Il 2025, anno in cui Nova Gorica e Gorizia saranno capitali culturali d’Europa, assieme alla tedesca Chemnitz, è ormai alle porte, ed è un’occasione per conoscere due zone decisamente lontane da percorsi turistici o culturali di massa. Ricordo che il titolo spetta alla Slovenia e Gorizia è stata invitata a partecipare da Nova Gorica.
Gorizia entra definitivamente a far parte dello stato italiano nel 1921, ma tutt’ora mi accorgo di quanto il Goriziano sia poco conosciuto nel resto dell’Italia.
Nonostante il mio italianissimo cognome, frutto dell’italianizzazione forzata delle “province redente” (il mio cognome originario è “Alt” , mio nonno, dipendente pubblico nella Gorizia degli anni Venti, ha dovuto cambiarlo, pena la perdita del posto di lavoro; tutt’ora è molto costoso e complicato riavere il proprio cognome) sono appunto originaria del Goriziano e, fin dalla pubblicazione della tesi di laurea (1985), ho sentito il bisogno di occuparmi della storia della mia zona, un modo per ribadire la mia identità.
Gorizia, prima di tutto, è un toponimo slavo, molto comune nel mondo slavofono. Gora significa montagna e gorica ne è il diminutivo, si pronuncia con l’accento sulla i.
Nel corso della storia i confini non erano rigidamente sorvegliati come quelli di oggi, i nazionalismi sono relativamente recenti, quindi chi è originario di questa zona può essere naturalmente “connesso” con i suoi vicini di madrelingua slovena, non li vede estranei, innanzi tutto perché sono vicini, forse anche amici o parenti, con cui ha condiviso la propria storia fino al 1947. I cognomi poi, come nell’Austria di oggi, non hanno necessariamente un legame con la propria identità. Mia nonna paterna (1890-1977), che di cognome faceva Francovig, italianizzato poi in Franco (-ig corrisponde all’attuale grafia slovena standard -ič), ha imparato un po’ di sloveno con la famiglia del cognato, nativo di Domžale, nei pressi di Lubiana, durante la profuganza vicino Fiume (1915-1918).
La contea di Gorizia e Gradisca, dapprima possesso dei conti di Gorizia e del Tirolo, riottosi e potenti “avvocati” del Patriarca di Aquileia che risiedevano a Lienz nel Tirolo Orientale, diventò oggetto di contesa tra Venezia e gli Asburgo a partire dall’estinzione di questa casata (1500) nell’ambito della nuova sistemazione territoriale europea della prima metà del Cinquecento. Vinsero gli Asburgo, eredi naturali dei conti. Agli inizi del Novecento la contea era retta da un Landeshauptmann (capitano della contea, nel nostro caso), denominazione attuale in Austria per designare il governatore di un Land, e si estendeva in buona parte nell’attuale Slovenia, la popolazione quindi era prevalentemente slovenofona. Lingua di prestigio nell’allora Litorale austriaco (Gorizia, Trieste, Istria) era però l’italiano, generalmente si trattava però di un “similveneto”, vista l’enorme e perdurante influenza della cultura marittima veneziana. Il livello di scolarizzazione elementare era molto elevato e veniva offerto nella propria madrelingua. Lingua ufficiale dell’enorme impero (dodici lingue riconosciute; le mie nonne, rimaste austriache nel cuore, mi hanno trasmesso la versione ufficiale italiana dell’inno nazionale [Serbi Dio l’Austria nostra]) e, inevitabilmente, lingua veicolare era il tedesco nella sua versione austriaca, utilizzato nell’istruzione superiore che, per il goriziano, comprendeva anche alcune ore di lingua e letteratura nella propria madrelingua. Il sistema scolastico poi era calibrato secondo le singole esigenze del Land, il sistema di previdenza sociale era simile a quello tedesco.
A Gorizia città la popolazione era prevalentemente di lingua italiana/friulana, il censimento del 1900 segnalava 16.112 individui che dichiarano queste due lingue come la propria madrelingua. I parlanti lo sloveno erano 4.754 e 2.760 quelli di madrelingua tedesca. In quell’anno la città contava 25.432 abitanti e godeva di un buon flusso turistico dalla Mitteleuropa, grazie all’ottimo slogan pubblicitario creato da un illustrissimo pensionato ministeriale austriaco, il barone Karl von Czoernig, che scelse di risiedere a Gorizia e ne fu talmente entusiasta da scrivere un imponente storia e descrizione climatico/geografica della città, dal titolo “Gorizia, la Nizza austriaca”. La città ospitava anche due importanti comunità acattoliche: quella protestante, formatasi nel corso dell’Ottocento, in seguito ad un notevolissimo investimento industriale effettuato dall’intraprendente e fortunata famiglia Ritter di Francoforte sul Meno, e quella ebraica. Quest’ultima risiedeva invece stabilmente a Gorizia fin dal Cinquecento e, sebbene non avesse mai superato di molto i trecento membri, è tutt’ora quella che ha dato il maggior lustro alla città: il glottologo Ascoli e il filosofo Michelstaedter sono nomi noti anche a coloro che non si occupano di storia ebraica. Ma ha annoverato anche illustri rabbini come, ad esempio, Isacco Samuele Reggio (1784-1855), trait d’union tra l’Illuminismo ebraico berlinese e le correnti italiane; docenti universitari, medici molto attivi, un indimenticabile sionista, Berti Eckert (1915-2006), un ecclettico mediatore culturale tra l’Italia e la Mitteleuropa, Enrico Rocca (1895-1944), purtroppo poco conosciuto.
Assestatasi la situazione politica italiana il Fascismo eliminò completamente qualsiasi traccia dell’amministrazione precedente, eccezion fatta per il catasto teresiano, creato appunto dall’imperatrice Maria Teresa, che consente di seguire dettagliatamente la storia di un immobile a partire dalla sua costruzione. Fu proibito in tutti i modi, anche con la violenza estrema, l’uso di lingue diverse dall’italiano, obbligo sconvolgente per l’ex Litorale dove il plurilinguismo a vari livelli era stato sempre ovvio.
Solo nella spaventosa situazione del confine orientale tra il 1943-45 saranno proprio le autorità germaniche a sdoganare il plurilinguismo in base però alle teorie razziali naziste. In caso di vittoria germanica il Litorale sarebbe diventato a tutti gli effetti parte del grande Reich tedesco.
Ma torniamo al primo Dopoguerra che causò un cambio di popolazione abbastanza ovvio: venne innanzi tutto epurata l’intera ex classe dirigente, cui fu vietato il rientro, alcuni si avvalsero poi dell’opzione per i nuovi stati sorti dal crollo della monarchia asburgica, molti altri emigrarono, vista la precaria situazione economica. I nuovi dipendenti pubblici giunsero da tutta Italia, come anche altri che si sostituirono la popolazione emigrata. Le imponenti distruzioni belliche (40 per cento) vennero sanate senza rispetto per l’architettura precedente. L’attuale castello di Gorizia per esempio non ha niente a che vedere con quello che sovrastava la città austriaca. I paesini immediatamente adiacenti invece, totalmente rasi al suolo, vennero ricostruiti per intero in versione completamente diversa da quella storica. Ho visto per la prima volta a Salisburgo nel 2014, nell’ambito di una grande mostra che ricordava i cento anni dallo scoppio della prima guerra mondiale, la foto della piazza principale di “Sankt Peter bei Görz”, divenuto poi San Pietro di Gorizia e oggi Šempeter pri Gorici, prima e dopo i bombardamenti italiani e mi sono chiesta come gli abitanti abbiano fatto a sopportare l’immenso trauma della distruzione totale del paese e, di seguito, il cambio di cittadinanza e infine il violentissimo tentativo del Fascismo di distruggere qualsiasi identità non completamente italiana.
Nel 1947 gli accordi di pace tra le grandi potenze prevedono una Gorizia italiana, privata però della gran parte della sua provincia storica che viene a far parte della nuova Jugoslavia. Questo territorio si ritrova quindi mutilato del suo centro amministrativo, culturale ed economico, attorno al quale aveva sempre ruotato. Viene allora costruita Nova Gorica, su un asse che parte dalla stazione Transalpina, diventata jugoslava, e le poche case ai piedi del monastero della Castagnavizza, anch’esso diventato jugoslavo. Si tratta di un enorme sforzo congiunto di tutte le repubbliche socialiste jugoslave, sulla base di una progettazione urbanistica di un architetto di fama internazionale, Edvard Ravnikar.
Questo tremendo scossone ha portato a un ulteriore cambio di popolazione a Gorizia, qualche goriziano preferisce Nova Gorica, qualcuno preferisce la Gorizia italiana, stara Gorica, molti giovani emigrano oltre oceano, cercando opportunità di vita migliori, molti esuli si stabiliscono in città. Oggi quindi buona parte della popolazione di Gorizia ha radici recentissime in questa città e ciò influisce ovviamente sul rapporto con storia e tradizioni. La città conta attualmente poco più di trentatremila abitanti, pur avendo accorpato i comuni limitrofi rimasti in Italia.
Immagine di copertina: La placca in ricordo del Muro di Gorizia (in sloveno Goriški zid) che separava l’abitato goriziano, rimasto italiano, dai quartieri periferici e dalla stazione ferroviaria della ferrovia Transalpina. Nel 2004, con ‘ingresso della Slovenia nell’Unione europea, ne è stata smantellata la porzione che divideva in due piazza della Transalpina.
Le immagini che illustrano l’articolo sono tratte da WikiCommons
L’articolo Due città, anzi una, da scoprire proviene da ytali..