[CHAPEL HILL, N.C.]
Quand’ero più giovane (molto più giovane), avevo una vera paura delle api. Da bambino sono stato punto, e mi ha fatto male, un paio di volte (mi sa che e api del Nord sono piuttosto aggressive, come i newyorkesi con cui sono cresciuto) e da allora sono diventato fobico nei loro confronti.
Vivendo qui in North Carolina, più avanti negli anni, in un quartiere molto boscoso e in una casa con un ampio giardino (la passione di mia moglie), le api sono ovunque e mi ci sono abituato. In realtà, più ho imparato a conoscerle, più ho preso a voler loro bene, e cerchiamo intenzionalmente di attrarne una gran varietà, con tutte le nostre piante da fiore, e conviviamo tutti benissimo.
C’è un nido di api operaie nel soffitto sopra la porta d’ingresso del mio studio, che entrano ed escono dai loro buchi perfettamente simmetrici nel mio legno. A loro piace comportarsi in modo aggressivo, soprattutto perché non possono pungere e sono indifese, e quindi compensano esagerando nel loro comportamento da bulli. Sono molto grandi e ti volano in faccia. Be’, mi sono stancato perché è il mio studio e ho imparato in fretta che se facevo anche la minima mossa ostile verso una di loro, si disperdevano e volavano via, e poi aspettavano che fossi entrato prima di tornare. Avevo già provato una serie di metodi non letali per liberarmene, ma tornavano ogni anno da oltre un decennio nonostante tutti i miei tentativi.
E allora, invece, di cercare di liberarmene, sono diventato aggressivo con loro e ho rivendicato lo spazio della mia porta come mio, gli vado incontro a brutto muso, e col tempo abbiamo raggiunto una sorta di détente. Loro vanno e vengono, io vado e vengo, e ci lasciamo in pace.
A dire il vero non ci avevo mai pensato, a questa dinamica, finché non sono stato toccato – letteralmente – da un recente incontro con un bombo solitario che aveva scelto anche lui il mio studio come rifugio. L’ho trovato immobile, qualche giorno fa, sul muro esterno del mio studio, proprio di fianco alla porta. Era vivo, lo capivo perché si spostava in punti leggermente diversi sul muro. Ma per lo più se ne stava lì fermo.
Ero curioso di vederlo da vicino e non si è mosso quando mi sono parecchio avvicinato per guardare com’era fatto.
Gli ho parlato come incontrato per caso, chiedendogli che ci facesse lì. E mi sono ritrovato a salutarlo, per tutta la giornata, mentre entravo e uscivo dallo studio. Il giorno dopo si era spostato sul gradino davanti alla mia porta, col rischio di farsi calpestare accidentalmente. Gliel’ho anche detto un paio di volte: “Ehi, amico, questo posto è proprio brutto per passarci il tempo”. Ma è rimasto lì, e ho deciso senza tanto pensarci di provare a spostarlo. Mi sono avvicinato e ho cercato di prenderlo tra i miei due indici. Non è volato via né ha cercato di evitarmi, ma non sono riuscito a tenerla saldamente.
Poi è successa la cosa più straordinaria. Mentre mi accovacciavo lì davanti al bombo, che era rivolto direttamente verso di me, ha allungato la zampa anteriore destra, quella più vicina a me, nella mia direzione e l’ha tenuta tesa verso di me. Ho messo il mio dito accanto alla sua zampina protesa, che ha immediatamente messo su di me. Ho sentito una forte vibrazione elettrica attraverso la zampa dell’insetto che si è issato su sul mio dito, afferrandolo con tutte le zampe.
Nello spostarlo di qualche metro dove ci sono terra e vegetazione, all’improvviso mi è tornato alla mente come un tempo avevo paura delle api, mentre il bombo ronzava per la tensione. L’ho posato velocemente e l’ho rimesso in posizione verticale nel verde, e se n’è andato immediatamente.
È stato un insolito momento di connessione, tra il bombo e me, in quell’istante. Sebbene un bombo non sia ovviamente dotato del tipo di ragionamento linguistico che usano gli umani, è comunque chiaro che ha preso la decisione di fidarsi di me, e io di lui. Si è arrampicato sul mio dito di sua spontanea volontà.
In un certo senso, ne sono rimasto davvero toccato. Mi ha fatto venire in mente una vecchia storia del grande Dr. Seuss (What Was I Scared Of? Di cosa avevo paura?), quella del ragazzo che (mentre va a prendere degli spinaci Grin-itch) incontra un paio di pantaloni verdi vuoti senza nessuno dentro, e ne è assolutamente terrorizzato finché non si rende conto che i pantaloni hanno paura di lui tanto quanto lui di loro. È così che ci siamo sentiti il bombo e io.
Il tema più ampio della sensibilità degli animali e degli insetti non è solo di grande interesse, ma riflette anche in una certa misura quel pregiudizio umano che, nel corso dei millenni, ci ha lasciato continuamente stupiti dal fatto che gli umani non siano gli unici a pensare e provare emozioni su questo pianeta, e che forse questo pianeta non sia nemmeno l’unico nell’universo ad avere vita.
Molte persone che hanno trascorso del tempo con gli animali, e non intendo solo cani e gatti, non potranno che confermare la capacità di quegli animali di comunicare, ragionare e provare emozioni, a modo loro. Sono sempre più numerose le prove che questo vale anche per il mondo degli insetti. In uno studio, ad esempio, si è scoperto che le api scelgono di giocare con una piccola palla di legno per puro divertimento.
Qui a Chapel Hill, posso solo dire che le api e io avevamo paura, io di loro, loro di me. In qualche modo, attraverso meccanismi non ancora compresi, ma che sono comunque molto reali nella mia esperienza, siamo arrivati a capirci a vicenda. E apprezzo la loro presenza.
Imagine di copertina: Bombo della North Carolina (Photo by Zachary-Chaz McMurdie, Unsplash)
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