Lo scenario globale interroga il Paese leader dell’Occidente, gli Usa, sul suo approccio politico/strategico dinnanzi al “nuovo mondo” emergente. Questo senza troppo rincorrere il fantasma di radicali soluzioni di continuità tra Amministrazioni repubblicane e democratiche. La continuità spesso è carsica ma c’è.
Le riflessioni seguenti si concentrano sul lato politico dell’analisi; ma con la massima attenzione alle analisi propriamente militari.
La storia finisce … ma anche no
L’Impero rosso di Lenin finì di sgretolarsi nel 1992. Il politologo nippoamericano Fukuyama lesse il trionfo dell’Occidente di fine Novecento scrivendo sulle tracce della Fenomenologia dello Spirito di Hegel un’epifania filosofica che vedeva lo zenith dell’evoluzione dei concetti politici nella liberal-democrazia vincente sulle rovine del “Muro”. Lo studioso affermò che così la filosofia politica toccava l’orizzonte.
Nondimeno ad attrarre attenzione sul lavoro del politologo nippo/americano, più che la filosofia, sono state le conseguenze “geo-filosofiche” delle sue riflessioni. Che vedevano il sistema delle relazioni internazionali come un sistema tolemaico con al centro gli Usa. Un immaginario unipolarismo che aveva analogie col neocon Project for the New American Century. In comune l’idea di ridefinire il ruolo degli States nel XXI°.
Così, incrociando la rivoluzione liberale permanente con l’ideologia del diritto internazionale di matrice wilsoniana, Washington avrebbe garantito il passaggio dell’arena internazionale alla legalità dell’ordine liberale nel nome di un universalismo politico bloccato dalla Guerra Fredda e vincolato al duopolio collaborativo/competitivo Washington/Mosca imposto dalla Mutual Assured Destruction (MAD).
Di qui l’ideologia della guerra come “operazione di polizia internazionale” e il concetto politico/strategico di guerra a-simmetrica. Quindi nell’immediato periodo post URSS c’è la convinzione di poter archiviare l’epoca dei grandi scontri che caratterizzò le guerre del Novecento. Di quest’epoca supposta definitivamente superata rimane, essendo necessaria al nuovo approccio, la volontà statunitense di netta superiorità per mare, cielo e terra.
Altra eredità della Guerra Fredda che perdura consiste nel dare (almeno in linea teorica) alle forze armate di Washington, quindi dell’Occidente, la capacità di sostenere contemporaneamente più conflitti in aree diverse quali la Piattaforma Continentale europea e l’Oceano Pacifico. È l’evidente lascito dell’esperienza dalla guerra con la Germania (Europa) e col Giappone (Pacifico). La differenza con allora è che Tokyo e Berlino erano più deboli degli Usa sia per controllo di materie prime che capacità industriale. Oggi con Mosca e Pechino è diverso.
L’Air-Land Battle è stata l’ultima innovazione concettuale militare statunitense concepita per un conflitto convenzionale al tempo della Guerra Fredda. Essa dominò la dottrina bellica euroamericana dal 1982 all’ultimo decennio del XX° quando cadde la Repubblica Sovietica Russa.
Quando c’era l’URSS
Fu pensata come la risposta alla possibilità di Blitzkrieg sovietica centrata su grandi unità corazzate. Al tempo ritenuta possibile per la supposta e probabile superiorità convenzionale di Mosca nel Vecchio Continente. Il significato politico dell’Air-Land Battle era di ampliare la credibilità della garanzia di Washington all’Europa superando l’approccio troppo difensivo della precedente dottrina chiamata Active Defence.
Difatti diversamente da questa l’Air-Land Battle si ispirava a una filosofia d’azione più aggressiva. Ovvero a contrattaccare il retroterra bellico nemico per distruggerne infrastrutture, logistica e centri di comando/controllo. Alla nascita vi contribuì l’esperienza di Israele tra la “guerra dei sei giorni” (1967) e del Kippur” 1972). Merita osservare che essa implicò un nuovo approccio di “politica della tecnologia militare” che si tradusse in innovazioni di mezzi quali i carri Abrams e i noti F16.
Paradosso storico vuole che la sperimentazione dell’Air-Land Battle sia avvenuta contro l’Iraq proprio negli ultimi mesi di vita dell’URSS. Insomma fu Saddam Hussein con l’Operation Desert Strom del 18 gennaio 1991 a sperimentare su di sé una visione militare all’opposto concepita contro Mosca. Fu un successo manageriale/bellico favorito dall’essere stata testata contro un esercito, l’iracheno, inferiore a quello sovietico.
Di certo la sua applicazione in Europa sarebbe stata più complessa. Caduto il Muro a succederle fu la concezione della guerra a-simmetrica.
La breve illusione tolemaica dell’unipolarismo
La percezione della caduta della capacità militare della Russia postsovietica, ufficializzata dalla “dottrina Obama”, favorì l’ideologia di un sistema di relazioni internazionali centrato sugli Usa al centro e con la Federazione Russa relegata ad un ruolo regionale. Questo conseguentemente creò un terreno politico ancor più favorevole all’idea che fosse al tramonto la guerra classica – cioè l’affrontarsi sul terreno enormi masse di carri, artiglieria e aviazione – perché sostituita da quella a-simmetrica.
Questa nuova filosofia politica d’impiego delle forze armate era attenta a minimizzare il ricorso ai “boots on the ground”. Cosa possibile sulla premessa della supremazia tecnologica degli States. È stata l’utopia militare occidentale del dopo URSS: ovvero l’assenza di avversari di pari livello. Poi il risveglio dell’Orso russo e della Repubblica Popolare Cinese cambieranno il quadro.
Restava, merita ripeterlo, una costante del pensiero bellico di Usa/Occidente: il pieno dominio dei cieli. In democrazia serve per annientare il nemico (shock and awe in dottrina; Desert Storm in pratica) onde ridurre le perdite di cittadini/elettori; dunque di consenso.
La Rivoluzione negli affari militari (RMA nell’acronimo inglese)
Essa nasce tra la fine del Novecento e gli albori del Duemila per adeguare le forze armate degli Usa alla discontinuità tecnologica È la “guerra basata sulle informazioni” sia per il controllo del nemico che per colpirlo con la massima precisione”. Ha un lato utopico: la “CNN war”, la guerra a zero morti (propri).
La logica è quella sistemica. Suo concetto è l’applicazione al campo di battaglia degli sviluppi informatici. Così in linea di principio le forze armate dovrebbero affiancare progressivamente modelli organizzativi a rete al tradizionale gerarchico.
Invece l’originale lettura politica della RMA la diede l’allora capo del Pentagono, Donald Rumsfeld (presidente G. W. Bush) legandola al concetto di “guerra leggera”: reparti piccoli e rapidi nell’azione; logistica più agile; fuoco aereo potente. È la teorizzazione dell’uso della forza “dopo la fine della storia”.
Il “ritorno al futuro”
Il nuovo protagonismo delle grandi potenze porta al ripensamento della “RMA politica” in stile Rumsfeld (altra cosa è la ricerca sull’effetto della tecnologia sulle forze armate sia in vantaggi che stress organizzativi e dottrinari). Data emblematica di ciò è stato l‘intervento della Russia in Georgia del 2008 che palesò la volontà di Mosca di riavere uno status imperiale che si proietta dal Caucaso all’Estremo Oriente. Basta aggiungervi la sfida della Cina per vedere come la logica del conflitto, guerreggiato o meno, cambi scala.
Certo, la presenza di a-simmetrie in contesto bellico sarà sempre possibile. Lo si è visto nella guerra delle Falkland del 1982 dove la capacità tecnologica dell’aviazione dell’Argentina produsse gravi perdite agli inglesi. Mentre fu la superiorità tecnico/organizzativa della truppe di Sua maestà sul terreno a piegare il governo Videla. Guai il sopravvalutarle, però. La controprova in Afghanistan dove il potere dell’a-simmetria bellica dell’Occidente ha mostrato d’essere insufficiente. Perché è solo un elemento della capacità militare complessiva contandovi altri aspetti politico/strategici.
Specie ora che la fase storica post-unipolare tramonta e la nuova, al di là di analogie è più complessa rispetto alla Guerra Fredda. È meno calcolabile; cioè più pericolosa.
L’evoluzione della lettura di Washington del mondo
Fu l’allora presidente statunitense G W. Bush a dare, anche simbolicamente, il senso della politica estera e militare statunitense nel mondo unipolare. Lo fece nella sua Strategia per la Sicurezza Nazionale degli Usa del 17 settembre 2002 (dopo la legge Goldwater-Nichols del 1986 più o meno una per mandato presidenziale).
Sono le idee guida che aprono per gli Usa la fase del dopo URSS. Vi si afferma infatti:
Nella Guerra Fredda, specialmente dopo la crisi dei missili a Cuba, ci siamo trovati di fronte a un avversario generalmente statico e avverso al rischio. La deterrenza era una difesa efficace. Ma la deterrenza basata solo sulla minaccia di rappresaglia ha meno probabilità di funzionare contro i leader di stati canaglia più disposti a correre rischi, a giocare con la vita del loro popolo e la ricchezza delle loro nazioni.
Segnano il passaggio dal co-governo del mondo con un avversario leggibile (Mosca sovietica) nel comune interesse alla sopravvivenza a una nuova grammatica del confronto internazionale. Così resa:
Today, our enemies see weapons of mass destruction as weapons of choice. For rogue states these weapons are tools of intimidation and military aggression against their neighbors. These weapons may also allow these states to attempt to blackmail the United States and our allies to prevent us from deterring or repelling the aggressive behavior of rogue states. Such states also see these weapons as their best means of overcoming the conventional superiority of the United States
Oggi, i nostri nemici considerano le armi di distruzione di massa armi di prima scelta. Per gli stati canaglia queste armi sono strumenti di intimidazione e aggressione militare contro i loro vicini. Queste armi possono anche consentire a questi stati di tentare di ricattare gli Stati Uniti e i nostri alleati per impedirci di scoraggiare o respingere il comportamento aggressivo degli stati canaglia. Tali stati considerano anche queste armi come il loro miglior mezzo per superare la superiorità convenzionale degli Stati Uniti
È il passaggio dall’ordine bipolare al quello unipolare. Restava la tradizionale volontà di mantenere l’egemonia globale degli States a 360° (pure verso i paesi occidentali); poi l’accessibilità agli idrocarburi nel Golfo Persico (oggi oggetto di revisione parziale esportando gli Usa “energia”). Una priorità durante la Guerra Fredda. Difatti la si ritrova nella Dottrina Carter del 23 gennaio 1980 che ribadiva la necessità militare degli Usa di presidiare la geoeconomia del petrolio.
Persa l’URSS l’immagine del nemico si balcanizzava nei molti volti del terrorismo e degli “Stati canaglia”. Di conseguenza, il Pentagono adattava il suo approccio al conflitto a-simmetrico che pareva pretendere a scena del nuovo secolo.
A riportare in auge il confronto, compreso il conflitto, tra potenze simmetriche è l’esaurirsi di questo progetto, che avrebbe dovuto portare la NATO all’estremo confine orientale tra la Russia e una Cina integrata nell’ordine commerciale occidentale. Il controllo dell’Eurasia torna loro affare.
Teoricamente il passaggio di fase lo fa la cultura militare statunitense col concetto di “operazioni multi-dominio” che aggiorna la RMA all’evoluzione tecnologica. Inoltre, specie dopo l’Ucraina, il Pentagono ragiona su confronti militari simmetrici (Army 2030/2040).
5.1 Il ritorno al passato
Cambia perciò la filosofia militare a Washington e per ricaduta degli alleati. Lo si rileva dall’evolvere nel tempo del “Concetto Strategico” della NATO. Quello del 2022 abbandona l’ottimismo post Guerra Fredda che, come detto, perfino postulava una Mosca collaborativa però priva di ambizioni globali.
Il mondo Atlantico pare superare un approccio alle Forze Armate – l’espressione è di Muti dell’Istituto Affari Internazionale (IAI) – “da spedizione”: cioè orientato al crisis management e alla tutela della legalità internazionale in ambiti operativi a-simmetrici. È il contesto emergente a chiederlo. È un lento ritorno al “prima della fine della storia”.
Una questione aperta è se sia recuperabile, con i dovuti aggiornamenti, il livello di capacità militare di Usa/NATO che raggiunse lo zenith all’inizio al contempo della I^ Guerra Irachena e del collasso dell’URSS. O, almeno, se sia un obiettivo raggiungibile dinnanzi alle sfide del presente. Difficile nell’immediato.
In materia Mark Milley (chief of staff of the Army dal 2015 al 2019 e poi Chairman of the Joint Chiefs of Staff dal 2019 al 2023) e Eric Schmidt (già CEO di Google e coautore con Daniel Huttenlocher e Henry Kissinger di L’era dell’Intelligenza Artificiale) danno un resoconto piuttosto allarmato della capacità militare degli Usa. Che abbisogna di un generale ripensamento per adattarsi alla rapida evoluzione tecnologica (una sorta di RMA 5.0).
Certo, gli Usa, quindi l’Occidente, restano superiori in mare (Gruppi da Battaglia Portanti e tecnologia sottomarina) e in cielo. Nondimeno, a conforto dei timori di Milley e Schmidt, la prima è sfidata dai missili navali (Cina) e la seconda, pur permanendo, è a sua volta a rischio. In ragione di ciò potrebbero esserci, per molti analisti, problemi sia sul teatro atlantico che pacifico. La qualcosa, anche semplicemente in termini di deterrenza, potrebbe essere piuttosto problematica.
Qui impattano aspetti militari e politici. Traducibili in Usa in rapporti tra democratici e repubblicani. Ovviamente la questione torna agli indirizzi di policy. Dove tanto più le risorse sono “politicamente” scarse e più è difficile la scelta pubblica per trovare un equilibrio efficiente tra quanto investire nelle nuove frontiere tecnologiche (il futuribile militare ha costi alti) e quanto in parziale alternativa in readiness (manutenzione e addestramento). Poi più in generale a determinare a determinare la postura estera/militare degli Usa c’è il rapporto tra warfare e welfare.
Tema difficile per le democrazie in Occidente. Negli ultimi anni è ben visibile negli Stati Uniti osservando la dialettica sulla spesa militare tra Studio Ovale, Congresso e la ghigliottina del Sequester (il dispositivo automatico di bilancio che blocca le spese quando il debito pubblico raggiunge il limite stabilito dal Congresso medesimo). Sebbene fin qui si sia evitato l’abisso con accordi bipartisan d’ultimo minuto resta che Oltreoceano c’è una fragilità di sistema politico potenzialmente dannosa per la sicurezza nazionale.
Il punto prima che di pianificazione militare o di budget è di strategia politica. Quali saranno gli obiettivi di Washington in un mondo al contempo multipolare e sempre più stretto per tutti? Certo vi sarà il ritorno alla competizione tra Grandi Potenze. Probabilmente Washington e alleati tenteranno, magari con ripiegamenti, di difendere l’attuale gerarchia internazionale guidata dagli Usa. Mission impossible? Forse, ma per una superpotenza è senza alternative.
Immagine di copertina: Tre avieri si allenano alla base di Lackland.
Alcuni riferimenti bibliografici
P. CAPITINI, M: CAMPOCHIARI, Le parole della guerra, Parabellum Edizioni, 2024
M. DEL PIERO, I neoconservatori e l’eterna Guerra Fredda, Scienza&Politica, n. 61, 2019
G. DOTTORI, Questioni di pace o guerra, Aracne, 2006
F. FUKUYAMA, La fine della storia e l’ultimo uomo, UTET, 2020
F. GIANCOTTI, Y. SHAHARABANI, Leadership nella complessità. Organizzazioni, stormi da combattimento, Guerini e Associati, 2008
M. Gilli, Il bilancio del Pentagono e le sue ambiguità, Aspenia online, 5/01/2019
A. GLUCKSMANN, Il Discorso della Guerra, Feltrinelli, 1969B. JENSEN, D. RAMJEE, Beyond Bullets and Bombs: The Rising Tide of Information War in International Affairs, Center for Strategic and International Studies (CSIS)
N. LABANCA (curatore ed. italiana), Guerra e strategia nell’età contemporanea, Marietti, 1992
M. A. MILLEY, E: SCHMIDT, America Isn’t Ready for the Wars of the Future. And They’re Already Here, Foreign Affairs, september/october 2024
G. NATALIZIA, L. TERMINE, La NATO verso il 2030, il Mulino, 2023
QIAO LIANG, WANG XIANGSUI, Guerra senza limiti, LEG, 2001
J. J. MEARSHEIMER, La tragedia delle grandi potenze, LUISS, 2019
D. PETRAEUS, A. ROBERTS, L’Arte della guerra contemporanea, UTET, 2024
E. TIRONE, Russia-Ucraina e analisti fai da te, DIFESA online, 22/07
Report to President Donald J. Trump by the Interagency Task Force, Assessing and Strengthening the Manufacturing and Defense Industrial Base and Supply Chain Resiliency of the United States, September 2018
US ARMY, Multi-Domain Battle: Evolution of Combined Arms for the 21st Century, versione 2017
L’articolo Gli Usa alla fine della fine della storia proviene da ytali..