A un anno dalla beffa di Riyadh, 2023, l’Unesco si ripresenta a Venezia nella veste istruttoria della Missione di esperti Icomos e Iccrom. Compito: riferire al Comitato Mondiale per il Patrimonio, il WHC, lo stato del Sito “Venezia e la sua Laguna”, iscritto fin dal 1987 patrimonio protetto.
Un successo che, a quel tempo, certificava la unicità storico culturale e ambientale di Venezia per lo straordinario carattere di inscindibile unitarietà del suo patrimonio.
Ma già nel 2016 a Istanbul, 40° sessione biennale Unesco, a quasi trent’anni dallo storico riconoscimento, gli organismi consultivi Unesco – Icomos e segretariato Ramsar – proposero di includere Venezia nella Danger list. Con un rapporto tanto documentato quanto schietto. In pratica il trattamento riservato a chi è in procinto di perdere i requisiti di “autenticità, integrità e identità ”, quelli che fissano le prerogative di riconoscibilità dei siti protetti. Un onore ma anche un onere che, mentre certifica il valore, rivendica il conseguente impegno alla conservazione.
Da allora il warning è rimasto appiccicato alla città, passata indenne attraverso ben tre sessioni biennali Unesco: Krakow, Baku, Fuzhou, raccogliendo strada facendo reiterate raccomandazioni rimaste tutte senza esito. Fino alla 45° sessione di Riyadh [immagine di copertina], dove a togliere le castagne dal fuoco a Venezia ci ha pensato il Giappone.
Qui scatta la solidarietà tra due soci di rilievo del club Unesco. Il Giappone, primo per contributi e secondo per numero di siti, e l’Italia, prima per siti e seconda per contributi. Due numeri uno del campo conservazionista mondiale con prerogative di particolare riguardo. Non sembra, ma queste sono cose che pesano nelle relazioni interne tra soci Unesco, che tra loro privilegiano le ragioni di reciproco sostegno. Soprattutto da quando le rappresentanze nazionali sono strettamente incardinate al ruolo dei diplomatici di nomina ministeriale. Non quindi cultori della materia ma semplici portavoce della politica, per compito d’ufficio.
Agli organismi strettamente culturali invece, spetta semplicemente la redazione istruttoria dei rapporti tecnici. Questi poi finiscono nel circuito delle burocrazie diplomatiche nazionali dove, assieme al protagonismo individuale delle feluche nei consessi, domina la politica con tutti i suoi riti di reciprocità. Svanisce così il senso stretto del merito mentre prendono piede le ragioni della convenienza.
Nessuna meraviglia per questo! Unesco è figlia dell’ONU, e ne riproduce ormai vizi e virtù che testimoniano, in modo per fortuna incruento, l’odierno senso di impotenza rispetto ai principi universali della conservazione e alle regole per applicarli. Questo recita il mandato dell’organizzazione, fin dalla sua nascita nel 1945.
Quando, nel settembre 2023, il consesso di Riyadh delibera la espunzione di Venezia dalla Danger list, per dichiarazione di voto senza neppure aprire la discussione, significa che Venezia qualcosa infine dovrà fare per meritarselo. E così la semplice promessa funge da liberatoria.
Qui si inserisce l’intervento, in zona Cesarini, dell’amministrazione veneziana convocata d’urgenza a Riyadh. Tra i tanti aspetti critici della gestione del sito, quello proposto dalla delegazione veneziana riguarda la gestione del turismo. Quel sovraccarico quotidiano che la città subisce per accontentare le svariate categorie che dal turismo traggono nutrimento, restituendo consenso politico.
Accade però che il 2024 sia l’anno in cui l’overturismo, a partire dalle città d’arte prese d’assalto, tiene quotidianamente banco sulla stampa nazionale e internazionale. Alimentata per di più dai conflitti locali di cittadini esasperati che manifestano disagio come mai prima.
Ciò che l’Amministrazione veneziana propone all’ Unesco é l’introduzione della tassa di ingresso. L’intento è duplice: ad un tempo un deterrente all’overturismo e un escamotage per uscire dalla lista nera. Ampia l’audience internazionale per la apparente originalità della proposta. Far pagare l’ingresso per scoraggiare la visita! Curioso, premiata la promessa prima di verificare i fatti. Quanto ai risultati si vedrà. Ma tanto basta e avanza al consesso di Riyadh per espungere Venezia dalla lista. Così concludendo la sessione senza discutere. Giusto per l’ora di pranzo!
La sperimentazione pratica del “ticket” di accesso, in primavera 2024, si trasforma in un evento di marketing, che la stampa mondiale non manca di cogliere e commentare, creando attesa, resoconti e riflessioni. E tanto basta, Venezia è la prima al mondo a intestarsi la medaglia. La partita è giocata. Unesco nel frattempo tace, in attesa delle verifiche istruttorie di ottobre 2024.
Ma a Venezia si tace l’assenza di limiti di soglia all’accesso. Basta pagare, e l’ingresso in città è libero. Al punto che la sperimentazione, con tutte le decine di esenzioni, registra picchi di presenze e un successo di incassi. Per soli cinque euro entrano tutti. La misura infatti non disincentiva nessuno e nessuna pena è prevista. Accade piuttosto che accorrono in molti prima che i prezzi si alzino. Come sul mercato. Chi primo arriva meglio alloggia. Ma non c’è pericolo, qui alloggiano tutti.
Si direbbe quindi una vera eterogenesi dei fini, questo però non conta. Il mercato tira, il rispetto della forma prende il posto della sostanza, la recita ha successo. Nella vulgata dei suoi amministratori Venezia prosegue tranquillamente sulla sua strada. La prova ha funzionato per ciò che serviva. Evitare il cartellino rosso e incentivare l’economia turistica nella forma del overturismo ad oltranza che riceve impulso. Anche qui la beffa non manca, ma sul danno le opinioni divergono. Più turisti più incassi per tutti. Gli interessi del turismo non chiedono altro. Pasturare la piazza.
Questo è ciò che la missione a Venezia degli esperti WHC, in ottobre 2024, sarà tenuta a valutare con attenzione nel loro rapporto da predisporre per la 46° sessione. Unesco 2025 a New Delhi.
Ma, giunti a questo punto, la città stessa è chiamata a una insolita, quanto inevitabile, riflessione.
Stante lo stato di profonda alterazione dei caratteri di “autenticità, integrità e identità” del Sito “Venezia e la sua laguna”, unito al profondo disagio che i cittadini manifestano a oltranza, alla città è richiesto di esprimere quale opzione sia più desiderabile.
Se cioè, anche alla luce dei più recenti eventi, venga documentatamente proposto il rientro nella Danger list, o se, invece, una ennesima vittoria dell’ipocrisia diplomatico culturale dei vertici Unesco, contribuisca a protrarre sine die il degrado di Venezia e della sua laguna. A dispetto di ogni dichiarazione.
Non è difficile immaginare la sdegnata accusa di autolesionismo dei molti interessi, retrostanti lo sfacelo urbano e il degrado ambientale, che dall’overturismo estraggono rendite crescenti.
Ma potrebbe anche scattare un grande liberi tutti. Scrolliamoci il Marchio di dosso che non ci serve più! Ha ormai assolto al suo compito di marketing.
D’altro canto possiamo però supporre anche come una seria sferzata, seguita da pesanti ricadute di reputazione internazionale, possa indurre un sussulto d’orgoglio cittadino e un sano desiderio di reagire. Scuotersi dalla sottomissione al degrado mercantile senza limiti imposto dallo stato di cose in città. Riprendersi la dignità di cittadini protagonisti. Ribaltare il ruolo di spettatori passivi di uno futuro urbano sospinto verso il “parco a tema” non gestito.
Una cosa comunque la diamo per certa. Sul “test Venezia” anche Unesco si gioca una partita della sua declinante autorevolezza sulla scena internazionale.
Non si tratta di un auspicio, ma di una amara constatazione. Unesco non è più sinonimo di tutela di un sito, ma solo del suo valore commerciale. Non proprio esaltante anche per il vasto corpo diplomatico che di questo esercizio onanista si nutre.
L’articolo A chi (che) serve L’Unesco? proviene da ytali..