La quantità di affermazioni inesatte che leggo negli articoli per i giornali in materia di rapporti tra Ue e Stato membro, tra fonti europee e fonti italiane, tra politica e diritto in materia di regolamentazione delle espulsioni di immigrati irregolari e il loro rimpatrio, mi spinge a scrivere queste note ad uso interno.
L’UE è competente in forza dei Trattati in materia di diritto di asilo e quindi delle relative procedure, art. 78, par. 2, lett. d) del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea). In materia sono state emanate due direttive, la prima nel 2005, la seconda, che sostituisce la prima, nel 2013 (Dir. 2013/32/UE). Le direttive sono cogenti come i regolamenti europei, per gli stati membri, nella parte in cui contengono prescrizioni precise. Le direttive debbono essere “recepite”, cosa che l’Italia ha fatto con il d. lgs. 18/08/2015 n. 142 per la direttiva n. 32. Quindi non vi è dubbio che quella direttiva vada applicata nel nostro Paese.
La direttiva contiene procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale (asilo, stato di rifugiato) a favore di cittadini provenienti da un paese terzo rispetto all’UE. Si applica anche alle procedure di richiesta di protezione presentate alla frontiera, nelle acque territoriali e nelle zone di transito.
Tra i principi fondamentali della direttiva vi è il riferimento alla nozione di stato di origine sicuro (art. 36 e 37), che serve per individuare le situazioni in cui è possibile esaminare le domande di protezione in forma accelerata e/o svolta in frontiera o in zone di transito (art. 31, par. 8). E per poter trasferire il richiedente in quello Stato, una volta constatato che è il suo Stato di origine o con il quale il richiedente ha un qualche legame. Attenzione: al di là di tale lista e indipendentemente da essa è anche possibile per il richiedente la protezione invocare gravi motivi per ritenere che il paese in cui dovrebbe essere inviato non sia per lui un paese sicuro.
Gli Stati membri possono redigere a livello nazionale una lista di paesi sicuri, che va notificata alla Commissione europea. L’UE si limita a dettare i criteri che gli stati membri debbono applicare (la lista quindi può essere diversa da Stato a Stato) e a stabilire che tale lista va riesaminata periodicamente. I criteri sono contenuti nell’all. I della Direttiva e riguardano sia le disposizioni legislative di quello Stato, sia la loro concreta applicazione. L’Italia lo ha fatto con un Decreto interministeriale (Ministero degli Esteri ed altri).
Il Protocollo Italia-Albania dice che l’ingresso e la permanenza in territorio albanese dei migranti avviene al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea. Aggiungo per chiarezza che in quel campo in Albania si applica la legge italiana, ma non è Italia. E’ frontiera o al più zona di transito. Il che rende possibile l’applicazione delle procedure accelerate di frontiera in luogo di quelle ordinarie, che danno maggiori garanzie allo straniero.
La legge italiana (art. 28-bis del d. lgs. N. 25/2008) subordina la procedura accelerata di frontiera (applicata nel caso) – oltre ad altro – ad una situazione ricorrente per l’egiziano che ha fatto ricorso, e cioè presentazione della domanda di protezione direttamente alla frontiera o in zona di transito. Nel qual caso si richiede però – per poter applicare la procedura accelerata di frontiera e non quella ordinaria, che avrebbe comportato l’ingresso in Italia – che il presentatore della domanda provenga da un paese designato come sicuro. Si accelera l’esame delle domande, ma si introduce a compensazione questa garanzia.
La Direttiva 2013/32 – secondo l’interpretazione che ne ha dato la Corte di Giustizia (C-406/22, del 4 ottobre 2024, sentenza) – dice che gli Stati possono considerare sicuro un paese soltanto se lo è in ogni sua parte e per tutte le categorie di persone. Direttiva più severa della precedente, che vi è l’obbligo di applicare.
Il Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia di immigrazione, su ricorso presentato dall’egiziano che avrebbe dovuto essere rinviato in Egitto, ha letto il decreto interministeriale sui paesi ritenuti sicuri e sulla base di quanto lì scritto ha stabilito che l’Egitto non poteva considerarsi sicuro per tutte le categorie di persone, e quindi ai sensi della nuova Direttiva non poteva essere qualificato “sicuro”. L’egiziano non poteva essere trattenuto per essere rimpatriato e doveva essere riportato in Italia (Trib. Roma, XVIII Sezione civile, n. 42251 del 18.10.2024).
I luoghi come il campo albanese servono dunque per evitare l’ingresso nel nostro paese. Gli stranieri vengono valutati e respinti “alla frontiera” o in un’area che non è tecnicamente frontiera ma non è neppure territorio nazionale, è “zona di transito”. Con procedure accelerate e meno garantite, applicabili appunto in tali zone.
Il governo nell’ultimo Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo elenco di paesi che ritiene sicuri con decreto-legge, cioè con un atto che ha forza di legge. Ritenendo che il giudice debba applicare la legge. Il che non è sempre vero. I giudici non possono applicare le leggi italiane che sospettano di incostituzionalità, debbono sospendere il giudizio e rinviare la questione alla Corte costituzionale.
I giudici non possono applicare le leggi in contrasto con il diritto dell’Unione (in questo caso molto probabilmente con i criteri per considerare un paese insicuro), debbono disapplicarle e applicare il diritto dell’Unione. A parte la possibilità di considerare il decreto legge in questione viziato da eccesso di potere legislativo.
Se il campo albanese è stato creato, a caro prezzo, per usare le procedure accelerate di rimpatrio alla frontiera. Se queste richiedono che il paese di destinazione sia un paese sicuro. Se pochi tra gli stati di provenienza sono qualificabili come tali, voi capite che fallisce l’intera operazione.
Venendo al conflitto magistratura/politica, oltre a quanto ho scritto sull’articolo in ricordo di Giulio Regeni, aggiungo che probabilmente tutto questo nel governo si sapeva in anticipo, si sono volute creare le condizioni di uno scontro, per poter sottolineare che vi sono magistrati che fanno politica con le sentenze, che vi è uno spazio della politica che la magistratura o altri che non sia il governo non devono occupare, neppure le norme costituzionali. Per cominciare a far capire agli italiani (e ai magistrati) che la musica è cambiata.
Quanto al Ministro Nordio, è lui che interpreta male la sentenza della Corte di Giustizia, che richiede la sicurezza in tutte le parti del territorio, ed anche per tutte le categorie di persone. E che non mette a fuoco correttamente i rapporti tra fonti interne e fonti europee.
Conclusione. Occorre trattare il problema dell’immigrazione più seriamente di così.
L’articolo LA FRONTIERA (la faccenda albanese e i magistrati italiani) proviene da ytali..