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Il Teatro San Cassiano di Venezia fu il primo teatro d’opera pubblico al mondo; inaugurato nel 1637, rimase attivo fino alla fine della Serenissima. Venezia è una città che ha molti primati storici, ma questo è importante perché portò con sé molte altre innovazioni: l’idea rivoluzionaria di democratizzare lo spettacolo musicale, fino ad allora riservato all’aristocrazia, rendendolo accessibile al pubblico borghese pagante, ispirò la creazione a Venezia di una nuova forma di impresa, l’industria dello spettacolo, precursore di Hollywood. Nasce quindi a Venezia anche la figura centrale del teatro pubblico, l’impresario, o come si dice oggi, il “producer” (la prima incarnazione del Teatro Tron di San Cassiano fu inaugurato nel 1565 circa). L’impresario è colui che organizza e finanzia, a suo rischio ma con un elevato potenziale di profitto (e di perdita), la stagione teatrale o musicale; è lui che pagava l’affitto ai patrizi padroni del teatro, che vendeva i biglietti e gli abbonamenti, che sceglieva e pagava il librettista, i musicisti, gli artigiani, e i cantanti. Nasce quindi a Venezia anche l’idea delle star dello spettacolo, con i divi e le dive di grandissima popolarità che attraevano il pubblico pagante e garantivano quindi il successo del teatro lirico.
Il successo del Teatro San Cassiano, e del conseguente modello di business dello spettacolo, fu tale che l’opera barocca da Venezia conquistò rapidamente l’Italia e il mondo, conferendo a Venezia il titolo di capitale mondiale dell’opera e luogo di nascita dell’opera moderna.
Un luogo di tale importanza mondiale merita un quarto centenario eccezionale. Con il 2037 che si avvicina, Venezia non può permettersi di lasciar passare i 400 anni dall’inaugurazione del Teatro San Cassiano senza un evento straordinario.
È con questo spirito che il musicologo e imprenditore inglese Paul Atkin, residente a Venezia, ha avviato un progetto ambizioso per ricostruire il Teatro San Cassiano esattamente e rigorosamente com’era nel 1637, in “forma ovata”, con 153 palchi per il pubblico su 5 ordini, completo con i macchinari di scena, le scenografie mobili e gli effetti speciali dell’epoca. Il teatro originale era a Santa Croce, dove attualmente c’è un giardino in Calle del Teatro, all’angolo del Rio de San Cassan e del Rio de la Madoneta, vicino alle Carampane; purtroppo questo sito non è disponibile: il Teatro San Cassiano sarà costruito nel retro di Palazzo Donà Balbi, in Riva de Biasio sul Canal Grande.
L’obiettivo è creare l’unico autentico teatro d’opera seicentesco al mondo, con un programma di esecuzioni storicamente informate, o filologiche, ma anche per stabilirvi un centro mondiale per la ricerca e lo studio dell’opera barocca. Il suo progetto dipenderà dal patrocinio di investitori privati, senza usare fondi pubblici o sovvenzioni. Per Venezia è un’opportunità di creare lavoro per studiosi, artisti e artigiani veneziani, stimolare un turismo culturale intelligente e rispettoso, e creare sinergie con altre istituzioni culturali veneziani come il Conservatorio e le università.
Il 21 dicembre scorso, Paul Atkin ha gentilmente concesso questa intervista Zoom sul suo progetto per il Teatro San Cassiano, che riporto qui di seguito.
Paul Atkin, hai intrapreso un’ambiziosa missione per riportare in vita il primo teatro d’opera pubblico al mondo, il Teatro San Cassiano, inaugurato a Venezia nel 1637 e grande centro dell’opera barocca per quasi 200 anni. Può dirci qualcosa di più su questo teatro?
Il Teatro San Cassiano fu il primo teatro d’opera al mondo. Fu anche uno dei primi teatri pubblici: pensiamo che sia stato costruito intorno al 1565 e poi ricostruito più volte. Crediamo che quello che ricostruiremo sarà il sesto San Cassiano, così come lo Shakespeare’s Globe di Londra è alla sua terza ricostruzione e La Fenice alla quarta. La prima e la seconda versione di San Cassiano erano per la Commedia, e solo dopo la peste del 1631, quando si iniziò a ricostruire il teatro per la terza volta (alcuni sostengono per la quarta), venne chiesto il permesso di inserire un’orchestra per la prima volta nella storia, trasformandolo così nel primo teatro d’opera del mondo, nel 1637. Pensiamo che ci siano state alcune modifiche nel 1690, poi ci fu una ricostruzione completa nel 1763 con un palcoscenico ampliato, e grazie a quella ricostruzione, quando l’architetto si prese la briga di registrare le misure dell’antico San Cassiano, abbiamo i dati che ci permettono di ricostruire il teatro com’era nel 1637. Il motivo dell’ampliamento nel 1763 fu quello di allungare il palcoscenico per consentirgli di competere con i suoi contemporanei. Sospettiamo che quando l’orchestra fu inserita per la prima volta nel palcoscenico originale, questo soffrisse di dimensioni troppo ridotte. Poi, nel 1792, venne inaugurata una nuova bellezza, il Teatro La Fenice, tre volte più grande, tecnologicamente molto più avanzata, con un palco enorme. Fu a quel punto che il San Cassiano morì effettivamente: la sua ultima opera fu nel 1798. Ho sempre pensato che un teatro vive e muore, e quindi nel 1812, quando Napoleone emise il decreto di demolizione del Teatro San Cassiano e del Sant’Angelo, entrambi i teatri erano già morti.
È corretto dire che nell’opera del primo Barocco il testo, il libretto, era più importante della musica, e che pian piano le cose sono cambiate in modo tale che all’epoca di Mozart la musica è primaria e il libretto l’accompagna?
Si tratta di “dramma per musica” e quindi il libretto, e il librettista, in queste prime opere è il re. Tuttavia, se si torna a Monteverdi e si ascolta L’Orfeo (1607), si scopre che è all’opera una forza musicale diversa rispetto a quella che potrebbe essere L’Incoronazione di Poppea del 1643. Credo che Monteverdi tratti le due opere allo stesso modo; c’è una sorta di duello in corso, ma è la sua rappresentazione e l’ambientazione del dramma che diventa affascinante. Ma non sono solo il testo e la musica a competere. Fin dall’inizio, Cavalli combatte già dal 1639 a San Cassiano anche con gli effetti speciali. Pensate a Hollywood: la gente vuole vedere esplodere qualcosa sul palcoscenico più di quanto voglia necessariamente ascoltare un’aria.
Tuttavia, accettiamo la convinzione che verso la metà del Settecento l’opera fosse in qualche modo degenerata, con un’enfasi sui solisti che si esibivano a scapito del dramma e della musica, allontanandosi troppo dal modello stabilito da Monteverdi.
Tutti conosciamo la riforma dell’opera di Gluck, che naturalmente aveva ragione. Stiamo parlando di un genere che esisteva da 160 anni, e ormai si prestava troppa attenzione ai cantanti e troppo poca alla musica e al dramma, e così Gluck e poi Mozart ristabilirono l’equilibrio e ci portarono in nuove direzioni.
Quando il nuovo Teatro San Cassiano aprirà, sarà l’unico teatro d’opera seicentesco attivo al mondo. La sua unicità non risiede solo nella prospettiva storica e nella macchina scenica, ma anche nella musica, nell’acustica del teatro e nelle sue dimensioni, che renderanno possibile il tipo di spettacolo intimo che non si potrebbe ottenere in un grande teatro moderno. Puoi darci un’idea di come l’esperienza di uno spettacolo al Teatro San Cassiano sarà diversa da quella della Fenice o della Scala?
In Europa esistono tre teatri semi-attivi del XVIII secolo con macchine sceniche barocche. Tutti e tre sono teatri di corte: il castello medievale di Český Krumlov, e a Stoccolma il Drottningholms Slottsteater e l’Ulriksdals Slottsteater Confidencen. Český Krumlov, ad esempio, è in grado di allestire solo tre serate ogni anno. Il San Cassiano sarà unico nel suo genere in quanto sarà l’unico teatro del Seicento e sicuramente l’unico teatro attivo in Italia con macchine sceniche ed effetti speciali.
Il Teatro La Fenice è un teatro meraviglioso, diretto brillantemente da Fortunato Ortombina; non esito a dirlo. Tuttavia, se pensiamo al teatro come a uno strumento, La Fenice è un pianoforte, ed è grande, mentre San Cassiano è un clavicembalo, ed è piccolo. Basta guardare le date, 1792 e 1637: provengono da mondi diversi. Il problema dell’opera barocca in un grande teatro è che i cantanti devono gridare per farsi sentire, si perde la capacità di suonare piano o forte, si perde l’intimità, l’immediatezza che si ottiene in un luogo più piccolo come San Cassiano, e soprattutto si perde il dettaglio del contrappunto perché la musica tende a confondersi.
Giustamente, La Fenice tende a non mettere più in scena l’opera barocca nel suo teatro proprio per questo motivo, così come non lo fanno più la Royal Opera House di Londra e il Met di New York. Ciò non significa che La Fenice non metta in scena opere barocche meravigliose: ospita un programma fantastico al Teatro Malibran (anche se questo teatro è abbastanza grande da contenere l’intero San Cassiano). Sono un suo grande fan, ma naturalmente ha il dovere di coprire l’intero spettro dell’opera e di garantire che La Fenice stessa competa con i grandi teatri d’opera di oggi, cosa che fa in modo ammirevole. Il nostro progetto si differenzia perché si tratta di ricostruire un tipo di teatro del XVII secolo che da tempo non esiste più nel mondo.
Ciò che rende unico il San Cassiano è che avrà un’orchestra specializzata che dedicherà tutta la sua attenzione all’opera barocca, con un direttore artistico specializzato, Andrea Marcon. Non basta rappresentare il barocco in un piccolo teatro, ne serve uno specializzato con macchine sceniche, effetti speciali, deus ex machina, uno che abbia i costumi, la gestualità e la prassi esecutiva generale sul palcoscenico che possa corrispondere alla prassi esecutiva che abbiamo imparato anche nell’orchestra. La buca d’orchestra non esiste, è una orkhḗstrā del nostro tempo, e se si aggiunge il fatto che si è seduti nella platea profonda di appena sei file, allora si vede e si sente ogni dettaglio dell’esecuzione.
Il nostro architetto, Jon Greenfield, che ha costruito la Sam Wanamaker Playhouse e che ha completato lo Shakespeare’s Globe, mi ha mostrato con la sua modellizzazione al computer ogni vista da ogni palco: non c’è una vista peggiore in tutto il teatro perché è così piccolo e siamo in un classico semicerchio greco-romano progettato in modo da avere la vista migliore. Qualsiasi stadio, qualsiasi teatro che segua lo schema greco-romano originale offre sempre la vista migliore. Loro l’hanno capito fin dall’inizio.
Il nostro teatro creerà un’intimità e un’immediatezza che non esiste altrove: pensate a un’aria di Vivaldi cantata da un cantante che si trova a soli dieci metri da voi.
Questo mi fa pensare a come doveva essere negli anni ’60 vedere una band come i Rolling Stones in un piccolo club, cosa che ovviamente oggi è impensabile. Possiamo aspettarci un’emozione simile al San Cassiano?
Questo è un esempio brillante. La cosa che amo di più nella musica popolare sono i club bui. Ho trascorso la mia adolescenza in club dalle pareti nere e piene di fumo, dove eri a cinque metri di distanza dalla band e potevi anche parlare con loro dopo.
Ecco qui una pianta in cui si vede che si potrebbe inserire l’intero Teatro San Cassiano all’interno de La Fenice. La grande differenza è il nostro palcoscenico: non è nulla in confronto a La Fenice. Poi c’è questa piccola platea, che nel nostro caso è composta da sei file di posti. Si nota subito quanto sia più piccolo il nostro teatro. È interessante notare come si tratti della stessa forma a uovo, la famosa “forma ovata”, ma con la differenza che deriva dal teatro romano semicircolare, con il palcoscenico, e poi si riempiono gli spazi vuoti con i palchi laterali.
Prima della Fenice c’erano stati almeno altri dieci teatri attivi a Venezia, tra cui il Malibran, il San Moisè, il Novissimo, il San Samuele e altri. Ancora oggi si possono vedere le tracce della loro presenza.
Uno dei miei passatempi preferiti è quello di percorrere il circuito dei teatri. Nella Venezia del Seicento esistevano dieci teatri pubblici. Il boom è intorno al 1720-1730, quando il San Cassiano è al suo apice. Il Novissimo è difficile da raggiungere post-Covid, perché non si può più attraversare l’ospedale per arrivarci, ma mi piace passeggiare nei luoghi in cui un tempo prosperavano questi teatri.
San Cassiano sarà un luogo per esecuzioni storicamente informate, o come si dice in inglese, HIP (Historically Informed Performance). Questo acronimo è il modo attuale di riferirsi a quelle che un tempo chiamavamo esecuzioni autentiche, con strumenti d’epoca.
La parola originale era autentico o autenticità, e naturalmente poi ci siamo resi conto che non si può dire che una musica è autentica, perché non possiamo mai tornare indietro e sapere come si eseguiva allora. Anche se potessimo viaggiare nel tempo e rivivere un’opera barocca, non potremmo comunque sentirla come la si sentiva allora, perché le nostre orecchie sono sintonizzate sul XXI secolo. Le nostre interpretazioni contemporanee non potranno mai essere autentiche perché abbiamo ascoltato i Beatles e i Rolling Stones. Sarebbe un sogno. Se si potesse tornare all’Euridice di Peri a Firenze nel 1600, e ascoltarlo come la gente di allora, che non aveva ancora sentito Monteverdi, forse ci si renderebbe conto di quanto sia grande quell’opera. Il problema è che una volta che Monteverdi scrive L’Orfeo nel 1607, l’impatto di Peri è superato, e questo è ingiusto nei suoi confronti.
Quale periodo coprirà il Teatro San Cassiano? Si limiterà al periodo intorno a Monteverdi o si spingerà fino all’opera francese, come Lully, o ancora più in là, fino alla Scuola Musicale Napoletana?
Per prima cosa dobbiamo creare il teatro del 1637, perché questo è il teatro storico che stiamo cercando di celebrare, e di per sé vale la pena visitarlo come un museo per vedere com’era fatto un teatro del Seicento e come funzionava. Se mi è consentito, vorrei sottolineare l’ottimo lavoro svolto dal nostro Direttore della Ricerca, Stefano Patuzzi, durante l’intero processo. All’inizio del progetto ci siamo chiesti: quale San Cassiano vogliamo ricreare? Quello dell’epoca di Vivaldi o quello dell’epoca di Monteverdi? Abbiamo anche parlato di modelli che potessero anche modulare il teatro per mostrare periodi diversi, se questo fosse fattibile. Quando siamo entrati nel merito della ricerca, la nostra grande e brillante sorpresa è stata che a causa delle fondamenta di Venezia, costituite da pali in legno infissi nel terreno fangoso della laguna, una volta scelto un progetto si è vincolati ad esso perché non è facile modificare le fondamenta, e quindi sono le fondamenta che determinano dove si possono collocare gli elementi strutturali dell’edificio. Qualsiasi ampliamento richiederebbe di cambiare completamente la forma del teatro. Infatti, abbiamo scoperto che l’impronta del San Cassiano è rimasta fondamentalmente la stessa dal 1565 al 1763 circa.
Ciò significa che abbiamo un teatro storicamente informato, con 153 palchi su 5 ordini, che copre il periodo dagli inizi dell’opera da Monteverdi a Cavalli, Albinoni, Gasparini, Vivaldi, fino a Mozart. Con la morte di Mozart nel 1791 e la nascita de La Fenice nel 1792 si conclude il nostro periodo. Naturalmente, metteremo in scena anche le prime opere, quelle che precedono il San Cassiano, come L’Orfeo, rappresentato per la prima volta nel 1607 a Mantova, o l’Euridice di Peri, risalente ai festeggiamenti del 1600 per le nozze di Maria de’ Medici con il re Enrico IV di Francia a Firenze, o il Il Combattimento di Trancredi e Clorinda di Monteverdi del 1624. San Cassiano coprirà l’intero arco di 200 anni, e ogni stagione troverà un equilibrio tra il XVIII e il XVII secolo.
Non posso fare a meno di pensare all’emozione che si provava a quei tempi, quando compositori come Monteverdi erano fisicamente presenti al San Cassiano. È prevista la messa in scena di opere contemporanee di compositori viventi?
Perché no? Ovviamente dobbiamo rimanere focalizzati sul barocco. Il nostro è davvero un piccolo teatro “da camera”. Nulla ci impedisce di ospitare un attore una sera, un concerto jazz un’altra. Non credo che ci sarà musica elettronica per via dell’acustica e dei requisiti tecnici, ma non escluderei nulla.
Chi sarà il direttore artistico del Teatro San Cassiano?
Il nostro direttore artistico è Andrea Marcon, dell’Orchestra Barocca di Venezia. Abbiamo in programma di eseguire un ampio repertorio, tuttavia, abbiamo altri due problemi da affrontare.
Innanzitutto, molte grandi opere rimangono nelle biblioteche e non vengono mai eseguite. Ho trascorso buona parte della mia vita accademica di musicologo studiando Antonio Gianettini, che fu organista presso la Basilica di San Marco a Venezia prima di diventare maestro di cappella a Modena, dove scrisse l’opera oggetto del mio dottorato. Centinaia di altre opere di quel periodo sono andate perdute o dimenticate. Per tornare all’analogia con i Rolling Stones, se guardiamo agli anni ’60, ricordiamo i grandi nomi, i Beatles e gli Stones, ma ci sfuggono tutte quelle band che hanno fatto grandi cose ma hanno brillato per poco tempo, come gli Herman’s Hermits, i Mamas and Papas. È la stessa cosa con l’opera barocca: la maggior parte delle persone a Venezia potrebbe forse citare solo Monteverdi e Vivaldi, eppure quando abbiamo suonato Gianettini a Venezia in occasione del lancio del nostro progetto, abbiamo ricevuto una standing ovation alla fine e abbiamo dovuto fare il bis del duetto: è stato fantastico. Questo è ciò che mi interessa come musicologo: utilizzare i profitti delle grandi opere per finanziare il ripristino di queste opere perdute.
La seconda questione: cosa facciamo con tutte le opere di cui abbiamo perso la musica? La prima opera rappresentata all’inaugurazione di San Cassiano nel 1637 fu L’Andromeda di Manelli, ma la musica è andata perduta. In casi come questo, abbiamo tre possibilità. 1) Possiamo ricrearla in modo storicamente informato; abbiamo persone abbastanza intelligenti per farlo e scrivere la musica nello stile dell’epoca. 2) Possiamo dare un tocco moderno, rivolgendoci a un compositore dei giorni nostri, dandogli il libretto e chiedendogli come lo affronterebbe oggi. 3) Possiamo rappresentare il libretto come un dramma, senza musica, perché, come sai bene, un libretto all’epoca si chiamava “dramma per musica”. Se guardate tutti i primi libretti, non c’è nemmeno una menzione del compositore della musica. Abbiamo tre modi per riportare in vita queste opere. Magari contemporaneamente, una sera si può ascoltare una versione e la sera dopo l’altra. Abbiamo così tante opzioni dal punto di vista artistico.
Il San Cassiano fu non solo il primo teatro dedicato all’opera, ma anche il primo a vendere biglietti al pubblico. Fino a tempi relativamente recenti, i teatri d’opera si sono basati molto sul modello degli abbonamenti; così, ad esempio, i ricchi mecenati di New York avevano i biglietti per l’intera stagione. Tuttavia, negli ultimi due decenni le cose sono cambiate: le persone non vanno più all’opera così spesso e sono meno propense ad acquistare abbonamenti. San Cassiano innoverà ancora per portare l’opera barocca a un pubblico più vasto? Per esempio, ci sarà uno streaming su Internet degli spettacoli del San Cassiano, proprio come fanno il Met, l’Opera di Parigi o il Boldshoi?
Tutto ciò che facciamo sul palco sarà storicamente informato, HIP come diciamo in inglese, ma il funzionamento del teatro deve essere all’avanguardia, moderno. Il San Cassiano trasmetterà in streaming ogni singolo spettacolo, in modo che ovunque uno sia nel mondo potrà vederci. È una cosa che mi ha coinvolto fin dall’inizio di questo progetto, nel 1997. Volevo trasmettere l’opera in streaming, ma allora non potevamo farlo perché le telecamere erano molto grandi. Ora abbiamo telecamere abbastanza piccole da stare sulla testa del cantante. I futuri giovani studenti che vorranno interpretare un ruolo potranno, attraverso la realtà virtuale, fare il login da casa in quel personaggio, entrare in scena come se fossero lì e cantare il loro ruolo in risposta all’altro attore. Allo stesso modo, il pubblico potrà venire a sedersi virtualmente dove vuole, sentire il pubblico intorno a sé e assistere allo spettacolo. Naturalmente, l’obiettivo è incoraggiarli a venire a teatro.
Trovare una sede non è stato facile, ma sembra che probabilmente sarà a Palazzo Donà Balbi. Si tratterebbe di una posizione eccellente, proprio sul Canal Grande, tra la Stazione e Rialto, con la fermata del vaporetto Riva de Biasio di fronte. Palazzo Donà Balbi è un affare fatto? Tutti gli ostacoli politici sono stati superati? È solo una questione di fondi?
Non è ancora un affare fatto, ma dopo diversi mesi di negoziati, la città ci ha detto che accoglierà volentieri il nostro teatro se riusciamo a ottenere i finanziamenti. L’opportunità è nostra, ora, in questo momento; è già disponibile per essere messa all’asta. Il Comune di Venezia sta solo aspettando che noi manteniamo ciò che abbiamo promesso, e questo è fantastico, perché credo che possiamo farlo.
L’inaugurazione avverrà nel 2028. Posso prenotare i biglietti per l’inaugurazione?
Puoi provarci: abbiamo solo 405 posti, quindi non so se riuscirai a entrare all’inaugurazione, ma francamente non so nemmeno se ci riuscirò io.
Forse posso stare fuori ad ascoltare attraverso le porte.
Beh, questo sarebbe molto storicamente informato, molto HIP. Ci sono molte testimonianze che dicono che questo è ciò che la gente faceva se non riusciva a entrare.
Grazie Paul per questa intervista. Ti auguro un grande successo in questa favolosa impresa del Teatro San Cassiano, e non vedo l’ora di vederlo rinascere.
Grazie. Credo davvero che Venezia meriti di celebrare quello che considero il suo più grande dono al mondo.
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