Un ottimo strumento di efficientamento finanziario se maneggiato con molta cura
Il Cash Pooling è uno strumento di politica finanziaria, che permette a società appartenenti allo stesso gruppo di centralizzare sulla capogruppo la gestione della loro liquidità, allo scopo di ottimizzare i flussi di cassa, ridurre i costi di finanziamento e migliorare la gestione finanziaria nel suo complesso.
Una tesoreria efficiente, a sua volta, ha ricadute positive anche sulle performances aziendali, contribuendo ad aumentare, tra l’altro, il tasso di “cash conversion” dell’EBITDA. Questo strumento è regolato da apposito contratto, di natura atipica, che si ricollega ai contratti di conto corrente improprio ed opera in ambito essenzialmente intercompany.
In buona sostanza, è un accordo sottoscritto da ciascuna società partecipante a un gruppo (le “participants”) con la società capogruppo (“pooler”), teso a regolare i reciproci rapporti finanziari.
La pratica professionale prevede – in linea di massima – diverse tipologie di contratto di cash pooling. Il più diffuso è Lo Zero Balance Cash Pooling – ZBCP, che – oltre ai participants e al pooler – ha ovviamente un altro interlocutore, rappresentato dalla banca di riferimento per i conti periferici e per il Conto Master del pooler.
Quest’ultimo ha la funzione di tesoreria centralizzata e conto corrente “accentrato”, sul quale vengono riversati i saldi dei conti correnti periferici di ciascuna consociata. In concreto, alla fine di ogni giornata lavorativa, i saldi positivi e negativi dei vari conti periferici vengono automaticamente azzerati, con trasferimenti reali di denaro da e verso il conto Master della capogruppo, e ciò consente di avere una visione chiara ed immediata della liquidità disponibile e, come detto, di ridurre i costi legati agli interessi passivi bancari e oneri accessori. Sotto il profilo fiscale, le tematiche sono, sostanzialmente, riassumibili come in seguito indicato.
Ai fini IRES, gli interessi, sia attivi che passivi, riveniente dal rapporto di cash pooling, devono essere imputati secondo il principio di competenza e concorrono regolarmente al reddito.
In merito ai limiti di deducibilità di cui all’articolo 96 TUIR (limite del ROL), lo ZBCP non si configura come un’operazione di finanziamento in senso stretto (Circ. AGE 21/E del 3 giugno 2015).
iò in quanto, l’azzeramento fisico giornaliero dei saldi attivi e passivi delle società del gruppo e il loro trasferimento automatico sul conto accentrato della capogruppo, non consentono l’effettiva possibilità di disporre delle somme suddette.
Da ciò deriva che, gli eventuali interessi passivi maturati sul conto corrente non bancario, saranno deducibili integralmente (Circ. 19/E del 21 aprile 2009 – n. 11/E del 17 marzo 2005 e Ris. n. 58/E del 2002). Ai fini IVA, invece, l’attività di cash pooling per sua natura, genera interessi attivi esenti e questa circostanza potrebbe far comportare per la società percipiente un “pro-rata di detrazione IVA”, qualora (Cass. n. 16674/2022, n. 8813/2019 e 12689/2020) tale attività finanziaria non fosse qualificabile come “accessoria” rispetto a quella principale.
A tal proposito, la Cassazione ha chiarito che sono qualificabili come strumentali e accessorie solo quelle attività di natura episodica, da valutarsi in base al volume dei ricavi generati da tale attività, rispetto a quelli dell’attività prevalente dell’impresa.
Sotto il profilo civilistico, tuttavia, il cash pooling presenta aree di rischio che devono essere attentamente analizzate e “gestite”, prima di darne concreta attuazione. Infatti, una certa superficialità nella costruzione della struttura di finanza accentrata, in uno scenario di crisi d’impresa, potrebbe indurre gli organi giudiziari a considerare il cash pooling, come strumento distrattivo di cassa dal participant in crisi, a vantaggio del gruppo.
In questo senso una recente sentenza della Cassazione (n.12719 del 2024), secondo la quale il contratto in questione non poteva ritenersi valido per giustificare i trasferimenti di fondi, poiché mancava una regolamentazione chiara e non c’era una reale corrispondenza tra i fondi trasferiti e i benefici per la società che aveva effettuato il pagamento.
Ciò non vuol dire naturalmente, che il cash pooling in quanto tale, sia un atto distrattivo. Gli stessi giudici affermano infatti, che i pagamenti effettuati da una società controllata a favore della società controllante, non costituiscono necessariamente reato di bancarotta distrattiva, se sono inquadrabili nel contesto di un contratto di cash pooling e a patto che vi sia una pattuizione chiara e formale dei rapporti economici all’interno del gruppo.
Infine, l’accordo deve basarsi sui cosiddetti vantaggi compensativi, ossia è necessario che le operazioni potenzialmente rischiose per una società trovino giustificazione nei benefici complessivi che essa riceve all’interno del gruppo (Cass. n. 37062/2022): ad esempio, minori tassi di interesse, maggiori linee di credito, migliore gestione del proprio circolante e altro. Fondamentale requisito rimane però – secondo la Cassazione – il momentum del trasferimento di flussi (Cass. n. 22860/2019). Se il passaggio di risorse avviene in situazione di evidente sofferenza della società trasferente, non vi sia garanzia di restituzione delle somme traferite e non esista un credibile programma di riassestamento del gruppo, la natura distrattiva del trasferimento appare inevitabile.
Seguendo l’orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, occorre, nel concreto, che innanzitutto gli organi amministrativi delle società interessate approvino sia l’accordo con la banca coinvolta nell’operazione, sia il contratto di cash pooling tra la controllante e le partecipanti, definendone l’oggetto, la durata, i limiti di indebitamento, le modalità di restituzione dei fondi, le aliquote relative agli interessi attivi e passivi e le commissioni applicabili, i vantaggi compensativi e così via (sentenza 39139/2023).
É opportuno poi che il contratto di cash pooling abbia data certa, così da evitare contestazioni in merito alla sua decorrenza ed è necessario che il rapporto abbia documenti a supporto della sua effettività.
E in questo senso, possono assumere rilevanza il conto corrente intrasocietario, le disposizioni giornaliere di riversamento dei saldi e ogni altra documentazione contabile che possa attestare la correttezza delle operazioni. Tutti i documenti devono essere naturalmente in perfetto allineamento anche cronologico, con le risultanze dei conti correnti bancari sottostanti.
Si ritiene però essenziale – proprio alla luce delle prese di posizione della Cassazione – prevedere anche delle pattuizioni sui pronti rimedi, nel caso in cui una partecipante dovesse trovarsi in una situazione economico-finanziaria tale, da far ritenere probabile nel futuro un suo ricorso a strumenti per la crisi d’impresa.
Questi rimedi contrattuali, presupponendo una costante attività prognostica sull’andamento dei conti delle partecipanti (peraltro già “obbligatoria” ai sensi delle norme della citata crisi d’impresa) dovrebbero ragionevolmente affievolire i rischi di contestazione di manovre distrattive, in caso di default.
In conclusione, il Cash Pooling è un ottimo strumento di efficientamento finanziario ma occorre maneggiarlo con molta cura.
L’articolo Il “Cash Pooling”: vantaggi e rischi proviene da Costozero, magazine di economia, finanza, politica imprenditoriale e tempo libero – Confindustria Salerno.