Due tentativi di assassinio nei confronti di un ex presidente e candidato alla presidenza in poco più di due mesi possono sembrare tanti, ma in realtà non lo sono: negli Stati Uniti è abbastanza normale.
Un rapido calcolo sui dati storici ci dice che su 46 presidenti, a partire da George Washington fino a Joe Biden, almeno 22, quasi la metà, sono stati oggetto di tentativi di assassinio e alcuni di loro più volte durante e dopo il mandato. Di questi 22 quattro sono stati uccisi (Abraham Lincoln nel 1865, James Garfield nel 1881, William McKinley nel 1901 e John F. Kennedy nel 1961), altri tre sono stati feriti in modo più o meno grave (Theodore Roosevelt nel 1912, Ronald Reagan nel 1981 e, ultimo della serie, Donald Trump il 13 luglio del 2024). Gli altri 19 sono scampati al tentativo di ammazzarli, in patria e anche all’estero, a revolverate, fucilate, bombe e perfino veleno. Alcuni sono stati oggetto di più di un attentato (Lincoln, Truman, George H. W. Bush, Bill Clinton, Barack Obama, Donald Trump); nel caso di Lincoln e di Kennedy al secondo tentativo l’assassino o gli assassini sono riusciti nel loro intento. C’è da augurarsi che non succeda così anche con Donald Trump.
Tutti questi tentativi, talora riusciti talaltra no, di ammazzare presidenti ed ex presidenti, sono abbastanza sorprendenti alla luce del fatto che fin dal 1865 gli Stati Uniti si erano dotati di un corpo di polizia denominato “Secret Service” (vedremo più avanti perché), cui a partire dal 1901 (uccisione di William McKinley) venne affidata anche la protezione del presidente. Fino ad allora infatti il Secret Service si era occupato di tutt’altro: Lincoln l’aveva voluto per contrastare la falsificazione della moneta che prima e durante la guerra civile aveva raggiunto dimensioni allarmanti sia nell’Unione sia nella Confederazione. Per questo aveva istituito un corpo di agenti “segreti” che dovevano infiltrare le bande di falsari e assicurarli alla giustizia
Solo un secolo dopo, nel 1968, dopo l’assassinio di Robert Kennedy, fratello di John Fitzgerald e candidato quell’anno alla presidenza per il partito democratico, il Congresso autorizzò l’impiego del Secret Service per la protezione non solo del presidente in carica, ma anche degli ex presidenti, dei vicepresidenti, delle rispettive consorti e anche dei candidati alla presidenza dei due maggiori partiti. Nel 1998 Bill Clinton con un suo ordine esecutivo allargò la platea dei “protetti” includendovi i capi di stato e altri alti dignitari stranieri in visita, e la sicurezza dei summit internazionali.
I dati sulla protezione delle visite di politici e dignitari americani e stranieri e, a destra, quelli riguardanti l’organico del corpo (da X/Twitter @SecretService).
Contemporaneamente all’ampliamento dei compiti di protezione, vennero estesi anche quelli per la sicurezza finanziaria: alla falsificazione della moneta sono aggiunte le frodi informatiche e con carte di credito e infine l’hackeraggio delle reti finanziarie e bancarie. Nel 2001 George W. Bush raccolse tutte queste competenze in una nuova task force dedicata a combattere tutti reati elettronici, sia in patria sia all’estero, e ne attribuì la responsabilità al Secret Service. Con la creazione del dipartimento della Sicurezza nazionale (Homeland Security) a seguito degli attacchi terroristici dell’11 settembre, il Secret Service, che a partire dalla sua istituzione aveva fatto parte del dipartimento del Tesoro, venne incardinato nel nuovo dipartimento che raccolse in sé tutte le competenze relative alla sicurezza.
Ciononostante il Secret Service (che continua a chiamarsi così anche se non ha nulla di segreto e nulla a che spartire con i veri servizi segreti – Cia, l’Nsa, Intelligence militare, Dea, ecc.) conservò la sua autonomia operativa nello svolgimento della duplice missione di protezione personale e di investigazione finanziaria. È facile comprendere come queste due anime, che richiedono profili professionali molto diversi, mal si concilino tra loro. Con la conseguenza che nonostante il Secret Service abbia un bilancio di tutto rispetto di circa 3,2 miliardi di dollari e possa contare su oltre ottomila dipendenti distribuiti in un centinaio di sedi in patria e una ventina all’estero, in realtà soffre di una cronica carenza di mezzi e di personale, che è la principale causa degli svariati insuccessi in cui è incappato negli ultimi cinquanta anni: dalla mancata protezione dei presidenti ad alcuni episodi di intrusione di estranei potenzialmente pericolosi nella Casa bianca, a episodi di corruzione e, durante gli anni della presidenza Trump, di supina acquiescenza alla volontà del capo, così da operare in svariate occasioni come sua guardia personale contro dimostranti pacifici.
Nello svolgimento del servizio di sicurezza personale, il Secret Service deve oggi garantire continuativamente la protezione di una quarantina di persone (presidenti, ex presidenti, vicepresidenti, consorti, figli minori, candidati alla presidenza e alcune alte cariche dello stato in “linea di successione” alla presidenza), notte e giorno, ovunque si trovino, chiunque vedano, qualunque cosa facciano. Missione particolarmente onerosa durante le campagne elettorali (che negli Stati Uniti sono praticamente permanenti) perché si tratta di seguire i candidati in giro per il paese e garantirne la loro sicurezza nei raduni, comizi, incontri improvvisati con gli elettori. Compito particolarmente difficile in un paese come gli Stati Uniti in cui ci sono più armi da fuoco che abitanti (450 milioni contro 340 milioni), bambini compresi, dove in molti stati è consentito girare armati senza alcun tipo di licenza e possedere tutte le armi che si vuole, anche fucili automatici d’assalto come quelli usati negli ultimi attentati; un paese in cui, in misura forse non maggiore di altri, non difettano gli squilibrati e i fanatici desiderosi di conquistarsi la fama dei notiziari televisivi uccidendo un presidente o un candidato alla presidenza.
Se a ciò aggiungiamo il clima di violenza verbale, di divisione estrema che in questi ultimi anni si è venuto a creare nella popolazione, fomentato dal linguaggio incendiario e cupamente apocalittico di Trump, con la creazione perfino di milizie armate, è facile immaginare come i pericoli per gli occupanti della Casa bianca o gli aspiranti ad occuparla aumentino. Per il Secret Service che deve proteggerli selezionare il profilo dell’attentatore diventa praticamente impossibile. Non è riconducibile a categorie del passato anche recente, non è un terrorista islamista, non è un fanatico religioso, non è un pericoloso comunista, non è (per usare una categoria europea) un sovversivo. O meglio, può essere tutto questo ma molto altro ancora.
Come i due ultimi attentati contro Donald Trump hanno dimostrato, si tratta di persone più o meno normali: il primo, che è stato ucciso da un agente del Secret Service, era a detta dei vicini “un bravo ragazzo” che non aveva dato segni particolari di squilibrio mentale, non aveva affiliazioni politiche né precedenti penali; il secondo, arrestato dalla polizia dopo il fatto, aveva sì precedenti penali, ma di poco conto, aveva un lavoro ed era un “uomo di famiglia” che si prendeva cura (più o meno) dei suoi tre figli; ma era al contempo un mitomane sprovveduto che aveva cercato di arruolarsi (ed era stato respinto) nella Legione internazionale per combattere in Ucraina. L’unica cosa che i due attentatori avevano in comune era la passione per le armi e la facilità nell’ottenerle.
Il presidente Dwight D. Eisenhower e agenti del Secret Service ispezionano il Bell UH-13J Ranger AF 57-2729 prima del primo volo presidenziale su un elicottero, 12 luglio 1957. (Photo courtesy of the Eisenhower Presidential Library, da X/Twitter @SecretService)
In una situazione del genere, di grande disponibilità di armi e di impossibilità di delineare un profilo del probabile attentatore, il povero Secret Service si trova a dovere far fronte in ogni momento a migliaia, centinaia di migliaia, di minacce che possono provenire da qualsiasi parte in qualsiasi momento da parte di chiunque, giovane, anziano, squilibrato, delinquente, o persona normalissima e insospettabile. Là fuori non c’è niente che possa fare presagire chi sarà il prossimo aspirante assassino di presidenti, non c’è quantità o qualità di intelligence (liste di sospetti, ecc.) che possa essere d’aiuto in una attività di prevenzione che spazia su tutto il territorio nazionale al seguito degli “obbiettivi” da proteggere (presidente, familiari, candidati, ecc.) in continuo movimento.
E possibile soltanto, nel linguaggio degli specialisti della sicurezza, “pattugliare il perimetro”, “bonificare l’area”, identificare quante più minacce è possibile, sapendo che quelle trovate non saranno mai tutte. Fino a luglio di quest’anno, come ha dichiarato la direttrice del Secret Service al congresso prima di essere licenziata a seguito del primo attentato contro Trump, erano stati ispezionati e messi in sicurezza 7500 siti in tutto il paese. Ma sta diventando sempre più difficile: l’attentatore di Butler in Pennsylvania era piazzato a cento metri dal palco, quello di Mar-a-Lago a trecento metri da Trump che stava giocando a golf, ma con un buon fucile e un mirino telescopico chiunque può sparare e colpire il bersaglio anche a distanze maggiori. Per essere sicuri occorrerebbe “formare un perimetro” di chilometri intorno all’ “obbiettivo”, cosa difficilmente realizzabile quando questi vuole o deve stare in mezzo alla gente.
È tutta l’America invece che andrebbe pattugliata, bonificata e resa sicura per ottenere un livello di sicurezza paragonabile a quello di cui godono i capi di stato e di governo in tutti i paesi civili (e anche in molti di quelli poco civili). Come? Ma semplicemente liberandola dall’ossessione per le armi da fuoco e riducendone lo spaventoso numero che rende non solo i presidenti ma anche i comuni cittadini non più sicuri ma più esposti al gesto di un “folle”. Facile a dirsi ma non a farsi. Negli ultimi decenni solo l’Australia, a seguito di una drammatica strage nel 1996, è riuscita a ritirare, riacquistandole, molte delle armi da fuoco presenti nel paese; solo che si è trattato di meno di un milione di pezzi e non delle centinaia di milioni presenti negli Stati Uniti. Ridurre la diffusione delle armi da fuoco in America è una pia illusione, una vana aspirazione peraltro condivisa solo da una parte minoritaria della popolazione e al momento non ha alcuna possibilità politica di realizzarsi.
Non solo i candidati repubblicani (Trump e Vance), ma anche quelli democratici (Harris e Walz) dichiarano “orgogliosamente” di possedere un’arma da fuoco e di sostenere il secondo emendamento alla Costituzione che – secondo gli interpreti – ne garantirebbe il libero possesso. Preoccupati di non perdere anche un solo voto, tutti i candidati alle varie cariche, da presidente in giù, assicurano gli elettori che mai e poi mai toglieranno le armi al popolo americano che tanto le ama. Certo, dopo una strage di bambini particolarmente efferata, è necessario esprimere con toni accorati la solita condanna e ripetere la solita litania sull’importanza dei controlli preventivi per impedire che un’arma da fuoco finisca nelle mani di un malato di mente o di un criminale, e magari perfino aggiungere (lo fanno solo i democratici) il divieto nei confronti dei fucili d’assalto o dei caricatori di grandi dimensioni. Ma tutti sanno che, anche se questi modesti provvedimenti venissero approvati, non si tratterebbe che di palliativi che non risolverebbero il problema perché le armi già ci sono e gli stragisti sono quasi sempre “persone normali”.
Non solo negli Stati Uniti circolano centinaia di milioni di pistole e fucili, ma queste armi vengono usate per uccidere con una frequenza che è venti volte superiore a quella dei paesi europei: quarantamila morti circa ogni anno tra omicidi, suicidi, stragi. Cosa volete che sia in questo contesto un morto in più o in meno e, perché no, anche un presidente che, ammazzandolo o anche solo provandoci, ti regala fama imperitura?
L’articolo Povero Secret Service proviene da ytali..