Nelson Mandela ormai è solo una statua, per quanto amata, ma comunque è il faro di un mondo immaginato – anche il mondo immaginato dai palestinesi. Mandela era molto legato a loro e una delle prima persone che incontra dopo la scarcerazione è Yasser Arafat, il loro leader indiscusso.
Ogni tanto, però, la sua statua parla – questa volta attraverso il tesoriere dell’African National Congress.
L’anima non è in vendita, prima c’è la vita delle persone, e nel Dna dell’Anc – ha detto Gwen Ramokgopa, alla rivista Africa Report – noi siamo accanto ai palestinesi.
L’Anc di Mandela è al potere in Sudafrica da trent’anni. Tra maggio e agosto ci saranno le elezioni, molte questioni interne si sono incancrenite e potrebbe esserci una brutta sorpresa per l’esecutivo – ci mancava Israele e Gaza.
Pretoria è la più critica verso Israele in tutta l’Africa, ma “è anche il più grande partner in affari con loro”, dice Al Jazeera. Nel 2021 il commercio tra Israele e Africa sud sahariana è arrivato a 750 milioni di dollari – macchinari, elettronica, chimica sono state vendute dagli israeliani. Due terzi del traffico è con il Sudafrica – 129 milioni di dollari nel 2021. C’è poi anche il capitolo palestinese: l’esportazione di olio e altri alimenti verso Pretoria tra il 2009 e il 2021 ha segnato il 34 per cento in più.
Il legame tra le due nazioni è un fatto assodato. Ma il parlamento sudafricano, dopo l’inizio della guerra contro i palestinesi ha tagliato i ponti con gli israeliani, mentre la società civile sta cercando di stoppare il commercio attraverso il boicottaggio dei prodotti, dice Muhammad Desai, direttore del AfricaPalestina, un gruppo di pressione sudafricano.
Nelson Mandela in visita a Gaza, 20 ottobre 1999
“I vari stati africani hanno posizioni diverse per ragioni di tipo geopolitico, non c’è nulla di male”, dice Louis Gitinywa, analista politico in Ruanda, all’agenzia stampa turca Anadolu. “C’è innanzitutto una convenienza economica”, rilancia Lesiba Teffo, professore all’Università del Sudafrica. Israele è un partner ideale per fare affari in Africa, “per esempio è uno dei Paesi più avanti quanto ad agricoltura in un continente che lotta per la siccità, le piogge torrenziali”, dice Tighisti Amara, del think tank Chatham House di Londra. Quindi “un conto sono le questioni economiche altro conto quelle politiche in campo interazionale”.
La storia dei rapporti tra Africa e Israele è un costante fermarsi e ripartire, fermarsi e ripartire. 44 nazioni su 54 riconoscono Israele e a nessuno conviene interrompere le relazioni diplomatiche. Ora però il legame più profondo di tutti gli altri si sta incrinando, e non sarà facile riprendere le relazioni per due Stati che, per molte ragioni, sono l’immagine l’uno dell’altro. Israele e Sudafrica nel bene e nel male si sono incontrati e scontrati spesso.
Con un mini-bignami ripercorriamo alcuni punti salienti. Lo Stato di Israele nasce il 14 maggio 1948; il 28 maggio 1948, in Sudafrica, arriva al potere il National Party che impianterà l’apartheid dei neri – gli inglesi la segregazione degli africani l’avevano già inventata, ma l’idea è stata raffinata nei quarant’anni seguenti da parte dei bianchi afrikaner. Dopo un momento di scoramento, era dà poco finita la Seconda Guerra Mondiale, con i boeri gli ebrei avevano intessuto buoni rapporti. Sì, certo qualcuno era dalla parte dei neri, come Joe Slovo, ebreo lituano arrivato lì a nove anni già negli anni Trenta, comunista, in esilio dal ’63 al ‘90, e una moglie, Ruth First, ebrea, giornalista e accademica esiliata dal ’63 che morì per una bomba recapitata per posta a Maputo dai razzisti del ‘82.L’ebreaHelen Suzman era alla testa del Partito progressista che combatteva l’apartheid da sola in parlamento. Ma l’esempio da seguire (per così dire) era l’ebreo Percy Yutar, il giudice che manderà in galera a vita Mandela: per decenni la Zionist Federation and Jewish Board of Deputies in South Africa ha onorato Yutar, che fu eletto presidente della più larga comunità ebrea ortodossa di Johannesburg.
Israele comunque guardava alle nazioni che uscivano dalla colonizzazione, a lei non piaceva l’apartheid.
Quasi tutta l’Africa volta la testa dopo la guerra dello Yom Kippur del 1973. Tutto viene stravolto. Però nel ’76 il primo ministro razzista sudafricano John Vorster viene inviato in Israele. Yitzhak Rabin, premier israeliano, è soddisfatto. Al banchetto dice a Vorster che i due Stati hanno idee comuni: “La speranza di giustizia attraverso la convivenza pacifica”. Comincia una collaborazione fruttuosa fino a farlo diventare un asse internazionale fondamentale per la vendita di armi. Ci sono pure i piani per preparare la bomba H in Sudafrica portata lì dagli israeliani, come sanno non solo Rabin ma anche il laburista Shimon Peres.
Con Mandela fuori, quasi quindici anni dopo, le cose cambiano.
Vediamo a oggi.
Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa si è speso in prima persona per portare Israele davanti alla Corte di Giustizia Internazionale di L’Aja. L’unico Stato a farlo. L’accusa in 84 pagine a Israele è chiara: genocidio. Da lunedì la corte è riunita. Ci sarà una sentenza per così dire salomonica, secondo il Daily Maverick di Johannesburg: Israele non compie un genocidio ai danni dei palestinesi a Gaza, è in guerra contro Hamas, le vittime civili sono un danno collaterale. Farà concessioni di qualche tipo ai palestinesi. Dopo la carneficina compiuta da Hamas il 7 ottobre ammazzato 1194 ebrei (tra cui bambini e donne), i militari israeliani dall’8 ottobre hanno ucciso, a domenica 21, circa 25.000 palestinesi (tra cui bambini e donne).
L’Aja nel giudicare il caso deve prendere però una decisione assai più rilevante e non riguarderà soltanto Sudafrica ed Israele. Deve dire se finalmente tutti sono uguali e non alcuni sono più uguali degli altri davanti alle leggi internazionali. Dice Nesrine Malik su Guardian, che sono gli americani a dettare i comportamenti quando gli interessi e le nazioni sono a loro alleate. Nemmeno le Nazioni Uniti possono fare nulla, pena il veto (che anche Cina e Russia a sua volta usano). Il Sudafrica – con tutto quel che di peggio c’è di questi tempi – stupri, criminalità, omicidi, disoccupazione, affari illeciti… – invece ha messo sul tavolo una posta molto alta. “In un mondo multipolare è sempre più debole il punto di vista degli occidentali”, dice Malik. Il Sud del mondo (e anche i piccoli Stati occidentali) riuscirà ad imporre questa visione? Può riuscire Pretoria? Il Paese simbolo per il razzismo e l’ingiustizia fino a quando non è giunto Mandela avrà la forza sufficiente?
A Johannesburg una cosa è certa. “È un grandissimo risultato comunque di fronte ad un mondo dove non c’è davvero legge: il Sudafrica ha messo al centro il principio, la norma fondati legale”, sottolinea Mia Swart, docente Witwatersrand University di Johannesburg ad Africa Repor. È comunque un precedente significativo per la legge internazionale. “È la reputazione della legge interazionale che è messa in gioco”, dice il rappresentante sudafricano prendendo la parola a L’Aja. Sono i diritti di tutti ad essere importanti, e non di una parte.Non tutti la pensano così. È un caso che si basa su prove scarse, e con scarse possibilità di successo, ha osservato Andre Thomashausen, professore emerito dalla Università del Sudafrica. A Johannesburg, il presidente della South Africa Zionist Federation, Avron Krenger, non è interesso nemmeno a cosa si deciderà all’Aja, la comunità ebraica si sta allontanando. Parlando delle prossime elezioni sudafricane ha sibilato nei confronti di Ramaphosa: “La vendetta va servita fredda, il governo avrà tutto il tempo per domandarsi cosa è successo”.
Desmond Tutu, arcivescovo di Città del Capo, premio Nobel, aveva visitato Gaza nel 2006 e si vergognato di come Israele trattava i palestinesi. Tutu è morto poco più di due anni fa, e in questi giorni è comparsa sulla statua a Città del Capo una stola palestinese. Anche la sua statua parla.
L’articolo Sudafrica-Israele, una storia travagliata proviene da ytali..