Eroici! è il titolo del docufilm con cui il Corriere dello Sport ha voluto celebrare il proprio secolo di vita. “Eroici!” come gli Azzurri di Bearzot nella finale di Madrid contro la Germania Ovest, quando si laurearono campioni del mondo al termine di un torneo iniziato nel peggiore dei modi, fra lo scetticismo generale e polemiche che oggi ci sembrano grottesche ma all’epoca indussero i giocatori a rifugiarsi in un salvifico, quanto necessario, silenzio stampa per sottrarsi alle pressioni di un giornalismo già allora incattivito che li descriveva come finiti e metteva costantemente in discussione tutte le decisioni del commissario tecnico. Un nome su tutti: Paolo Rossi. Adesso è considerato un eroe nazionale, ma andate a vedere cosa scrivevano su di lui anche fior di editorialisti prima del pomeriggio del Sarriá, quando stese il Brasile con una tripletta e ci proiettò, di fatto, verso la conquista di un sogno che pareva utopico alla vigilia del torneo.
Eroici!, dunque: è il titolo che scelse per l’edizione del 12 luglio 1982 un direttore di nome Giorgio Tosatti, che quel giorno fece registrare un record di vendite (quasi 1.700.000 copie) battuto solo ventiquattro anni dopo dalla Gazzetta, in occasione del trionfo degli Azzurri di Lippi a Berlino.
Partiamo, dunque, da qui per descrivere un quotidiano che è parte del nostro costume, della nostra storia e della nostra stessa vita; un quotidiano alla cui fondazione, oltre a un fior di sportivo come Alberto Masprone (di cui ricorre il sessantesimo anniversario della scomparsa), contribuì anche Enzo Ferrari, il mitico “Drake” di Maranello, e che ha avuto al timone, oltre al già menzionato Tosatti, fuoriclasse come Antonio Ghirelli e Italo Cucci. Sono stati loro a imprimere le svolte decisive. Ghirelli, napoletano, giochista, al pari dell’amico e collega Gino Palumbo (entrambi contrapposti al risultatista nordico Brera), partenopeo come lui e per anni direttore della Gazzetta, regalò al Corriere la sua fantasia impagabile e il suo rigore teutonico, allargando lo sguardo ad ambiti contigui allo sport ma fino a quel momento ignorati dalla stampa specializzata. Basti pensare all’attenzione che dimostrò verso la conquista dello spazio, alla passione che riservò agli astronauti della NASA, al trasporto con cui si dedicò alla rinascita dell’Italia e ai suoi simboli più significativi, da Berruti a Gimondi, fino all’interesse che manifestò nei confronti del pugilato: memorabile, a tal proposito, il racconto della vittoria di Nino Benvenuti contro Emile Griffith al Madison Square Garden di New York. Poi fu la volta di Tosatti, figlio di Renato, firma di punta di Tuttosport nonché vittima della tragedia di Superga, mentre tornava da Lisbona dove si era recato al seguito del Grande Torino. Di Tosatti ho sempre ammirato lo stile, la schiettezza, la profondità d’analisi, il suo modo di narrare ai limiti dell’epica: un misto di Omero e Tucidide, la lirica e la storia, senza tuttavia perdersi in fronzoli, sempre moderno, brioso, al passo coi tempi. Tosatti seppe trasformare l’avventura dell’”Armata Brancazot”, com’era stata spregiativamente ribattezzata, in una sorta di ritorno a Itaca, un viaggio degli eroi verso la meta, più forti di ogni tempesta, delle molteplici traversie, dell’arroganza dei proci e della tentazione di tirare i remi in barca. “Oggi è bello essere italiani” scrisse nell’editoriale summenzionato, esortando Zoff ad alzare la Coppa affinché il mondo la vedesse e tutte e tutti noi a essere felici per un trionfo mai come quella volta di popolo, incarnato dall’esultanza sfrenata di Pertini sulla tribuna d’onore del Bernabéu.
Cucci, infine, dopo una vita trascorsa al Guerino, con le sue due direzioni a pochi anni di distanza l’una dall’altra, ha condotto il Corriere nel nuovo millennio, conservandone la tradizione e migliorandone i contenuti, fedele a un modo di fare e di essere burbero, irriverente, sfrontato, sostanzialmente anarchico ma, al tempo stesso, ricco d’amore per un racconto corale nel quale, questa è stata la sua straordinaria intuizione, si riflette l’evoluzione del nostro stare insieme.
Volendo citare un quarto nome simbolico, senza mancare di rispetto a coloro che abbiamo tralasciato, prendiamo in considerazione Bruno Roghi, che fu direttore del Corriere in occasione dei Giochi olimpici del ’60, in una Roma vestita a festa, mentre ovunque si respirava la speranza di un’Italia pronta a volare e a godersi la sua stagione più bella.
Cento anni: un viaggio che continua e uno sguardo al futuro. È la magia del giornalismo e dello sport che, se ben fatti, effettivamente mantengono giovani.
L’articolo Corriere dello Sport: un giornale “eroico” proviene da ytali..