La traduzione è per un poeta un grado di conoscenza più intenso, un esercizio elevato alla potenza per entrare dentro l’opera di un altro autore che sente affine, da cui gli arriva un forte richiamo e che scrive in una lingua diversa dalla sua. Così è per Pasquale Di Palmo, poeta che ha una consuetudine, che corre ormai parallela alla propria produzione in versi, con gli autori francesi che ruotano intorno al movimento surrealista che si è sviluppato negli anni Trenta del secolo scorso, fino a divenirne uno dei massimi esperti oggi presenti nel nostro paese. La sua attenzione si è rivolta, in particolare, a figure di poeti irregolari, che hanno avuto esistenze travagliate, che sono state ai margini del movimento e quindi sono meno conosciuti in Italia, con la sola eccezione di Antonin Artaud. Ricordiamo le sue principali traduzioni e curatele, a cominciare da Le poesie della crudeltà di Antonin Artaud (Stampa Alternativa, 2002), passando per l’antologia I surrealisti francesi. Poesia e delirio. (Stampa Alternativa, 2004), fino al più recente La colomba dell’arca di Robert Desnos (Medusa, 2020).
Fra i suoi ultimi lavori di traduzione e curatela, compare l’antologia poetica di un autore la cui breve esistenza è stata totalmente al limite, il suo nome è Jacques Prevel e la raccolta s’intitola Né l’ombra né la luce, pubblicata in tiratura limitata per Sinopia Libri di Venezia. Prevel nasce in Normandia nel 1915 e si trasferisce nella capitale in uno dei momenti più bui della storia di Francia, quello dell’occupazione nazista. La sua intenzione sarebbe stata quella di dedicarsi completamente alla scrittura, fa amicizia con altri poeti che hanno vissuto la stagione surrealista, ma l’incontro decisivo è con Antonin Artaud, di cui diviene una sorta di figlio putativo nutrendo per lui un’ammirazione sconfinata, tiene un diario delle giornate passate insieme e arriva a procurargli le droghe che questi assume con regolarità. Naturalmente Artaud non è il personaggio influente che possa dischiudergli le porte delle case editrici, passando da un istituto psichiatrico all’altro, per cui Prevel deve pubblicare le sue prime due raccolte a proprie spese, conducendo una vita di stenti e sregolatezze. Si ammala di tubercolosi e muore nel 1951 a soli 36 anni. In vita pubblica tre raccolte poetiche, ne sarà edita poi una postuma l’anno dopo la sua morte, quando la sua opera comincia ad essere conosciuta e apprezzata in Francia. Contribuisce alla diffusione del suo nome anche oltre i confini, l’uscita nel 1972 del diario dei suoi incontri con Artaud, a cura di Bernard Noël, dal titolo In compagnia di Antonin Artaud, tradotto parzialmente in Italia per Giometti & Antonello.
di Jacques Prevel
nella traduzione di Pasquale Di Palmo
Sinopia Libri – Venezia, 2023
L’antologia Né l’ombra né la luce è una scelta di quanto pubblicato da Prevel in vita e anche delle poesie uscite postume. La traduzione di Di Palmo rispetta il tono piano e antilirico dello stile di Prevel, con versi per lo più lunghi e discorsivi, al cui interno si possono però rinvenire immagini aspre e folgoranti che fanno da specchio alle sofferenze patite, od anche, più rare, visioni oniriche che smussano il grigiore dei giorni vuoti. Egli vive consapevolmente la frustrazione per una dimensione artistica che si rivela fallimentare, sente dentro sé ansia e inquietudine che non sfociano in azione, ma lo paralizzano in un’immobilità in cui tutto gli è precluso. Lo testimonia chiaramente la prima poesia, il cui verso iniziale è stato giustamente scelto per dare il titolo all’antologia:
(…)
Né l’ombra né la luce
Solo la paura degli anni che segnano il mio viso
E mi rendono immobile e triste nel tempo
Né Amore né Gloria
Né la speranza del Genio
Nemmeno la certezza di camminare incontro
Al vuoto e al silenzio
Nemmeno la certezza di godere dell’autunno
Nient’altro che esilio
(…)
Questo pessimismo cosmico, respirato anche dagli anni terribili in cui nascono le sue opere, a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, non lo portano però alla resa o alla follia. Lo salvano, forse, dalla totale autodistruzione, i rapporti umani che cerca disperatamente, come il tribolato ménage con la moglie, come il dialogo aperto con gli amici poeti e scrittori a cui dedica molti testi, come la sorta di missione che si è assegnato, di assistere e stare vicino a quel genio imprevedibile e multiforme di Artaud, fino alla fine dei suoi giorni. Le poesie di Prevel sono quasi sempre rivolte a un interlocutore, a un tu, a volte esplicitato da una dedica o da un nome inserito nel testo, altre invece lasciato indeterminato, assumendo in alcuni casi le forme del dialogo con la propria coscienza. Egli vede lucidamente l’inferno in cui vive, non cerca alibi e nemmeno consolazioni, la poesia è il luogo dove il dolore può essere detto, analizzato, interrogato. Anche il ricordo, che è nutrimento immancabile di ogni opera poetica, e Prevel non fa eccezione, considerando che la sua seconda raccolta ha per titolo Poesie per tutta la memoria, non stempera la crudezza del presente, non costituisce un rifugio, non viene idealizzato. Così, in modo perentorio, inizia un suo testo:
IO mi ricorderò di te
Come ci si ricorda delle disgrazie
Come ci si ricorda delle grandi distese
Come ci si ricorda del mare
(…)
Abbiamo accennato all’anti-lirismo che connota tutta la sua produzione, tanto che verso la fine le sue poesie assumeranno una forma quasi diaristica; come pure è da notare l’uso insistito dell’anafora che infonde ai versi un andamento salmodiante, da preghiera laica. Prevel, però, non vuole conferire alle parole un’importanza sacrale, non si atteggia a martire, non vuole essere personaggio, sia pure in negativo. La sua cifra umana è quella dell’appartato, dell’uomo che riconosce la sconfitta ma non per questo si sente dimidiato per una scelta che ha fatto in piena consapevolezza e che non poteva porsi diversamente. La breve e misera vita che ha condotto nel piccolo appartamento del Quartiere Latino di Parigi ha lasciato però aperte le porte al sogno, alle amicizie, ai ricordi e, anche, alla dignità.
SE mi cercano
Mi troveranno un mattino d’Inverno
Un mattino d’Inverno sotto la pioggia
Un mattino quando la vita non corre più rischi
Ma è in tutto ancora simile all’Inverno
Gli alberi il selciato la strada quasi deserta
Mi troveranno nel superfluo
In una parola che non ha alcun senso
Una parola irragionevole
Non sono confinate alla ragione neppure le visioni che gli appaiono sporadicamente e che dissemina nei versi con la stessa assoluta libertà di pittori come De Chirico, Dalì, Magritte. In quest’ultima citazione, di una delle poesie più straordinarie della raccolta, si evidenzia la perizia del traduttore che restituisce intatta nella nostra lingua la sciarada delle immagini e l’icasticità delle scene:
TI ho raccontato la storia dei grandi scarabei che giocano a scacchi
Dei grandi scarabei leggendari
Che guardano la luce degli astri
E di quel poeta tedesco durante le sue vacanze al mare
Con il suo cane favoloso che leggeva Meister Eckhart
E interpretava i sogni del suo padrone che si annoiava
Perché non hai voluto credere a queste avventure
Il nostro amore fu un’avventura più rara di quella degli scarabei
Neri come la notte, scarabei che guardano la luce degli astri
Poe non ne avrebbe immaginato che uno ma così grosso e così presago di gloria e di fortuna
Che senza dubbio appartenne alla razza leggendaria e forte
Dei grandi scarabei che giocano a scacchi
Immagine di copertina: foto di Bernard Hermant su Unsplash
L’articolo Jacques Prevel, un altro irregolare che arriva dalla Francia proviene da ytali..