at the tropics, indaga il rapporto tra potere e chiesa. In un paese come il Brasile, dove la fede evangelica o cattolica è talmente radicata nella vita delle persone, che può addirittura determinare la vittoria politica di uno o l’altro candidato. Un documentario tagliente, emozionante e quanto possibile oggettivo, virtù rara nel film che voglio raccontare politica. Da notare come, usualmente al cinema il racconto politico non venga quasi mai portato in scena da registe e produttrice donne. Qui Petra Costa (la regista) si presenta accompagnata dalla produttrice Alessandra Orofino (visibilmente incinta) e ribadisce l’orgoglio di essere brasiliana e di rappresentare il suo paese, che lei stessa racconta in modo critico nel film, al festival.
Pablo Larraín chiude la sua ideale trilogia di film biografici su grandi icone del 900. Dopo Jackie Kennedy e Diana Spencer, è il turno di Maria Callas. Questa volta a dare il volto alla Primadonna c’è la più grande diva del nostro tempo Angelina Jolie. Un ritratto patinato e zuccheroso come tutti quelli del regista cileno, che però riesce in qualche modo a restituirci l’animo di una personalità così grande e tormentata, raccontandone gli ultimi giorni di vita. Larraín mette in scena una Callas scorbutica, drogata di farmaci ma anche di adorazione. Tenta di recuperare una voce che non tornerà più, mentre la sua fiamma si affievolisce sempre più. Tra ricordi dolorosi e felici Maria è il ritratto della Diva per eccellenza, che nonostante la ricchezza e la fama, convive con un animo profondamente malato e inquieto. Ha perso lo strumento che l’ha resa la persona che è, portandola a rintanarsi in casa. Ma il desiderio di essere adorata non si è affievolito. Tutti aspetti che, forse, potremmo ritrovare nella vita della stessa Jolie, creando una sorta di meta ritratto di due icone vissute in periodi così diversi.
Protagonista femminile lo è anche la Catherine di Disclaimer, prima serie televisiva firmata dl regista premio Oscar Alfonso Cuarón. Riflessione su come ogni cosa che accade appare diversa a seconda di chi la guarda e quindi di come, di ogni evento, esistono sempre delle versioni discordanti. Una madre ricostruisce, a partire da alcune foto e la testimonianza dei testimoni, la morte del figlio, raccontata poi in un romanzo. Le immagini di una notte d’amore portano Nancy e i marito, Stephen, a ritenere proprio la ragazza ritratta, la principale responsabile per la morte del giovane annegato. Dopo la morte di Nancy, Stephen è pronto a reclamare la sua vendetta. La donna nelle foto è Catherine, oggi donna matura, che ha incontrato il ragazzo durante una vacanza con il figlioletto, vent’anni prima. Per la quasi interezza della serie sentiamo solo una versione dell’accaduto, la ricostruzione di Nancy, inventata, immaginata. Solo nel finale ascoltiamo, finalmente, Catherine, l’unica che ha davvero vissuto quei momenti. Ancora una volta Cuarón ci racconta l’uomo, in questo caso dando particolare spazio a come la società giudichi costantemente il comportamento femminile. La protagonista è moglie amorevole, madre terribile, sgualdrina, pazza scatenata, vittima degna di pietà. Ad ogni tassello che si aggiunge il giudizio cambia, ma pur sempre di un giudizio si tratta, nato dal bisogno di costante valutazione del comportamento femminile.
Prettamente incentrato sul sesso è, invece, Babygirl di Halina Reijn. Racconto, alquanto superficiale, delle pulsioni sessuali, definite scandalose ma che così scandalose non sembrano, di una donna di mezza età. Romy, interpretata da Nicole Kidman, non riesce a trovare piacere dal marito e dunque cade tra le grinfie di un giovane staggista. Il film non è decisamente un’opera memorabile, ma ha il pregio di mettere in scena (male) i bisogni sessuali di una donna in carriera che fa i conti con l’età e il mantenimento della reputazione. Tema che alla Kidman sembra stare molto a cuore, specialmente negli ultimi anni, in cui interpreta spesso personaggi femminili forti e fiere della loro vita intima.
A modo suo anche El Jockey di Luis Ortega parla di donne, anzi di un uomo che per riconquistare fidanzata, deve, a detta di lei, morire e rinascere. La prende in parola e diventa il fantasma femminile di lui stesso, Lola, che se ne andrà solo alla nascita della figlia, che porta il suo nome.
Concludiamo con Trois Amies di Emmanuel Mouret. Tre amiche e le loro vite sentimentali. Un affresco riuscito sulle difficoltà della vita di coppia, che però vengono vissute in modo diverso da persona a persona. Tutto visto dal punto di vista delle tre donne, che si trovano a dover rinunciare al sogno del matrimonio perfetto, capendo che, invece ogni relazione è fatta di compromessi, senza però dimenticarsi di se stessi. Purtroppo non è facile conciliare le due cose, poiché molto spesso l’egocentrismo prende il sopravvento, ma con il tempo e la volontà si può arrivare ad una soluzione.
La Mostra, per ora, è decisamente donna. Barbera ha sempre dichiarato di aver a cuore la parità di genere nel cinema e di lavorare per avere sempre più registe donne in concorso, attraverso un approccio meritocratico. Già altre volte ci siamo trovati davanti ad edizioni in cui la quantità di film con protagoniste femminili superavano di gran lunga quelli maschili (ricordiamo il 2020, in cui la giuria si trovò in difficoltà anche solo a trovare un candidato per la Coppa Volpi maschile). Quest’anno, però, la varietà degli approcci e delle sfumature raggiunte, sembrano essere inedite, costruendo, come un mosaico, il perfetto ritratto del femminile.
L’articolo La Mostra è donna proviene da ytali..