La Mostra del cinema galleggia sopra un’onda rossa e alcolica, che sale dalle rive della Laguna, all’approdo dei battelli, fino a salire lungo il Gran Viale e a insinuarsi lungo il mare, fino al Piazzale del Casinò e al Palazzo del Cinema: bicchieri tintinnanti colmi di spritz costituiscono la materia liquida di questa marea, che colora di cremisi i marciapiedi, i tavolini dei bar, dei chioschi, dei padiglioni nei giardini, sulle terrazze e nei locali sulla spiaggia che di notte si animano di vivace atmosfera. E finalmente: a ogni ora della mattina, aperitivo, merenda, di nuovo aperitivo, bevanda, lo spritz nelle sue varianti oramai conosciute in tutto l’universo mondo mette il suo sigillo su incontri di lavoro o di piacere, rinfrescando la caldissima inusuale temperatura che permea l’isola del Lido assieme a una Venezia versione tropicale.
I bar già dalle prime ore dell’alba aprono le serrande ai fornitori di vino frizzante, acqua di selz, Aperol, Select, Campari, Cynar, e rimpinguano i frigoriferi di cubetti di ghiaccio, affettano limoni o arance, impilano i bicchieri in file ordinate pronti a essere riempiti con mani veloci, trasportate su vassoi da equilibristi camerieri con patatine e salatini al seguito. Calici e bicchieri di spritz colorano con allegria la discesa dei popolo del cinema che affolla le sale della rassegna veneziana. Dilaga la voglia di questa antica bevanda di moda da qualche anno in tutto il mondo, come già il Bellini, apertivo di tendenza mondiale, e altrettanto veneziano, invenzione di Arrigo Cirpiani dell’Harris Bar.
Nei bar di tutto il mondo – la bevanda color arancione brillante è diventata sinonimo di calura e di svago. Ma come ha fatto un liquore amaro nato cent’anni fa a diventare un fenomeno del genere? È tutta una questione di marketing geniale…
Così Dale Berning Sawa sul Guardian in un articolo dal titolo È sinonimo di felicità. Come lo spritz ha conquistato l’estate. Uno dei numerosi pezzi che esaltano il long drink veneziano.
L’euforia mediatica, intorno allo spritz, è esplosa di recente. Qualche anno fa ebbe una stroncatura senz’appello sul numero uno dei quotidiani del mondo. The Aperol Spritz Is Not a Good Drink, titolava il New York Times un pezzo di Rebekah Peppler (9 maggio 2019).
Lo spritz ha qualità che posso capire. È effervescente, bello ghiacciato e ha una tonalità di arancione che può rivaleggiare con un tramonto da cartolina.
But… “Ma c’è un problema: l’Aperol spritz non è buono”. Rebekah critica anche il tipo di bicchiere in cui è generalmente servito, stigmatizza l’uso, spesso, di un prosecco di bassa qualità e poi la presenza della soda. E quella fetta di arancia?
Alla fine è come un Capri Sun (un succo conosciutissimo negli Usa) dopo un allenamento di calcio in una giornata bollente. E non è una buona cosa.
Tifosa della Francia – è autrice di Apéritif. Cocktail Hour the French Way – chissà che direbbe oggi vedendo pure il presidente francese, Emmanuel Macron, brindare con una coppa arancione…
Si sa, l’origine della bevanda è quanto mai veneziana, acqua e vino fresco da secoli erano serviti in quella che fu la Serenissima, dalle più umili osterie ai raffinati caffè. Si sa che furono gli austriaci occupanti a inizio Ottocento ad allungare il vino aspro della Laguna con una spruzzata di acqua e spritz deriva da questo allungare il vino, secondo un’usanza diffusa in molti Paesi dell’Est Europa.
I fratelli Barbieri a Padova nel 1919 inventarono la miscela di erbe aromatiche base dell’Aperol, a Venezia tra Castello e Cannaregio, sotto gli auspici di D’Annunzio, fu commercializzato il Select, che per i puristi è “la base” del drink. Campari arrivò a mescolarsi con acqua e vino dal Piemonte, il Cynar – un’altra variante – nacque a Venezia nel 1948 per intuizione dei fratelli Dalle Molle che lo distillarono a Padova: straordinario successo e abbordabile miscela dissetante che solo in questi ultimi anni ha preso forma e sostanza nei grandi calici ribollenti di ghiaccio, mentre fino a quando noi ragazzi degli anni Sessanta accompagnavamo i genitori a bere l’aperitivo i bicchieri erano piccoli e compatti, di vetro grosso a base esagonale.
Io dal basso della mia infanzia vedevo solo il fondo del bicchiere soprattutto al bar delle mitiche motonavi oggi soppresse: il bar, la sera, al ritorno dalle belle spese in Mercerie, era pieno di mamme e papà, saluti e chiacchiere, spritz e olivette.
Oggi le centinaia di aperitivi consumati ogni giorno e a qualunque ora hanno le stesse gradazioni di colore, quel cremisi nobile, rosso bizantino utilizzato per i mantelli degli Imperatori. Un filo della storia che anche attraverso il colore ricorda memorie antiche: lo spritz piace perché è rosso, più o meno leggero (dipende), e con questo caldo inusuale va giù che è una meraviglia. Il popolo della Mostra lo esige, lo beve da seduto o in piedi o passeggiando, rigira il ghiaccio e sgranocchia patatine: dall’alto di un tacco 12 o delle infradito, delle sneakers o degli anfibi, tra vestiti di lamé o bermuda sfrangiate, smoking o camicie di pizzo, sembra che la parola d’ordine sia “spritz”. Se un drone volasse sull’isola fotografandola nella sua lunghezza e breve larghezza, piccole macchie di colore rosso tenace e compatto lascerebbero il loro segno sulle immagini di un’umanità accaldata, assetata di cinema e non solo di cinema. Il popolo della Mostra del Cinema è lì, scanzonato allegro sussiegoso curioso impegnato intellettuale sofferente o gioiosamente acclamante di fronte al passaggio degli attori, che si fanno fotografare su un tappeto rosso spritz.
L’articolo SPRITZ!!! proviene da ytali..