Notava Silvio Aman, a proposito dello stile di Gilberto Isella, che “la scrittura …è ritmica, basata su frasi brevi in continui ed energetici décalages che non lasciano più spazio alle nuances, sostituite da irrefrenabili e angosciose metamorfosi”.
È una annotazione che valeva i racconti de La furia dell’angelo, edito da Casagrande, ma si può tranquillamente estendere e far valere per ogni tipo di scrittura, da quella prosastica a quella poetica, di Gilberto. Il suo dire è così: ti mette subito nel vivo di un ductus mai scialbo e banale, di una fosforica inconcinnitas fatta di brevitas e di color, di lancinante essenzialità e di spiazzante straniamento a livello lessicale e concettuale, che ti danno il senso di un pensiero che insegue se stesso e ti invita a non fermarti, a non appagarti di quello che ti sembra di aver capito, mettendoti continuamente di fronte a prospettive sempre nuove, a “irrefrenabili e angosciose metamorfosi”, in cui entrano in gioco in feconda e accelerata contaminazione-interazione sensi altri e diversi, come dice e lascia intendere appunto Aman e come è comprovabile dall’abitudine del poeta di accompagnarsi con frequenza ad artisti (di volta in volta, Bruno Bordoli, Loredana Muller, Giulia Napoleone, Marco Mucha, tra i tanti e più recenti).
Un esempio, subito all’inizio delle otto parti, o “stanze”, di cui si compone e struttura quest’ultima raccolta poetica Terre sotto vuoto (Marietti1820, Bologna 2024), accompagnata da un’acuta esplorazione critica di Laura Quadri: “Vapore emana dalle cime / scende calmo nel polmone della valle / un arco di realtà sospira // spazio libero da forre / violoncello dai liquidi confini / quattro corde / serpeggianti con il fiume // melodia di cavità nascoste / rizomi che irrompono / tra notti e mattini / (palinsesti divini?)”. Al di là di almeno due segnali (“rizomi” e “palinsesti divini”) che evocano precisi referenti culturali (il primo, Deleuze e Guattari di una memorabile riflessione, Rizoma appunto (1976), sull’infinita e perversa “disseminazione” di desideri ed enunciati dell’inconscio per “misurare e cartografare regioni future”; il secondo, “palinsesti divini”, un celebre testo di Baudelaire “Correspondences”, evocato pur con dubitoso scetticismo con ciò che comporta ancora dal punto di vista sinestetico), colpisce l’evocazione di un paesaggio alla cui definizione concorrono percezioni sensoriali diverse, auspicabilmente apportatrici di intraviste epifanie.
di Gilberto Isella
Editore Marietti1820, 2024
Prezzo: Euro 15
Come di fronte a un diamante dalle infinite sfaccettature e rifrazioni, l’occhio (organo-metafora evocato a più riprese nella sua avventura conoscitiva e scritturale, a partire dagli stessi titoli, cfr. L’occhio piegato del 2015) non meno degli altri sensi (penso all’udito) è sorpreso da “barlumi” e lucori d’”ambra”, da “melodie” appena percettibili ed echi di “violoncelli” che indirizzano l’andare ad una “stella”, ad una “luce”, che non trova definizione nei suoi contorni enigmatici se non come scrittura, “parola che manca”. È l’invito, insomma, a perseguire il “mistero che perdura” (nel verso conclusivo dello straordinario Offertorio per padre David), eloquente come un “luminoso… / geroglifico aperto”, in cui si condensa quello che Hegel definisce “il mistero eleusino” dell’Indicibile, a ricercare “anche nel marcio e nell’inanimato” i resti di un sapere antico e intramontabile, sollecitando “la povertà delle parole” il sacro che con “la polvere e la cenere” della loro veste dimessa ancora a stento dissimulano (cfr. G.W.F. Hegel, Eleusis).
È questo che si applica a fare Gilberto? I credo proprio di sì, stando a quel che dice nella pagina prosastica posta a conclusione del libro, “Terra, poesia…”, dove esplicitamente si parla di “registro poroso dell’enigma”, riconoscendo alla natura della propria esperienza di scrittura (meglio, “avventura” di linguaggio), tutta giocata su continue “irrefrenabili e angosciose metamorfosi”, per ri-citare dalla riflessione di Silvio Aman, il suo cosciente carattere di esplorazione del visibile e dell’esistente, guidato dalla “stella” della parola come via al Sublime, inteso come rappresentazione in cui alto e basso collidono e “vita” e “morte” si ritrovano accostati nell’involucro infeltrito della macelleria della Storia, senza possibilità di riscatto e risurrezione. Il tutto dicendolo in un linguaggio miscidiato, sporco, quale si addice ad uno che sa che è inutile se non pericoloso farsi ancora illusioni, qui “sun fianco del nostro giaciglio // umilissimo tempio d’Amore / in terre sottomesse al vuoto”, come recitano gli ultimi versi di Lessico divino, per difetto di sguardo o climbo. “Tra culla e tomba” ed “effimero evento / del gioire”: una vera e propria “Cosmogonia tascabile”, portatile e privata, degna di Giobbe 26-7 (“Distende i cieli del nord sullo spazio vuoto; sospende la terra sul nulla”), dove sguardo e voce si levano in uno “spazio vuoto”, su un deserto in cui può distendersi una lingua senza echi, ostacolata da “una vicenda di scorie” in cui il “pensiero” si fa largo a fatica sfidando l’”incubo” e l’”inconfessabile”. È insomma il Trionfo del Nulla di cui aveva già parlato Aimeric de Peguilhan nella sua Tenso de no-re (“Tenzone del nulla”) e che Dante aveva ripreso e commentato nel De vulgari eloquentia come esempio di alta costruzione poetica, salvo che qui, in Isella, il Nulla, in cui la sua voce si leva, non sembra lasciare altro scampo all’io, leopardianamente compresso “tra culla e tomba”, se non la “condanna”-risorsa, effimera e al tempo stesso salvifica, di uno scrivere instancabile e freudianamente in-leggibile.
Come dire che non c’è né “festa” né “bellezza”, giusto come aveva già detto in Deliri nel cellofàn (maggio 2023) che qui viene in parte riportato, posto com’è il Tutto e la sua “misura” all’insegna di Saturno, quello spesso Saturno già posto simbolicamente a personificare e significare in Mappe in controluce (2011) un mondo di sparizioni-apparizioni, un mondo di “dispersi”, che anelano inquietamente alla ricomposizione oltre il Disordine e qui compare come supremo archetipo tra “nigredo alchemica” e insieme nostalgia di rigenerazione, destinate nella furia del loro caotico e intermittente mélange a rivelarsi, oltre la “discordia” degli elementi e il loro “sparire”, effigies “effimera” di un Ordine, travolto nel “sentor d’amianto” e nella vertigine di un Tempo senza qualità quale è l’oggi.
A riprova che il “male di vivere”, che Isella ha visto da sempre inscritto nello scenario naturale e cosmico circostante, esclude ogni presenza viva e pensante: non solo l’uomo, quindi, relegato a spettatore muto e claustrofobicamente angosciato, “assordato” e incapace perfino di comprendere e reagire, ma il paesaggio tutto, diventato correlativo oggettivo di una vitalità altrimenti frustrata e dolorante, trasformandosi in una sorta di “carcere”, da cui diventa impossibile evadere se non con l’ausilio del “canto”, della poesia, che si rivela un’esigenza addirittura fisica e vitale. Giusto come dice in “Sonni insonni”, un testo emblematico di Mappe in controluce, una sorta di eliotiana “terra desolata”, salvo che qui il Tiresia narratore neppure prende la parola e invoca solo “oblio” come pharmakon estremo e definitivo:
L’ansia del tiglio sale cinturata
da cortecce che si fanno sferze
per l’orecchio in cammino nel groviglio
Memoria rimossa dall’albero vitale
è lusso d’incursioni bianche
che al vischio della mente corrisponde
Ma nessun’anima dorme
se invischiarsi è certezza di pene
Il più chiaro ricordo quando strina
non serve ai sollazzi delle arene
Nel carcere arboreo circola sangue
d’uniformi norme
promette oblio il canto delle arterie
ma il ceppo vecchio ha suono che assorda.
Non diversamente da quanto qui nel primo testo di Amoerro, “stanza” conclusiva di Terre sotto vuoto, viene detto:
Non chiederci tessuti,
per rivestire un mondo
da sanare, ancor meno
tessere magiche
per accedere all’incanto
dell’Idea.
Come dire che salvezza non c’è e che il poeta alla sua portata non ha ricette, “tessuti” o “tessere magiche” che siano, oltre l’”incanto” della scrittura come estremo esorcismo del Nulla.
Immagine di copertina: foto di Ivy su Unsplash
L’articolo La poesia, estremo esorcismo del Nulla proviene da ytali..