Non ha sentito parlare di vetro per decenni, quasi nessun interesse per quel materiale e poi la scalata all’Olimpo internazionale. Dove si trova tutt’ora. L’ultima fatica di Marino Barovier è stata la cura, nelle Stanze del Vetro (Fondazione Cini, Venezia), della mostra dedicata alla presenza del vetro muranese alle Biennali tra il 1912 e il 1930. Sono esposte 135 opere, alcune rarissime, provenienti da importanti istituzioni museali e collezioni private. La mostra – chiusura mercoledì – è visitabile gratuitamente, come tradizione, fino al 24 novembre di quest’anno.
Le Stanze del Vetro sono uno dei momenti imperdibili nel caotico e informale calendario espositivo della città. Capacità e sapienza del curatore raccontano la prima tappa di un periodo glorioso di quella che viene chiamata arte applicata delle vetrerie muranesi. Come si sa, la Biennale d’Arte non ha più uno spazio dedicato esclusivamente al vetro: tutto si è fermato al 1972. E sarebbe il momento di ripensare a questo distacco accogliendo magari l’appello di David Landau – che con Luca Massimo Barbero, Marino Barovier, Rosa Barovier Mentasti, Jean-Luc Olivié, Valerio Terraroli e Giorgio Vigna è membro del comitato scientifico delle Stanze del Vetro – appello lanciato qualche tempo fa sulle pagine del Sole24ore perché La Biennale d’arte ritorni a esporre i capolavori vetrari.
Marino Barovier è stato uno dei maggiori commercianti d’opere d’arte in vetro del paese e non solo. Ha smesso questa attività nel Duemila e da allora si dedica alle mostre. Prima delle ”Stanze del Vetro” ha preparato esposizioni a Venezia, Brescia, Milano, Bruxelles, Parigi; a New York e nei più importanti musei degli Usa. L’avventura veneziana delle stanze del vetro arriva da una delusione: la Regione Veneto tempo fa chiese a Marino Barovier consigli per vincere il momento difficile di Murano. Marino ha già pronto il progetto: il museo vetraio di Murano dove esporre il vetro del Novecento e farlo conoscere, poi si deve operare col vetro contemporaneo; e la Biennale deve ripristinare la presentazione del vetro di Murano.
Gli fanno sapere che sono idee stupende. Ma non succede niente. Marino torna alla carica spiegando che un suo amico – collezionista dei più bei vetri del mondo – avrebbe prestato tutto per anni a Venezia. E che David Landau, stabilitosi in laguna, avrebbe regalato la sua intera collezione. Niente ancora. Fallisce così l’idea di dare vita al più importante museo vetraio del mondo
Tutto questo lavoro produce qualche risultato comunque. Barovier riesce a recuperare l’intero archivio cartaceo della Venini, collocato grazie a Pasquale Gagliardi, nello spazio della Fondazione Cini; dove David Landau metterà il suo capitale e i suoi materiali.
Alle Stanze del Vetro – spiega pacato Marino Barovier – una decina di persone opera gratis e mette il proprio denaro per queste mostre. Servono decine di centinaia di migliaia di euro.
Si parla di una movimentazione di quasi una decina di milioni per ogni mostra. In questa si mette in luce un periodo in cui il vetro muranese trova progressivamente spazio, prima attraverso gli artisti che hanno scelto di impiegare questo straordinario materiale per le loro opere. Poi grazie all’apertura della Biennale alle arti decorative, che fino al 1930 sono state accolte nei vari ambienti del Palazzo dell’Esposizione insieme alle arti cosiddette maggiori. La mostra a San Giorgio è accompagnata da un catalogo curato da Barovier e Carla Sonego che narra l’intenso periodo creativo anche con una approfondita indagine documentaria nell’Archivio Storico della Biennale.
La storia di Marino Barovier ha le radici nell’attività di suo nonno Adiceno. “Lo chiamavano Diego o Ceno” spiega il nipote. Adiaceno è in divisa nella guerra 15-18. Quando torna, i due fratelli (Giacomo ed Ercole, quest’ultimo famoso in tutto il mondo, abilissimo designer) lo considerano “vecchio” per la fabbrica. Adiaceno non demorde e nel 1921 si trasferisce alla Capellin-Venini dove direttore artistico è Vittorio Zecchin. A un certo punto Venini si sposa e l’amico del cuore Capellin si sente tradito: i due si separano.
Nonno – ricorda Barovier – resta con Zecchin e Giacomo Capellin, imprenditore perfezionista (il sabato andava in fabbrica e se vedeva vasi imperfetti li spaccava tutti) che però fallirà.
Anche Mario, il papà di Marino Barovier, è nel settore ma quando Capellin chiude passa alle Assicurazioni Generali. Col vetro sembrava finita per tutti.
E mai cominciata per Marino che confessa:
Fino alle superiori non sapevo nemmeno dell’esistenza delle vetrerie; e papà non mi aveva mai parlato del nonno. Non sapevo di “essere un Barovier” di quella famiglia. I miei compagni mi chiamavo Marino Rasa, il cognome di mia madre.
È con la moglie Marina che aprirà un piccolo negozio a Mestre nel 1983, mentre opera ancora nel settore delle spedizioni. Un modo di trovare un nuovo percorso per la quantità di vetri che si erano trovati ni casa, di papà e del nonno; tra cui tantissime opere firmate Carlo Scarpa.
Non sapevo nemmeno cosa valessero. Non esisteva quasi il mercato del vetro come lo conosciamo ora.
Dopo la breve esperienza di Mestre Marino e la moglie passano a San Samuele, una nuova galleria. E nell’imprenditore si accende la passione di studioso. Barovier passa in rassegna i cataloghi di tutte le vetrerie, cerca e si documenta fino a quando, nel 1991 prepara – finanziando tutto lui – la mostra e il catalogo “Scarpa e i vetri di Murano”. Lo aiutano Francesco Dal Co, la cugina Rosa Barovier Mentasti e Giandomenico Romanelli. E Nini, moglie di Carlo Scarpa. Perfino le foto con l’Hasselblad sono di Marino Barovier.
Quasi nessuno – dice candidamente – sapeva che il grande Carlo Scarpa avesse fatto vetri strepitosi. Dopo saranno i giornali a chiamare la galleria Marino Barovier. Copertine di Panorama, l’Espresso.
Alla fine saranno quasi quaranta i libri e i cataloghi firmati da Marino Barovier.
Ora che ha smesso di fare il mercante confessa uno dei suoi segreti:
Possedere le cose più belle. Scandagliavo antiquari, aste importanti. Compravo interi magazzini. A New York oggetti incredibili in vendita, acquistati a Venezia da americani che spesso però non capivano, erano solo facilitati dal dollaro pesante.
In un libro di qualche decina d’anni fa, aperto a caso, la foto di un vaso da lui comprato per 250 milioni di lire (quanto un appartamento) rivenduto subito dopo. L’occhio si posa su un altro vaso, di Zecchin. Chiede a brucia pelo quanto valga. Buttiamo lì: 180 milioni di lire? No, 700. Stesso errore fatto con un vaso di Scarpa. Perché? “Nessuno rifarà più oggetti del genere”.
L’altro segreto è l’equilibrio difficile con il mondo dei collezionisti: un rapporto complicato, sono smaniosi, compulsivi. Barovier racconta una sola storia:
Mi chiama anni fa un anziano collezionista, industriale alimentare. Non voleva lasciare i vetri ai figli: non capiscono niente, mi fa. Ricompro tutto io, rispondo. Il giorno dopo ero da lui col camion e avevo già trovato i tre milioni di euro che mi chiedeva. Ma sapevo anche a chi rivendere tutte quelle opere.
Quando non cura mostre (sta già lavorando alle prossime esposizioni per le Stanze del Vetro) o prepara cataloghi, Marino Barovier è impegnato con le sue quattro barche e le auto da rally. Da poco ha ricomprato una storica Lancia Fulvia HF 1300. Poi cura l’ Alphine Renault e una Dino Ferrari. Ma per il Lido la domenica lo si vede con una Renault 4.
All’occorrenza – sorride – smonto e rimonto motori e cambio. Ci riesco quasi sempre da solo.
L’articolo Murano alla Biennale. Incontro con Marino Barovier. proviene da ytali..