Abito accanto alla via intitolata a Sandro Gallo al Lido di Venezia e mi ha incuriosito la vicenda di questo giovane comandante di una brigata partigiana, caduto in combattimento e che ogni 20 settembre riceve un omaggio istituzionale con una corona di alloro accanto alla lapide che lo ricorda sull’edificio che fu sede municipale. In un primo momento avevo cercato semplicemente di collocare quel toponimo nel suo momento storico. Ne è venuto fuori che in quella zona di recente edificazione nella quale le vie si richiamavano per lo più alla storia remota della Serenissima, quella era stata invece onomastica di viva attualità, inserita nella revisione toponomastica del primo dopoguerra per rimediare a troppi nomi di strade segnati dal Ventennio e dalla Repubblica Sociale. L’intitolazione a un comandante di una brigata garibaldina di una delle vie principali dell’isola è decisione unanime del consiglio comunale … sebbene il suo nome rappresenti in particolare una parte politica tanto che la sezione isolana del Partito Comunista si intitola a lui.
Quella scelta corrisponde al percorso di vita del giovane lidense le cui qualità personali ne fanno uomo di dialogo e di costruzione: buona famiglia borghese, studi classici, ufficiale degli alpini, avvocato, appassionato insegnante di liceo, partecipe ai primi circoli dell’antifascismo veneziano, incarcerato e confinato politico per un anno, subito dopo l’8 settembre 43 egli decide che si deve resistere militarmente. Sale dunque in Cadore, nelle montagne che conosceva e che amava e dove arrampicava, tra la gente che aveva imparato a conoscere durante la naia negli alpini.
Per tutto l’inverno il suo è un lavoro clandestino di tessitura e di organizzazione e in primavera – il 25 aprile, una data significativa per un veneziano – fa salire in montagna il primo piccolo distaccamento armato frutto del suo lavoro. Nei mesi seguenti quel gruppo diventa brigata garibaldina: oltre quattrocento uomini organizzati in battaglioni che controllano tutto il Cadore con la difficoltà di operare in una provincia che era stata annessa al Terzo Reich. La Resistenza è dunque qui prima di tutto lotta all’occupazione tedesca e non è un caso che lui scelga di intitolare la brigata all’eroe risorgimentale Pier Fortunato Calvi che in Cadore nel 1848 aveva guidato l’insorgenza contro l’impero austroungarico. Lui ha appena trent’anni e si prende molte responsabilità.
La memoria di chi lo conobbe è affidata a molti scritti che compaiono negli anni ma è molto significativo che la prima onoranza pubblica, subito dopo la Liberazione, sia iniziativa dell’arciprete della Magnifica Comunità del Cadore che ricorda quel giovane comunista “colla fede di un apostolo e l’ardore di un martire” additandone l’esempio alla grande famiglia cadorina. La sua è dunque oggi una figura che intriga e ci aiuta ad uscire da parecchi troppo facili schematismi sulla Resistenza; la sua vicenda disvela sia le molte difficoltà che affliggevano il partigianato sia l’importanza della struttura sociale che nelle valli e nei paesi sosteneva i patrioti combattenti.
I modi del suo cadere in combattimento sono poi davvero esemplari e lo fanno assurgere alla categoria degli eroi: è il 20 settembre 1944 e sta recandosi ad assumere il comando della divisione d’assalto Nannetti dalla quale la Calvi dipendeva. Aveva in precedenza rifiutato quell’incarico perché preoccupato di badare innanzitutto alla sua brigata e ai suoi uomini, ma ora dopo il micidiale rastrellamento tedesco in Cansiglio la situazione nei comandi partigiani si era complicata anche politicamente e non può dunque rifiutarsi. Mentre dunque sta recandosi a quell’appuntamento con una scorta di quattro uomini, sente, tra Domegge e Lozzo, sventagliate di mitragliatrice: immagina un combattimento tra i suoi e un reparto tedesco e pensa che i tedeschi manderanno rinforzi e la sua priorità diventa dunque impedirlo per quanto possibile. Sono in una posizione ottima per un agguato, presso l’abitato, ma pensa che quella posizione indurrebbe poi i tedeschi a una rappresaglia sul paese. Corre dunque con i suoi alla ricerca di un’altra posizione buona ma distante dalle case: la trovano, alta sopra la strada ma con alle spalle un’erta un po’ troppo scoperta.
Quando arriva un camion di tedeschi lo assaltano con la loro piccola scorta di bombe a mano, ma subito dopo sopraggiungono altri due camion ed è fuga disperata in salita. In due si salvano, ma Sandro Gallo e altri due giovani restano colpiti a morte. Uno di questi, della leva repubblichina, era entrato nella Calvi solo pochi giorni prima. Verrà fuori poi che il lontano combattimento che lo aveva preoccupato era stato causato da una insensata azione di partigiani carnici che avevano “sconfinato”. Poche ore dopo giunge sul posto un giovane lidense che voleva entrare nella formazione comandata da Gallo che ben conosceva, e il camion che lo porta a Lozzo si ferma alla curva dove si è svolto il combattimento: gli tocca vedere il camion danneggiato, i tedeschi colpiti e le salme dei tre partigiani, tra i quali il suo amico, allineate a bordo strada. Quel giovane vede il primo atto di una seconda vita di Sandro Gallo: è la sua memoria – il suo esempio – che resta vivissimo tra i compagni: li aiuta forse a sopportare il durissimo inverno e a riprendere con energia l’attività nella primavera.
Parecchi ne scrivono nelle loro memorie negli anni seguenti e son ricordi concordanti anche se da punti di vista diversi e che riflettono anche la preoccupazione per il futuro del Paese che non è ancora quello per i quale molti compagni hanno dato la vita… Dei partigiani della Brigata Calvi resta una foto emblematica dell’epilogo: la cerimonia di consegna delle armi il 9 maggio 45 a Belluno. Sono ben schierati, ma un po’ disordinatamente, vestiti e armati in modo eterogeneo, parecchi hanno ancora il loro cappello d’alpino, in prima fila un giovane regge orgoglioso il tricolore … dal quale già hanno scucito lo stemma sabaudo!
Immagine di copertina: La targa e la fermata dell’Actv al Lido di Venezia
L’articolo 80 anni fa la morte eroica di Sandro Gallo proviene da ytali..