Buona la seconda, caro Spalletti! Archiviamo i disastrosi Europei di quest’estate e guardiamo al futuro: indietro non si torna e il presente ci parla di una Nazionale di ben altro livello rispetto all’imbarazzante compagine che abbiamo visto affondare in terra tedesca. Due belle vittorie nel girone eliminatorio di Nations League contro Francia e Israele ci dicono, infatti, che i nuovi Azzurri sembrano aver ritrovato la voglia di lottare e battersi per la maglia. Basta amnesie difensive, basta mollezza nei contrasti, basta atteggiamento remissivo; insomma, basta con la vergogna che ci ha costretto a seguire gli ultimi due Mondiali dal divano, provocando un inaridimento del nostro movimento calcistico che ha fatto sì che oggi molti bambini preferiscano uscire di casa con una racchetta anziché con un pallone sottobraccio.
Ora, senza nulla togliere al tennis, sport meraviglioso e che ci sta regalando grandi soddisfazioni, tutto ciò, almeno alle nostre latitudini, è innaturale. Il calcio, tuttavia, per tornare in auge, ha bisogno di ritrovare un’anima. Non sappiamo se Frattesi, Barella e Dimarco siano in grado di riuscire nell’impresa: certo è che ha avuto ragione Marotta quando, arrivato all’Inter, ha deciso di puntare su un forte nucleo italiano per rilanciare le ambizioni nerazzurre dopo quasi un decennio di egemonia bianconera, di cui peraltro era stato l’artefice.
Non sappiamo, ribadiamo, se i tre alfieri interisti possano davvero compiere il miracolo, coadiuvati dai vari Kean, Di Lorenzo, Retegui, Brescianini, da capitan Donnarumma e dagli altri protagonisti di un gruppo che il timoniere di Certaldo sta assemblando giorno dopo giorno. Sappiamo, però, che siamo sulla buona strada. Manca ancora qualcosa, va detto. E quel qualcosa è l’anima: quell’anima ruspante che solo un personaggio come Di Bartolomei, indimenticabile capitano della Roma del secondo scudetto, potrebbe infondere al resto della truppa.
Di figure come Agostino, purtroppo, non se ne vedono in giro. Se n’è andato trent’anni fa, in circostanze tragiche, e non è nostra intenzione star qui a speculare su una morte alla quale non ci rassegneremo mai. Preferiamo, piuttosto, ragionare sulla sua vita: unica e forse inimitabile. Ha ragione chi sostiene che fosse figlio di un altro tempo e di un’altra Italia, che quell’abnegazione, quella tenacia, quello spirito di sacrificio e quel desiderio di emergere attraverso una grintosa lealtà mista a talento siamo merce rara al giorno d’oggi. Fatto sta che, secondo me, nello sguardo di alcuni campioni contemporanei brilla la stessa passione.
Anche nell’epoca degli sponsor e dei guadagni milionari, dei lustrini e delle paillettes, degli eccessi e della profanazione delle maglie a causa di esperimenti di marketing che lasciano sgomenti, anche in questa stagione arida di sentimenti e slanci ideali, qualcosa si è salvato. E quel qualcosa va valorizzato. Chi, dunque, meglio di Spalletti, uomo prim’ancora che allenatore ricco di ideali e con una solida base morale? Chi meglio di lui potrebbe farcela? Non mi spingo a sostenere di aver rivisto, nelle prime uscite della nuova Nazionale, gli stessi meccanismi che avrebbero condotto, nel biennio 2004-2006, all’apoteosi di Berlino. Fatto sta che qualcosa di lippiano in quest’Italia che riparte dalle macerie c’è. E attenzione a non lasciarsi traviare dai racconti del mito che si trasforma in leggenda, perché anche nel 2004 venivamo da un Europeo disastroso, nel quale non eravamo arrivati nemmeno alla fase finale, e si parlava di una congrega di bolliti da mandare a casa in blocco. Per fortuna, è arrivato il Marcello e ha provveduto a lanciare i De Rossi e i Gilardino, a concedere un ultimo ballo (e che ballo!) ai Totti, ai Del Piero e agli Inzaghi, a rivitalizzare Gattuso e a consentire a Pirlo di diventare definitivamente il Fellini del nostro calcio.
Al resto, provvidero Buffon e Cannavaro, muri invalicabili nel Paese che aveva abbattuto il suo di Muro e riunito Est e Ovest sotto la stessa bandiera. Sia come sia, questo è un altro tempo. Eppure, qualcosa, dopo tanti anni di sofferenza, si intravede. Sarà che Luciano è a sua volta un fior di toscanaccio, sarà che abbiamo toccato il fondo, pertanto possiamo solo risalire, sarà che questi ragazzi ci sembrano più umili e determinati rispetto al passato, sarà che vogliamo illuderci, ma non è la stessa Italia che ha fallito miseramente a giugno. E in assenza di un Di Bartolomei in carne e ossa, si potrebbe immaginare di dar vita a un Di Bartolomei collettivo, ispirandosi a un giocatore straordinario ma, soprattutto, a un uomo che incarnò al meglio la visione del mondo di Liedholm, condottiero di quella Roma tricolore, secondo cui le partite si vincevano innanzitutto con la testa. E lui di piedi buoni se ne intendeva!
L’articolo A Spalletti servirebbe un Di Bartolomei proviene da ytali..