È la storia di un uomo che sul suo barchino percorre in lungo e in largo la laguna alla ricerca delle origini romane di Venezia… È la storia delle persone che quell’uomo, Ernesto Canal, lo hanno conosciuto e aiutato nelle sue ricerche, coinvolti dalla sua passione… È la storia di uno scavo, diretto dall’Università Ca’ Foscari e portato avanti dagli studenti di archeologia, che senza il lavoro di Canal forse non sarebbe mai stato fatto, e di una villa romana che forse non avrebbe mai rivisto la luce, continuando a riposare, silenziosa, sottoterra e nei fondali della laguna… È la storia di un territorio naturale a molti sconosciuto ma di grande bellezza che da secoli, millenni, accompagna e sostiene la vita degli esseri umani che lo abitano…
Sono questi alcuni dei temi, delle storie, che compongono Panorami Sommersi, un documentario archeologico d’autore, una piccola perla e un progetto tutto veneziano, pensato e voluto da Controcampo, casa di produzione con base a Venezia, con il supporto di Kublai film e il sostegno della Veneto Film Commission, per la regia di Samuele Gottardello. Un film nato da un’intuizione di Pierandrea Gagliardi, dopo una sua intervista a Ernesto Canal, grande figura ben conosciuta e stimata a Venezia, archeologo autodidatta, scomparso nel 2018, per tutta la vita mosso, con impegno e costanza ineguagliabili, da un grande amore per sua città, la sua storia e il suo territorio.
Panorami Sommersi, dopo la partecipazione e un’ottima accoglienza a diversi festival di film archeologici, è nei cinema: è uscito a Venezia, a Mestre, dove ha ricevuto un’accoglienza entusiasta, e altre date sono previste e in programmazione (tutte le date aggiornate sul sito panoramisommersi.it). Dopo il cinema, il film approderà e sarà visibile nelle piattaforme online. Che sia al cinema o a casa, per chi ama Venezia, l’archeologia e la storia, o solo le belle storie, che non trasmettono solo informazioni ma anche emozioni, è da vedere.
Di Panorami Sommersi parliamo, qui, con il regista Samuele Gottardello.
Iniziamo da qualcosa di personale, tuo. Sul sito di Panorami Sommersi c’è una tua breve testimonianza in cui dici: “Spero di restituire a chiunque guarderà questo film l’amore che ho provato nel girarlo.” Parlami di questo amore, di cosa ti ha spinto a girare questo documentario…
Prima di tutto, sono un grande appassionato di archeologia, penso di essere una specie di archeologo mancato! Poi l’idea di fare un film che riguardasse la laguna di Venezia mi ha attratto fin da subito. Inoltre, mi interessano moltissimo le storie cosiddette minori, e quella della laguna nord è una storia minore, rispetto alla storia di Venezia che un po’ tutti conosciamo, con il mito fondativo delle genti dell’entroterra che scappano dagli unni di Attila e popolano un territorio vergine. Per tutti questi motivi sono stato subito affascinato dalla figura e dalla narrazione di Ernesto Canal, che è protagonista e ispiratore del documentario. E non solo del film: anche del lavoro degli archeologi di Ca’ Foscari. Perché se non ci fosse stato lui a girare in barchino per laguna e barene, a cercare e cercare con il suo sondino, non si sarebbe scoperta la villa romana di Lio Piccolo né le molte altre strutture che testimoniano la presenza romana nella laguna di Venezia nel I secolo dopo Cristo, ben prima di quando quei territori venivano considerati ufficialmente antropizzati.
Quindi sei stato spinto da un amore verso le storie minori, l’archeologia e la storia…
E anche da un grande, grande amore verso la natura. Perché Venezia offre una parte naturale spesso trascurata ma bellissima, straordinaria, che ti cattura e ti fa innamorare. Parlo della mia esperienza personale, ma quando cominci a girare la laguna, guardi le stelle di notte o prendi il sole d’estate, scendi a fare due passi nell’acqua trasparente, condividi l’ambiente con gli animali, i pesci e uccelli selvatici che la popolano, è qualcosa di splendido, che ti fa stare bene.
Esattamente, com’è nato il film?
È nato grazie a un’idea di Pierandrea Gagliardi, alle intuizioni e informazioni venute fuori da un suo lavoro precedente, l’ultima intervista a Ernesto Canal. Pierandrea era andato a intervistarlo a casa sua e Canal gli aveva parlato delle sue ricerche e scoperte. Canal era una figura notevole: si è girato tutta la laguna con il sondino, dove toccava diceva: qua sotto c’è qualcosa, c’è questo, c’è quello… Ma non usava solo il sondino, e nel documentario lo raccontiamo. Raccontiamo come Canal, con la sua passione, la sua dedizione e gentilezza, si fosse creato una serie di collaboratori informali, come i sommozzatori amatoriali e i pescatori, che gli riferivano dove le loro reti facevano le “tegnue”, cioè si incagliavano. E questi collaboratori, che erano i suoi occhi per vedere sott’acqua, gli confermavano o meno quello che lui aveva trovato con il sondino. Nel corso degli anni, Canal ha pubblicato molto materiale, ha scritto articoli, un libro enorme, Archeologia della laguna di Venezia, ma la verità è che le sue intuizioni e teorie, che cominciò a divulgare già dagli anni Sessanta, per lungo tempo non vennero prese molto in considerazione dalla parte più istituzionale della ricerca storica e archeologica a Venezia.
Quindi la vostra idea iniziale era un documentario che partisse dalla vita e dalle ricerche di Canal. E poi c’è stata una bella coincidenza, giusto?
Proprio quando abbiamo cominciato a lavorare sul progetto del documentario ci è arrivata la notizia che un professore di Ca’ Foscari, Diego Calaon, aveva ottenuto il permesso di scavare a Lio Piccolo: tra tutti i posti che Canal aveva segnalato, riteneva fosse quello in cui si poteva fare una ricerca proficua. Ci siamo subito messi in contatto con lui, lui ha accettato entusiasticamente di collaborare e abbiamo deciso di inserire le riprese degli scavi all’interno del progetto.
Sono interessantissime le riprese dello scavo di Lio Piccolo. Quanto ci avete messo a girarle?
Lo scavo che abbiamo seguito è stato fatto nel 2022 ed è durato circa un mese. Ci hanno lavorato gli studenti del corso di archeologia, coadiuvati da vari professori. Inoltre c’è stata una parte di scavo subacqueo, col quale hanno indagato le parti sommerse o scomparse della villa. Perché tutta una parte della villa è sprofondata. La laguna è in continuo mutamento e la villa, al tempo, era orientata in maniera diversa rispetto al canale di oggi. La parte scavata su terra da Ca’ Foscari è una parte di servizio, i magazzini del sale e del pesce, presumibilmente.
Nel documentario Calaon spiega come l’ipotesi più plausibile è che lì, una zona che si considerava disabitata, vi fosse invece, diciamo, una vera e propria azienda, con delle saline e un allevamento di molluschi…
Esatto. E pensa che dall’altra parte del canale, rispetto agli scavi, c’è un isolotto che è stato chiamato fino agli anni Sessanta “le saline”. Per dire, la sapienza popolare spesso non mente! E aggiungo due parole sugli abitanti di Lio Piccolo, una comunità straordinaria, tutti consci del luogo in cui vivono, e non intendo solamente un posto straordinario da un punto di vista naturalistico. Sanno che c’erano i romani, là, perché da sempre sono in contatto con i reperti, fisicamente. Si tramandano i racconti di quanti andavano a fare il bagno in laguna e trovavano reperti, e molti se li portavano a casa. E così c’è magari una famiglia che da generazioni ha una statuetta di fianco alla fontana, trovata dal bisnonno o dal trisavolo, ed è un reperto romano! Quando lo hanno comunicato a Calaon o qualcun altro della soprintendenza, questi sono rimasti a bocca aperta. Fino a poco tempo fa, aderendo al mito fondativo di Venezia, al mito del territorio vergine, certi ritrovamenti erano sminuiti, si riteneva fossero solo oggetti gettati da barche di passaggio provenienti da Altino, mentre invece testimoniano di una presenza romana stabile in quei luoghi.
Dicevi che i filoni narrativi maggiori di Panorami Sommersi sono la storia di Ernesto Canal e la storia degli scavi. Quali sono le altre storie, gli altri protagonisti?
Si sono aggiunte le storie e i ritratti di quanti attorno a questi due filoni narrativi ruotano, penso in particolar modo al pescatore Marino Rossi, caro amico e collaboratore di Ernesto Canal. Che, tra parentesi, è colui che ha fatto i video, inseriti nel documentario, di Canal sul suo barchino… Ma di personaggi ce ne sono molti, anche molti di più di quelli che ritroviamo nella versione finale del documentario: a malincuore abbiamo dovuto fare delle scelte, per questioni di durata. Lo dico un po’ seriamente e un po’ scherzando, ma forse il documentario per essere esaustivo avrebbe dovuto durare il doppio, perché gli argomenti da trattare e i personaggi erano molti. Tuttavia, un documentario come Panorami Sommersi aveva bisogno, ed è stata una mia scelta stilistica, di un determinato ritmo. Secondo me il compito di Panorami Sommersi era aprire una piccola finestra su un mondo poco conosciuto e questo andava fatto nella maniera il più possibile rispettosa di quel mondo, ma anche delle regole della divulgazione, per creare un’informazione piacevole. Ne è nato un documentario che in certi momenti comunica anche molte informazioni tecniche e storiche, ma in altri si abbandona a dei bei viaggi musicali e visuali; una scelta a metà strada tra il documentario di informazione e il documentario d’autore di ampio respiro.
C’è stato molto lavoro di preparazione alle riprese?
Il lavoro fatto insieme a Controcampo è stato veramente ampio, e girare un documentario in cui si fa ricerca è impegnativo, il regista e la troupe vengono messi alla prova. La caratteristica dei documentari più classici, più informativi è che hanno una sceneggiatura: vengono prima scritti e poi girati. Il nostro documentario non è di questo tipo. Sì, abbiamo scritto un soggetto, che era il nucleo centrale, sulle ricerche e la figura di Ernesto Canal e le riprese degli scavi. Poi però è iniziata la ricerca, con giorni e giorni di sopralluoghi, e seguendo le tracce di Canal siamo andati a parlare con molti dei suoi collaboratori. Non li abbiamo intervistati tutti, ma abbiamo inserito nel documentario le persone con le quali abbiamo sviluppato un rapporto, un rapporto personale.
Puoi spiegarti meglio?
Il paragone sembrerà forse un po’ forzato, però quando un team di antropologi va in un luogo inesplorato, oltre a chiedere il permesso agli abitanti locali di riprenderli instaura anche un rapporto, di fiducia e di amicizia. Quando poi si gira, se questo rapporto funziona, non si ottengono solo dati di ricerca ma anche una parte visuale documentaria interessante. Panorami Sommersi è stato fatto con questo tipo di metodologia, un approccio di studio rispettoso delle persone che siamo andati a conoscere e incontrare. Le interviste sono il risultato di molte uscite e molti incontri, anche solo per conoscersi e parlare davanti a un bicchiere, a un piatto di cibo o a un caffè. Anche in queste giornate di sopralluogo, tuttavia, avevamo sempre camera e microfono e se c’era l’occasione si girava, senza troppi allestimenti. Per questo, nel documentario, spesso troviamo delle riprese molto naturali, perché le persone ci parlavano delle loro cose mentre si instaurava un clima familiare, in cui si stava bene assieme. Da questo punto di vista, è stata una bellissima avventura umana. E oltre alla relazione con gli esseri umani, c’è la relazione con il territorio, affascinante ma non sempre di facilissima fruizione.
È stato impegnativo girare in laguna?
Da Mestre, da dove partivamo, ci si mette molto ad arrivare a Lio Piccolo, e lì la luce giusta c’è la mattina presto o la sera al tramonto, quindi ci sono state molte sveglie all’alba e ritorni di notte: abbiamo girato gli scavi per un mese, e prima e dopo tutto il resto. Ma ripeto, l’alba e il tramonto a Lio Piccolo sono dei momenti eccezionali dal punto di vista fotografico: la luce è magnifica con il sole che dà delle tinte rossastre all’acqua e alla vegetazione… E poi siamo andati anche di notte. Il film comincia infatti con una sequenza notturna, in cui abbiamo voluto seguire Marino Berton, il pescatore che pesca alla sua maniera, con la lampara. È stato emozionante girare quella sequenza, in barca con lui, con la luna che sembra un faro, un cerchio bianco che si riflette nell’acqua, e attorno tutto buio e il suono quasi assordante dell’acqua e degli uccelli e animali notturni… La laguna, anche di notte, è vivissima.
Un’ultima curiosità: com’è nata la scelta di coinvolgere anche un disegnatore, Lele Vianello?
Non amando molto le ricostruzioni in 3D dei documentari, perché le trovo troppo pulite e fredde, ho pensato di coinvolgere un disegnatore, per illustrare con delle tavole le eventuali ricostruzioni che avremmo dovuto fare. Così abbiamo iniziato a vagliare alcuni illustratori veneziani e il nome di Lele Vianello mi sembrava di conoscerlo. Ho allora scoperto non solo che è stato amico e collaboratore di Hugo Pratt, ma anche l’illustratore della Storia illustrata di Venezia. Si tratta di un libro che per me, come anche per Marco Paladini, il giovane archeologo che nel documentario dialoga con Vianello mentre questo ricostruisce la villa ritrovata, ha un grande valore: è un libro della nostra infanzia, io ricordo di avere passato ore e ore a sfogliarlo quando ero bambino. Così è nata questa collaborazione, ed è stata fantastica. Vianello abita a Malamocco, nello stesso condomino dove abitava Hugo Pratt, in una casa-studio meravigliosa piena di fumetti, materiale da disegno, libri di documentazione. Ed è una persona molto affabile, che ha avuto una vita incredibile. Gli aneddoti con Hugo Pratt sono pazzeschi, giravano insieme il mondo in viaggi avventurosissimi… Se mai dovessi fare uno spin-off di Panorami Sommersi, sarebbe su di lui!
Samuele Gottardello, oltre che regista, è anche musicista: qui l’intervista in occasione dell’uscita del suo secondo lavoro da solista con il progetto Blak Saagan, “Se ci fosse la luce sarebbe bellissimo”, ispirato al caso Moro.
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