Incontriamo Maggie Siner a conclusione di una mostra che ha fatto molto parlare di sé in città. Ensemble, s’intitolava. Oltre a essere incantati – come accade sempre nelle mostre dell’artista statunitense – dalla forza gentile del colore e dei colori, della luce, delle pennellate, i visitatori erano colpiti dai ritratti esposti sapientemente su una parete all’ingresso alla galleria Arké. Un formidabile colpo d’occhio. E poi, guardandoli con più attenzione, si capiva che era il racconto un pezzo importante della vita culturale e artistica città. I ritratti erano dei Cantori veneziani, alcuni dei quali, 27, hanno accettato di posare per Maggie, per una mostra, appunto, in occasione del loro 50º anniversario.
L’artista è devota a luci e forme, in costante ricerca dell’attimo perfetto che la impressioni tanto da volerlo riprodurre su tela, per i ritratti come per le nature morte. Visto il suo interesse per la luce non stupisce il suo legame con Venezia, dove il riverbero dell’acqua scatena effetti unici.
Maggie divide da tempo la sua vita tra la campagna francese, quando tutte le sfumature del verde dominavano i suoi dipinti, e Venezia, in cerca dei rossi, dei paesaggi architettonici e di una luce diversa, e in inverno, in Virginia.
Soffermandoci sui ritratti, essi vengono eseguiti nel tempo di poche ore, ma la difficoltà non sta tanto nell’atto in sé del dipingere la figura, ma nel trovare la posa giusta, il giusto colpo d’occhio, che scaturisce dall’incontro di artista e soggetto, dal fondamentale momento preliminare fatto di intime confidenze e banali chiacchiere che disvelano immagine, postura e movenze della persona, andando a comporre uell’energia che si vuole catturare.
L’artista afferma che la conoscenza troppo profonda di una persona la rende impossibile da ritrarre, poiché più aumenta l’importanza della relazione, più ne distinguiamo gli umori, le espressioni, sempre diverse, sempre nuove, che si moltiplicano tanto da diventare impossibili da cogliere. C’è infatti una familiarità intermedia che permette l’esecuzione del ritratto, quella che ritrova, per esempio, nei Cantori veneziani.
Maggie Siner non si limita, però, ai ritratti, ma in mostra, espone anche rappresentazioni di oggetti, di cui vuole sottolineare la relazione, non tanto con l’umano, quindi con il loro uso, quanto tra di loro, le relazioni spaziali, figurative e cromatiche, che mettono in scena un dialogo connotato da una forte teatralità.“L’atto di dipingere è un atto di scoperta di ciò che ci si trova davanti”, afferma lei stessa. La costruzione dell’oggetto, quindi, è un continuo divenire e perfezionarsi che accompagna l’osservazione e la scoperta dello stesso.
In entrambi i casi l’artista dipinge “dal vero”, e questo rende automaticamente più difficile una rappresentazione fedele del momento che la colpisce. Essendo, di fatto, la realtà in continuo mutamento, il problema si pone meno con le nature morte di soggetti inorganici illuminati da luce artificiale, che può quindi essere direzionata e controllata, ma i fiori sfioriscono in tempi brevi, i colori dei frutti tendono a variare la loro intensità e la luce naturale cambia completamente in poche ore. Per questo motivo, nella prima mezz’ora è per lei indispensabile creare una prima traccia per avere qualcosa a cui ancorarsi, che orienti il proseguo dell’esecuzione.
Il dipingere dal vero e l’importanza fondamentale della luce che rende visibili gli oggetti e ne influenza la percezione, fanno presto pensare a una forte impronta impressionista, ma l’artista afferma di non avere un’influenza specifica, nonostante la sua più che approfondita conoscenza della storia dell’arte. “Quasi tutta la pittura fino al Ventestimo secolo ritrae oggetti della visione, pezzi di luce, non solo gli impressionisti […] anche Rembrandt lo fa, anche se non lo descrive in questi termini”, afferma l’artista.
Per quanto riguarda, invece, il suo rapporto con il clima artistico contemporaneo, la pittrice cerca di mantenere una distanza che le permetta di non esserne troppo influenzata e di trovare la sua voce, far spazio nella sua mente, senza sovraffollarla di immagini che esauriscano la possibilità di inventiva.
L’arte contemporanea tende a essere estremamente politica, ma l’artista cerca di discostarsi anche da questo aspetto; le abbiamo chiesto di spiegarci il perché e cosa motivi nel profondo la sua produzione artistica, da dove nascano le sue radici. “Cerco qualcosa di più duraturo, di eterno e di universale” mentre la politica tende al continuo cambiamento e i temi che maggiormente attraggono l’attenzione pubblica sono sempre diversi, lei cerca il raggiungimento di una profonda sensibilità ai cambiamenti cromatici, luminosi e formali, che insieme costituiscono un linguaggio visuale adatto a comunicare sensazioni specifiche. “È molto personale”, afferma, “è la mia risposta a un mondo molto brutto confuso e deprimente”.
Un’ora di bellezza, di struttura e di relazioni armoniose: questo ciò che va cercando, non come distrazione, sottolinea, ma piuttosto come un modo per svelare il vero significato del mondo, che altrimenti risulterebbe solo una massa informe e dominata dall’orrore.
In definitiva, dopo averle chiesto se questa ricerca di bellezza e armonia non abbia a che vedere con qualcosa di spirituale o religioso, lei risponde “io sono atea, ma se questo è ciò che le persone vogliono chiamare “spirituale” allora si”.
La conversazione con l’artista termina con la chiusura di un cerchio: spiega che dipingere è come realizzare di far parte di un ordine più grande, dove un mosaico di equilibrio e bellezza si compone di forme, strutture e colori, che si fondono come le voci di un coro.
Immagine di copertina: ritratti dei Cantori Veneziani
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