Il candidato alla presidenza dell’opposizione, Edmundo González Urrutia, inseguito da un ordine di comparizione di Caracas, trova asilo nella capitale spagnola e si incontra con Pedro Sánchez. Appena un giorno prima il Congresso spagnolo vota una mozione per il riconoscimento della sua vittoria elettorale e l’Assemblea nazionale venezuelana risponde proponendo al governo la rottura delle relazioni diplomatiche e commerciali con la Spagna. Lo scontro diplomatico prosegue oggi, con il governo Maduro che convoca l’ambasciatore spagnolo e richiama il proprio per consultazioni.
L’attenzione spagnola sul Venezuela è alta. Madrid è il primo partner commerciale europeo di Caracas — leader mondiale sono gli Usa, contraddizioni geopolitiche dei commerci, poi Brasile, Colombia, Turchia e Cina — importando soprattutto idrocarburi, per il 90 per cento, frutti di mare, alluminio e rum e esportando macchinari industriali, fotovoltaico, tessile e ceramiche per edilizia. Lo scambio è di circa 620 milioni, la bilancia dei pagamenti è nettamente a favore del Venezuela che esporta per quasi 480 milioni di euro e importa per oltre 145 l’anno.
L’annuncio sul profilo ex-Twitter del capo del governo spagnolo dell’incontro riservato nel palazzo della Moncloa, sede del governo, con González Urrutia
La lingua è uno degli strumenti diplomatici spagnoli e segnala le aree di interesse dell’azione internazionale di Madrid, che accoglie una nutrita comunità venezuelana, in gran parte di fuoriusciti in fuga dal regime di Maduro, siano essi esiliati politici o elementi del sistema economico-finanziario del passato regime accasati nei quartieri agiati della capitale, ma anche di funzionari del regime attuale e rappresentanti d’affari di imprese venezuelane.
Dopo il voto del 28 luglio il regime di Maduro ha proclamato la vittoria e si è rifiutato di rendere pubblici i verbali di voto, las actas electorales, come prevede la legge venezuelana. L’opposizione li ha pubblicati on-line, su un sito con sede negli Usa, in Arizona. Secondo il regime, che però continua a non mostrare quelli in suo possesso, sono falsi. La comunità internazionale si è divisa, secondo assi in parte inedite.
Cina, Russia, Qatar, Iran, Cuba, Siria, Bolivia, Nicaragua e Honduras hanno riconosciuto il risultato e la continuità di Maduro. Poi c’è l’altro fronte, diviso in due linee. Argentina, Uruguay, Ecuador, Perù, Panama e Costa Rica riconoscono González come presidente legittimo; Ue, Bolivia, Cile e Brasile, principale economia del subcontinente latinoamericano, fra gli altri, sospendono il riconoscimento del voto in mancanza della pubblicazione de las actas.
Così anche gli Usa, che agiscono più filo dell’ambiguità. Se da un lato ribadiscono la loro convinzione che González abbia vinto nelle urne, dall’altro evitano di riferirsi ufficialmente a lui come presidente legittimo; intanto, inaspriscono le sanzioni, una nuova lista di 140 nomi e 100 entità finanziarie del Venezuela i cui beni e proprietà in territorio Usa vengono bloccati dal governo federale è stata emessa ieri.
Anche l’Onu ha giudicato carenti di “trasparenza e affidabilità” le operazioni di voto evitando però di andare oltre. Pesa il precedente di Juan Guaidó, riconosciuto nel 2019 come presidente legittimo da sessanta paesi, tra cui la Spagna. Fu un fallimento che passò per l’apertura di doppie rappresentanze diplomatiche per poi risolversi in un nulla di fatto, e in una vittoria politica del regime venezuelano.
Tutti guardano alla nuova situazione internazionale e in particolare alle posizioni di Brasile Bolivia e Cile che rompono un fronte generalmente favorevole a Caracas. A pesare è anche la considerazione che la vera forza del regime sta nell’appoggio dell’esercito.
La strada che porta a un passaggio di regime incruento è, se non impossibile, molto stretta. Pure è il cammino principale cui puntano i principali attori internazionali, consci che il rischio del bagno di sangue è molto alto, se i militari decidessero di intervenire.
González Urrutia rappresenta una parte dell’opposizione disposta a un dialogo col regime bolivariano per una transizione incruenta con la mediazione internazionale. Posizione più moderata rispetto alla leader politica María Corina Machado, di cui González era candidato vicepresidente sino alla di lei esclusione dalle liste elettorali sancita dalla giunta elettorale venezuelana. Un approccio per ora apparentemente condiviso da tutti i paesi che non riconoscono il risultato.
Politica interna e internazionale si scontrano a Madrid. La proposición no de ley presentata dal Partito popolare (PP) chiede al governo di riconoscere González Urrutia come legittimo presidente del voto, è passata con 177 voti, grazie all’appoggio di Partido nacionalista vasco (Pnv), Vox, Union del pueblo Navarro (Upn) e Coalición Canaria (Cc).
Il Pp evidenzia la debolezza parlamentare dell’esecutivo e la sua dipendenza dai partiti nazionalisti periferici. Il voto del Pnv — che ne sottolinea la contingenza e conferma il suo appoggio esterno al governo — e l’assenza di Junts — impegnata a celebrare la Diada, l’11 settembre è la festa nazionale catalana — bastano per far perdere a Sánchez una votazione parlamentare.
Lo strumento è l’omologo dell’Ordine del giorno nelle nostre assemblee. Un atto simbolico, senza nessuna conseguenza reale, essendo la politica estera appannaggio dell’azione di governo che segue invece la linea europea, chiedendo al regime di mostrare i verbali dei seggi.
La Proposición ha però scatenato la reazione dell’omologa Assemblea nazionale venezuelana che pure invita il governo Maduro a rompere le relazioni diplomatiche e commerciali con la Spagna. Richiamo dell’ambasciatore venezuelano a Madrid e convocazione di quello spagnolo a Caracas alzano la temperatura diplomatica ma per ora si ritiene che, come per il voto spagnolo, si resterà nei confini della messa in scena dello scontro, essendo per Caracas, proprio in virtù della vantaggiosa bilancia dei pagamenti, molto più svantaggioso chiudere le relazioni commerciali.
Il comunicato che González Urrutia ha pubblicato sul suo profilo Instagram
Il Pp gioca ancora la carta Venezuela nello scontro politico interno — per anni munizione degli attacchi leciti e illeciti a Podemos — e accende i riflettori sulla precarietà parlamentare del governo. Pedro Sánchez incassa l’indubbio risultato di accogliere González, che ha visto ieri in un incontro riservato, del quale son state rese pubbliche solo immagini girate dallo staff della Moncloa, e di posizionare la Spagna al centro della complessa trama internazionale in atto, anche se chi più pesa sono Usa e Brasile.
Sánchez è rimasto in disparte durante l’organizzazione dell’espatrio di González. In viaggio ufficiale all’estero, in Cina, non a caso, importante potenziale interlocutrice nel fronte che pure appoggia il regime bolivariano, elemento cruciale in vista di una possibile transizione. A muoversi, oltre al ministro degli esteri José Manuel Albares, di carriera diplomatica e già console a Bogotà, c’è anche il lavoro dietro le quinte di José Luis Rodríguez Zapatero.
L’ex capo del governo svolge da anni una funzione di mediazione con Caracas, riconosciuta anche dagli Stati Uniti, che gli ha attirato accuse di essere troppo morbido col regime chavista, se non complice, sia in Spagna col Pp e Vox che da frange dell’opposizione al regime bolivariano.
Secondo ricostruzioni bene informate citate dalla stampa spagnola, Zapatero sarebbe stato al centro di un dialogo durato una settimana con governo di Maduro. “Scambi esclusivamente tecnici”, dichiara il governo spagnolo, per agevolare il passaggio di González dall’ambasciata dei Paesi Bassi, dove si era inizialmente rifugiato, a quella spagnola e poi per abbandonare il paese.
Le diverse posizioni sul ruolo dell’ex capo del governo spagnolo, e sull’ordine del giorno varato dal Congreso, sono evidenziate nell’interessante doppia intervista fatta da PRNoticias a due esponenti dell’opposizione venezuelana a Madrid, il presidente della Federación Nacional de Transporte de Venezuela, Erick Zuleta, e lo storico, rappresentante in Spagna del partito d’opposizione di centrosinistra Un Nuevo Tiempo, Ysrrael Camero.
Se per Zuleta, Zapatero “si è convertito in un innominabile che ha solo beneficiato al regime”, per Camero “Ha avuto un ruolo fondamentale nella liberazione di prigionieri politici” e “La sua capacità di interlocuzione può diventare una chiave per incentivare il ritorno della democrazia in Venezuela”.
La Spagna perde un’occasione di fare politica condivisa di stato. Per il Pp, Sánchez non fa altro che togliere le castagne dal fuoco a Maduro, levandogli di mezzo il legittimo vincitore. Per il governo, e per Sánchez, si tratta innanzitutto di una “misura umanitaria”. Il margine temporale per il dialogo è ridotto, Maduro è ufficialmente ancora in carica per questa legislatura e la prossima inizierà a gennaio. Poco tempo per una soluzione incruenta, grandi timori per una deriva violenta. Nel mezzo, le presidenziali statunitensi di novembre, il cui esito avrà conseguenze anche sul tavolo venezuelano. Il regime, come sempre, ha il suo migliore alleato nel tempo che passa.
[Immagine di anteprima: Edmundo González Urrutia e Pedro Sánchez in uno screenshot delle immagini diffuse da La Moncloa]
L’articolo La crisi venezuelana passa da Madrid. proviene da ytali..