English Version / Ytali Global
Quest’intervista fa parte di una serie di sette interviste sul Fuori! (inclusa questa, e poi quelle con Angelo Pezzana, fondatore del Fuori!, Maurizio Gelatti, Vice Presidente dell’Associazione Angelo Pezzana-Fuori!, Maurizio Cagliuso, archivista e bibliotecario della Fondazione Angelo Pezzana-Fuori!, e gli attivisti del Fuori!, Enzo Cucco, Anna Cuculo e Vera Fraboni), realizzate durante l’estate 2024 grazie a uno Scholarship Catalyst Program grant della Texas Tech University e sono da considerarsi dedicate a Angelo Pezzana.
Riccardo Rosso è architetto e designer, ed è stato attivista del Fuori!nei primi anni ‘70.
Grazie, Riccardo, di questa intervista. Nei primi anni ‘70 hai partecipato al Fuori!. Quali sono stati i momenti più importanti che vuoi ricordare?
Ero assistente volontario alla Facoltà di Architettura, mi sono laureato nel 1965-1966 e poi ho fatto l’assistente volontario. In questo periodo ero molto interessato come architetto a un’idea diversa di vivere la città e quindi ho fatto alcune esperienze, come un’importante mostra al MoMA di New York. Questo mi ha spinto a indagare la realtà americana che in quel momento era quella più vivace. Frequentavo la libreria di Angelo Pezzana perché aveva molti testi americani e per me era molto importante vedere che si stava muovendo qualcosa soprattutto negli Stati Uniti.
L’importanza è stata di rendermi conto che Angelo Pezzana e un gruppo di persone, di suoi amici, stavano riflettendo su questa situazione e quindi sono stato cooptato fin dall’inizio soprattutto da Angelo Pezzana e Carlo Sismondi, che stimavo moltissimo in quanto avevano una notevole preparazione.
L’evento più importante, oltre a quello del trovarsi e quindi confrontare le opinioni in modo libero e aperto, è stata l’uscita alla manifestazione contro il Congresso Internazionale di Sessuologia, organizzato dal Centro Italiano di Sessuologia il 5 aprile 1972. Quindi, abbiamo avuto la possibilità di parlare apertamente di queste cose e renderci conto che c’era una situazione internazionale in movimento e manifestare a Sanremo.
Ovviamente, tutto questo si riflette sulla ideazione di un giornale, di una documentazione di quanto stava avvenendo e anche i contatti con altre realtà, soprattutto Roma e Milano. Queste sono le cose fondamentali.
Per quanto riguarda Sanremo, mi aveva colpito molto la figura di Mario Mieli, che si era presentato, come abbigliamento e atteggiamento, in un modo provocatorio. Mario Mieli esibiva questo aspetto con un’intelligenza e una determinazione politica incredibili, quindi mi ha molto affascinato, mi ha colpito moltissimo. Invece, quasi tutto il gruppo aveva un atteggiamento verso il gender piuttosto perbenista, cioè i maschi si presentavano come tali, non c’era mai un accenno ed erano molto lontani da quanto avveniva intorno, per esempio con Paolo Poli, che invece osava molte cose su questo. Mario Mieli puntava moltissimo su questo aspetto, così anche il fare era più orientato e aveva più apertura. Personalmente, non mi identificavo molto con il transgender, non era nella mia natura, però mi interessava teoricamente. Il gruppo Fuori!, prima ancora del movimento, che si riuniva, era più o meno tutto composto da amici o amiche di Angelo e miei che si trovavano, con un taglio intellettuale borghese. La cosa che mi ha molto dato carica è stato il fatto che fino allora, pur non nascondendo nulla di me, avevo molte frequentazioni. Avevo anche avuto dei rapporti sentimentali con persone che però tendevano sempre a dire, “Peccato che siamo omosessuali”, cioè vivevano l’omosessualità come una condanna e non come una cosa bella, come io, spontaneamente, ho sempre pensato. Quindi, mi ha sempre dato fastidio questo nascondersi in gruppi e anche intellettualmente. Qui a Torino c’erano molte persone anche nel mondo culturale, tipo Enrico Colombotto Rosso, che esibivano questa loro omosessualità, ma in fondo non la vivevano come una vita normale, ma come come un’esibizione. Con il gruppo del Fuori! era completamente diverso: eravamo assolutamente noi, senza nessuna esibizione, con un taglio politico, cioè un tentativo di vivere in modo del tutto “normale” (tra virgolette) questa situazione sessuale che coinvolgeva tutta la vita.
Cosa è successo alla manifestazione di Sanremo?
La cosa curiosa è che ci sono varie versioni. Sono andato a Sanremo, intanto, perché mia mamma si era trasferita da pochissimo, in quei pochi mesi, a vivere lì e quindi ero andata a trovarla con l’intenzione di partecipare a questa manifestazione. Sono arrivate varie persone ma in modo molto informale, cioè non è stata un’organizzazione così precisa. Si era passata la voce e sono arrivati quelli che più o meno che frequentavano il Fuori!
Angelo aveva però contattato gruppi stranieri come il FHAR (Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire) che era il movemento francese. Angelo Pezzana e Françoise d’Eaubonne che sono entrati, iscrivendosi al convegno degli psichiatri e hanno fatto una contestazione all’interno. Fuori c’erano varie persone con dei cartelli preparati prima, al momento, quindi la cosa che mi ha colpito molto è il fatto di uscire e vedere che i passanti erano interessati, anche i giornalisti. Quindi, siamo rimasti fuori dall’edificio, nel giardino, conoscendoci, chiacchierando con tutti.
In quello Mario Mieli era eccezionale perché riusciva a coinvolgere tutti i passanti e quindi la cosa bellissima era proprio l’atmosfera di apertura, del mostrarsi e infatti le persone ogni tanto commentavano con frasi del tipo, “Ma voi siete omosessuali ma non ne avete l’aspetto”. Ecco, questo può essere negativo o positivo però ci parlavano come persone cosidette “normali”. Siamo riusciti a imporre un’idea diversa da quella che in quel momento circolava, ovvero il pregiudizio che gli omosessuali fossero travestiti e prostituti o altri stereotipi negativi del genere. Ci siamo presentati come persone che avevano una vita assolutamente professionale, nella norma.
La manifestazione dimostrativa di Sanremo del 5 aprile 1972 attaccava i concetti che venivano esplicati all’interno di questo convegno di psichiatria, ovvero l’infelice idea del curare l’omosessualità.
Questo era il punto di partenza. La manifestazione ha contestato la psichiatria corrente e il risultato è stato di mostrarsi pubblicamente senza vergogne.
Come hai contribuito al Fuori!?
Venivo da un’esperienza di architettura radicale. In quel momento si chiamava così. Puntava non tanto sul design italiano e l’idea in sé era legata a Lotta Continua, a Potere Operaio, a questi gruppi, all’idea di vivere la città in un modo diverso.
A Torino c’era l’Arte Povera: io conoscevo molti artisti come Michelangelo Pistoletto e altri. Quindi, li frequentavo e avevo anche un taglio sulla grafica editoriale che era molto diversa da quello che in quel momento andava di moda nella stampa alternativa e omosessuale.
Il mio contributo è stato la grafica dei primi numeri del Fuori! in collaborazione con Angelo Pezzana. La mia idea, anche se criticata, era quella di fare un giornale che fosse serio, all’altezza di The New York Review Books, che portasse delle idee molto precise e chiare senza travestimenti. In quel momento circolava, e in quello si infilavano degli elementi omossessuali, una rivista come Re Nudo, nella quale c’era una grafica psichedelica in cui si confondeva tutto, cioè nulla era chiaro o chiarito, forse era anche voluto, ma non c’era questa idea di fare un discorso politico ben preciso sull’atteggiamento da tenere.
Il mio contributo è stato quello di voler fare un giornale che, dal punto di vista della grafica, fosse chiaro, preciso e serio. Poi ci sono stati anche gli interventi di Nanda Pivano e anche di Ettore Sotsass.
Diciamo che ho tentato, con il mio piccolo contributo – oltre che a partecipare alle manifestazioni – di fare un discorso (in questo con Angelo Pezzana e Carlo Sismondi, che erano molto chiari) provocatorio ma non vago, presentare delle idee molto precise, con un atteggiamento che parlasse anche al mondo politico e culturale, quindi senza sbavature.
Qual è stata la tua esperienza di architetto riguardante gli Stati Uniti?
Ancora studente ho cominciato a lavorare a Torino nello studio di Piero De Rossi e Giorgio Ceretti, che lavoravano entrambi all’università. I progetti più interessanti sono stati in Italia, ad esempio un locale che si chiamava Piper, come quello di Roma, che architettonicamente era molto interessante. Era nato come discoteca ma si è evoluto grazie al consiglio di Edoardo Fadini, un critico teatrale in contatto con l’ambiente teatrale internazionale. Questo locale ha ospitato gli spettacoli sia del Living Theater sia dell’Open Theater, poi anche molte personalità, come Carmelo Bene, oltre alle performance di artisti come Michelangelo Pistoletto, Marisa Merz, Piero Gilardi, e altri, che hanno fatto delle mostre e rappresentazioni all’interno di questo locale.
novembre 1969-luglio 1970
La cosa è stata poi notata dall’architetto argentino Emilio Ambasz del MoMA, che ha organizzato la mostra Italy: The new domestic landscape nel 1972, invitando i principali architetti italiani del momento: Ettore Sottsass, Gae Aulenti, Mario Bellini e poi i gruppi che allora si chiamavano radicali come Archizoom e altri gruppi fiorentini.
Noi, essendo molto legati alla politica e ai movimenti politici tipo Lotta Continua e Potere Operaio, abbiamo deciso di non presentare il bel design italiano e abbiamo fatto una operazione che per me è stata veramente di un’enorme importanza culturale. Abbiamo prodotto tre fotoromanzi sulla città.
L’idea del fotoromanzo veniva affrontata come un genere popolare italiano stravolto in quanto trattava del problema politico della città, del governo della città. Questi fotoromanzi erano costruiti con fotografie fatte con degli attori e l’inserimento di documenti. Al MoMA abbiamo presentato tre carrelli con questi fotoromanzi che venivano distribuiti gratuitamente e questo ha avuto un impatto molto forte.
Parallelamente, abbiamo presentato anche alcuni mobili che sono poi diventati delle icone tipo il Pratone, che è un grande sedile fatto di steli di erba altissimi in cui ci si poteva sdraiare.
(curatore: Emilio Ambasz), MoMA, New York, 1972
Nel catalogo di questa mostra, Italy: The New Domestic Landscape, il Pratone è messo in copertina, e ci sono altri mobili che avevamo iniziato a fare per la Gufram.
Invece, alla XIV Triennale di Milano nel 1968, nell’anno della contestazione, eravamo stati invitati a fare una grande sala di in cui potevano essere svolte delle attività pubbliche, progettate, e lì avevamo fatto uno stranissimo luogo in cui le persone potevano fare discorsi, registrare, fare un po’ tutto.
La Triennale faceva periodicamente delle mostre che riguardavano la città oppure il design. In questa mostra generale, la parte affidata a noi riguardava l’incontro pubblico: avevamo progettato delle cose molto strane tipo degli enormi prati inclinati in cui si poteva stare o ascoltare, e posti nei quali si poteva prendere la parola. L’idea era quella di pensare non all’arredo della casa ma a un arredo pubblico che permettesse una grande libertà di intervento.
Queste sono state le esperienze più importanti per me perché contenevano un’apertura politica e formale, con un atteggiamento abbastanza individuabile.
Copertina: Riccardo Rosso (a destra dello striscione), con Enzo Francone (a sinistra dello striscione), alla manifestazione contro il Concordato, Torino, 1973
Crediti fotografici © Per gentile concessione dell’Archivio della Fondazione Angelo Pezzana-Fuori! e di Riccardo Rosso
L’articolo Un’intervista con Riccardo Rosso proviene da ytali..