C’è stato un tempo in cui la Juve era la Juve. Zoff-Gentile-Cabrini… una preghiera laica, un grido silenzioso, la quintessenza di un potere sobrio e misurato ma non per questo meno assoluto. Un predominio, potremmo dire, una forza che nasceva dall’organizzazione, dalla classe, dalla tecnica, dalla solidità economica della società, dalla grandezza morale del presidente Boniperti, la bandiera delle bandiere, ma più che mai dall’educazione. Alla Juve, infatti, in quegli anni ti insegnavano innanzitutto a stare a tavola. Il rigore era asburgico: non era ammesso alcun eccesso. E Gaetano Scirea da Cernusco sul Naviglio, proveniente da una famiglia operaia e scomparso in circostanze tragiche trentacinque anni fa, di quella mentalità ne era l’emblema. Basti pensare che una volta, dopo aver conquistato il primo scudetto della sua carriera, era andato a festeggiare in discoteca con i compagni. Ebbene, quando uscì all’alba e vide gli operai che stavano varcando i cancelli della fabbrica, ripensò ai sacrifici compiuti dai suoi genitori per farlo arrivare dov’era arrivato e provò un senso di vergogna. Da quel momento, non è più andato in discoteca.
Questo era Scirea: un galantuomo d’altri tempi, un campione la cui massima gioia era ritrovarsi a cena con Zoff, un altro gigante che, tuttavia, non ha mai brillato per loquacità, in compagnia delle rispettive signore. Insieme a Baresi e Beckenbauer, è stato il più grande libero della storia del calcio. Mai espulso, mai ammonito, mai una parola fuori posto, mai un comportamento sopra le righe, sempre a testa alta, capitano coraggioso di una delle Juve più belle che si ricordino, protagonista di innumerevoli avventure in Nazionale, tra cui la notte di Madrid in cui Dino alzò al cielo la Coppa del Mondo, ma soprattutto meravigliosamente anacronistico rispetto a un Paese che in quel periodo, i ruggenti anni Ottanta dell’edonismo reaganiano (un tragico esempio cui si ispirò una parte dei papaveri nostrani), decise di lasciarsi alle spalle il tutto della politica del decennio precedente per abbracciare il consumismo sfrenato, definendo un nuovo codice esistenziale, un nuovo modo di vivere, una nuova gerarchia dei valori. Prima di tutto il denaro, con l’elevazione dell’esagerazione a virtù e dell’avidità a principio guida, come teorizzava Gordon Gekko, il personaggio interpretato da Michael Douglas in “Wall Street”; poi l’individualismo; infine, di conseguenza, il riflusso. Basta, ribadiamo, con la politica, con la passione civile, con l’impegno, basta con l’austerità berlingueriana, basta con i corpi intermedi, basta con l’intangibilità delle istituzioni e della Carta costituzionale, basta con il senso del limite; insomma, basta con tutti i paletti morali che ci eravamo posti fino a quel momento, eredi della tradizione resistenziale, e avanti con la “Milano da bere”, i congressi di partito trasformati in mega-show e la personalizzazione della cosa pubblica, preludio di una stagione ancor più deprimente che avrebbe avuto luogo di lì a breve. Scirea era l’opposto di tutto questo: in campo e, più che mai, fuori.
Non a caso, pur essendo un fuoriclasse, non era certo lui a rubare la scena in quella fase, come non la rubava Zoff, che non ha mai perdonato il mondo del calcio per il tradimento che gli ha inferto. Venne accantonata, difatti, non una persona ma una certa idea del mondo, in nome dei lustrini e delle paillettes che avrebbero portato assai poco giovamento sia alla Juve che al calcio italiano nel suo insieme.
Come detto, son trascorsi trentacinque anni da quella maledetta domenica in cui è morto Scirea (aveva appena 36 anni). Un incidente stradale, il vuoto, l’assenza. Gaetano ci manca per molti motivi, a cominciare dal fatto che incarnava tutto ciò che, dopo la sua scomparsa, non siamo stati più.
Immagine di copertina: Roma, stadio Olimpico, 16 marzo 1975. Il difensore bianconero Gaetano Scirea in azione nel corso della sfida tra Roma e Juventus (1-0) valevole per la 22ª giornata del campionato italiano di Serie A 1974-75; sullo sfondo, l’altro juventino Francesco Morini. (WikiCommons)
L’articolo Scirea, l’ultima vera Juve proviene da ytali..